di Marina Gersony
Non si placano le polemiche e le interpretazioni politico-culturali-religiose in seguito al recente conflitto israelo-palestinese; narrazioni presentate spesso in modo parziale o unilaterale senza tener conto della complessità di una realtà che richiede argomentazioni e riflessioni ben più approfondite e articolate rispetto a slogan, assolutismi, pressapochismi e calcificazioni di pensiero che rischiano di alimentare intolleranza ed estremismo.
Affermazioni come quella recente dello storico Alessandro Barbero, il quale sostiene in un video che «Il Regno di Israele non è mai esistito». Un’affermazione ritenuta «azzardata» in un articolo circostanziato su questo stesso sito – a firma di Elena Lea Bartolini De Angeli, Marco Cassuto Morselli, Sara Ferrari, Gabriella Maestri – che ha cercato di smentire per fare chiarezza nella prospettiva di un corretto approccio alla storia antica e alla sua documentabilità: «Esistono fra gli studiosi in generale, e fra gli archeologi in particolare, scuole di pensiero molto diverse: da quelle minimaliste a quelle più possibiliste – si legge nell’articolo -. Non è corretto assolutizzarne solo una ma è invece opportuno ascoltare e confrontare tutti i punti di vista, lasciando in ogni caso aperte le questioni che richiedono ulteriori accertamenti, evitando conclusioni troppo azzardate…».
Le rivelazioni di un libro del XVIII secolo
A smentire Barbero e i suoi emuli, un libro scritto nel lontano XVIII secolo e oggi «ripescato», offre un’interessante testimonianza e un’altra prospettiva di come vivevano ai tempi gli individui menzionati nella Bibbia o nella Mishnà in Israele, allora Palestina. Intitolato Palaestina Ex monumentis veteribus illustrata (Utrecht 1714), si tratta di un’opera scritta in latino e redatta da Adrian Reland (1676-1718), orientalista, filologo e cartografo olandese di chiara fama e studioso di Medio Oriente.
Reland (noto anche come Hadriani Relandi; Adriaen Reeland/Reelant, Hadrianus Relandus), era un uomo molto colto che parlava fluentemente l’ebraico, l’arabo, il greco antico oltre a diverse lingue europee. Fece ricerche approfondite sui luoghi del Medio Oriente e sulla geografia biblica, interessandosi ai popoli semitici della Palestina. Durante i suoi viaggi, in tempi in cui l’informazione non era certamente accessibile come lo è oggi, lo studioso indagò circa 2.500 luoghi analizzando usi, costumi, tradizioni e appartenenze degli abitanti.
Con la determinazione del reporter più rigoroso, Reland mappò come prima cosa la Palestina, per poi identificare ciascuno dei luoghi menzionati nella Mishna o nel Talmud con la loro fonte originale: se la fonte era ebraica, la elencò nelle Sacre Scritture; se era romana o greca, indicò la connessione in greco o latino. Infine lo studioso realizzò un’inchiesta demografica e un censimento di ogni comunità dando un contributo significativo alla linguistica e alla cartografia del Medio Oriente e dell’Asia. Un lavoro minuzioso che offre al lettore uno strumento ulteriore di conoscenza e di consultazione sulle origini di una Terra e dei suoi abitanti nel corso dei secoli.
«Un libro olandese del Settecento rivela: la Palestina non è araba», è il titolo dell’articolo a cura di Giorgio Pavoncello, apparso lo scorso maggio su Informazione Corretta, che riassume le conclusioni a cui era giunto Reland e che riportiamo di seguito:
- Fonti anche su: Mappa della Palestina di Reland, 1714Collezione cartografica Eran Laor. Biblioteca Nazionale di Israele.
- Zur Shalev, Università di Haifa Digital Gallery, introduzione al libro di Reland, Palaestina ex monumentis veteribus illustrata.
- Nessun insediamento in Terra d’Israele ha un nome di origine araba. La maggior parte dei nomi delle colonie derivano dalle lingue ebraiche, greche, latine o romane. Infatti fino ad oggi, tranne che a Ramleh, nessun insediamento arabo ha un nome arabo originale. Finora la maggior parte dei nomi delle colonie sono di origine ebraica o greca, nomi talvolta distorti in nomi arabi senza alcun senso. Non ci sono significati in arabo a nomi come Akko (Acre), Haifa, Jaffa, Nablus, Gaza o Jenin e le città di nome Ramallah, El Halil e El Kuds (Gerusalemme) mancano di radici storiche o di filologia Arabo. Nel 1696, l’anno in cui Reland visitò il paese, Ramallah, per esempio, si chiamava Bet’allah (dal nome ebraico Beit El) e Hebron si chiamava Hebron (Hevron) gli Arabi chiamavano Mearat HaMachpelah El Chalil, il loro nome per l’antenato Abramo.
- La maggior parte delle terre erano vuote, desolate e gli abitanti pochi e concentrati per la maggior parte nelle città di Gerusalemme, Akko, Tzfat, Jaffa, Tiberia e Gaza. La maggior parte degli abitanti erano ebrei, gli altri cristiani. I musulmani erano pochi, per la maggior parte dei beduini nomadi. Nablus, conosciuta come Schem, faceva solo eccezione, perché vivevano circa 120 persone, membri della famiglia musulmana Natsha e circa 70 Shomroniti. Nella capitale della Galilea, Nazareth, vivevano circa 700 cristiani e a Gerusalemme circa 5000, principalmente ebrei. La cosa interessante è che Reland ha menzionato i musulmani come beduini nomadi che sono arrivati nella regione come rinforzo della manodopera edilizia e agricoltura. In altre parole lavoratori stagionali. A Gaza, per esempio, vivevano circa 550 persone, il cinquanta per cento di ebrei e il resto principalmente cristiani. Gli ebrei crescevano e lavoravano nei loro fiorenti vigneti, frutteti, ulivi e campi di grano. I cristiani lavoravano nel commercio e nel trasporto di prodotti e merci. Tiberia e Tzfat erano per la maggior parte ebrei e ad eccezione dei i pescatori nel lago Kinneret – il lago di Galilea – un’occupazione tradizionale ai tempi di Tiberio, non c’è alcun accenno di altre occupazioni. Una città come Um el Fachem era un villaggio dove vivevano dieci famiglie, una cinquantina di persone in totale, tutte cristiane. C’era anche una piccola chiesa maronita nel villaggio (la famiglia Shehadah).
- Nessuna presenza palestinese. Il libro contraddice totalmente qualsiasi teoria postmoderna che rivendica un’“eredità palestinese ”o una nazione palestinese. Il libro conferma il legame, la rilevanza, la parentela della Terra d’Israele con gli ebrei e la mancanza assoluta di arabi, che poi si sono impadroniti del nome latino Palestina.