Angelo Scola, patriarca di Venezia, è stato nominato ormai da due settimane, nuovo capo dell’Arcidiocesi di Milano – anche se l’investitura ufficiale sarà il prossimo settembre. Per questo importante incarico è stato scelto direttamente dal pontefice Joseph Ratzinger, al quale lo unisce anche un’amicizia di lunga data.
Scola va a sostituire il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano dal 2002. Secondo alcuni l’arrivo del patriarca di Venezia, figlio spirituale di Don Giussani e vicinissimo alle posizioni di Comunione e Liberazione, segna una cesura netta col passato, con la linea pastorale che a Milano dura ininterrotta dai tempi del cardinale Giovanni Battista Montini, e che in tutti questi anni si è distinta per la ricerca costante di un dialogo fra le molte, differenti, componenti della città. I predecessori di Scola, scrive molto lucidamente il rabbino capo emerito della Comunità di Milano, Giuseppe Laras si sono distinti per una “sapiente passione per l’alterità e per l’avventura, sempre inedita, della scoperta dell’altro”.
Nella lettera aperta ad Angelo Scola, pubblicata sul Corriere della Sera del 5 luglio, Laras da il suo benvenuto al nuovo arcivescovo, sia come esponente di rilievo della Comunità ebraica di Milano, sia anche come rappresentante di altissimo livello di quel dialogo fra le religioni che grandi passi avanti ha potuto compiere a Milano, grazie all’impegno di uomini come Montini, come Carlo Maria Martini e da ultimo Dionigi Tettamanzi. Questo filo col passato non deve interrompersi, sembra chiedere e auspicare Laras per il futuro. Il dialogo instaurato in questi anni fra ebrei e cristiani, ma anche fra credenti e non-credenti, osserva Laras, “ha ravvivato e alimentato il tessuto culturale, spirituale ed etico della città, facendo di Milano, e non credo di sbagliare, uno dei maggiori centri propulsori del Dialogo stesso in Italia e nel mondo”.
“Come Lei sa – scrive ancora Laras – coloro che appassionatamente si spendono per il Dialogo, inteso nella sua essenzialità più spontanea e nobile, al di là delle forme stereotipate di esso, sono stati, sono e presumibilmente saranno una minoranza. Queste persone sono consapevoli delle vicende di un passato quasi bimillenario di contrapposizioni violente, di mistificazioni teologiche e non, di odio e di persecuzione che gli ebrei hanno subito nell’Europa cristiana. Queste stesse persone, però – e io con loro! – sono fortemente intenzionate, nonostante le difficoltà e le disillusioni che si incontrano lungo il percorso, a continuare a ricercare le ragioni dello stare insieme sia per noi che per le generazioni future, anche perchè (riconosciamocelo realisticamente!) non c’è altra strada”.
La convivenza, il dialogo, “l’ascolto vicendevole e amico e una fraterna collaborazione” fra ebrei e cristiani, costituisce secondo Laras, la più urgente delle nostre responsabilità verso le generazioni future. Un compito arduo e complesso dal quale nessuno può esimirsi: dobbiamo proseguire sulla strada intrapresa, nonostante la consapevolezza che non saremo noi a concludere questo cammino – questo il senso delle parole di Laras. Al fondo, l’impegno che dovrebbe coinvolgerci tutti, ebrei, cristiani, musulmani, non credenti, è uno soltanto, conclude il rabbino Laras: dialogare ed operare insieme “per il bene dell’umanità e del creato”.