di Giordana Pieri
Per ricordare Rav Richetti z’z’l desidero pubblicare una parte della mia tesi di Laurea. Il Rav mi aveva aiutata nella ricerca bibliografica, biografica, di insegnamenti, scritti e traduzione di un grande maestro come fu Yehuda Halevi.
L’intento è quello di ringraziare il grande maestro Richetti per avermi stimolato e aiutato in questa ricerca, ma soprattutto per avermi dato la possibilità di accedere alla sua abnorme libreria, di cui aveva piena conoscenza di ogni singolo libro.
Introduzione
Questo lavoro è dedicato alle hargat romanze all’interno delle muwassahat di Yehuda Halevi, vissuto durante il XII secolo viaggiando tra Navarra, Castilla e al-Andalus, nome che gli arabi dettero alla parte della penisola iberica da loro controllata e governata dal 711, nella quale convivevano diverse culture e diverse lingue, il cui contatto diede luogo a prodotti artistici senza paragoni nel resto dell’Europa dell’alto Medioevo. Egli è stato un filosofo, poeta, rabbino, teologo e medico di origine sefardita, conosciuto soprattutto per le sue opere religiose, le muwassahat, le elegie e infine per la sua composizione in prosa Kuzari. La muwassaha è un genere poetico di origine arabo-andalusa a cui appartengono testi in arabo e in ebraico. L’aspetto più innovativo consiste nell’adozione della struttura strofica, di solito composta da cinque strofe alternate da un ritornello. Da un punto di vista cronologico non si hanno dati certi riguardo alla nascita della muwassaha anche se, generalmente, grazie alla testimonianza dello scrittore Ibn Bassam di Santarem, essa è collocata alla fine del IX secolo. Le hargat sono porzioni di testo in arabo o in mozarabo, collocate alla fine di queste composizioni poetiche. La scoperta delle hargat mozarabiche ha dato luogo a una lunga serie di discussioni. Sebbene Stern, il loro primo scopritore, e altri dopo di lui abbiano esaminato e interpretato le hargat come versi di lirica proto-romanza, vi sono stati studiosi che hanno discusso la validità di questa tesi, considerandole come versi esclusivamente arabi o ebraici. Le ragioni per cui permane questa insicurezza dipendono dal fatto che le hargat sono scritte in alfabeti semitici e i romanisti non hanno avuto modo di lavorare direttamente sui manoscritti. L’esistenza delle hargat testimonia una stretta relazione fra tre culture: romanza, araba ed ebraica. La scelta di esaminare le principali hargat di Halevi è dovuta dall’interesse per le modalità di applicazione delle convenzioni del genere arabo da parte di un autore ebreo dalla produzione poetica vasta e di grande qualità letteraria.
Nel primo capitolo vengono delineati i limiti cronologici e il contesto storico e culturale di al-Andalus, i popoli che vi vivevano e il contributo che diedero al plurilinguismo del Califfato di Cordova. Nel secondo capitolo, dopo aver dato le coordinate generali sul genere arabo della muwassaha, la struttura e i temi che vi ricorrono, ho affrontato il problema dell’innesto lirico delle hargat nelle muwassahat e il problema delle origini di queste ultime.
Nel terzo capitolo si delinea il ruolo delle comunità ebraiche principali che hanno contribuito alla produzione letteraria in al-Andalus, il contatto culturale con la popolazione araba e i profili dei principali poeti che scrissero le muwassahat ebraiche a partire dal modello arabo.
Il quarto capitolo è dedicato al profilo di Yehuda Halevi a partire dalla sua biografia, per giungere poi alla vasta produzione filosofica e letteraria. Il quinto capitolo, infine, si concentra sulle principali muwassahat di Yehuda Halevi e gli elementi più caratteristici della sua scrittura in questo genere poetico, a confronto con gli stilemi della tradizione araba. Per ogni harga viene proposta un’analisi tematica e stilistica, mettendo a confronto le interpretazioni degli studiosi che più hanno approfondito l’argomento. In effetti, lo studio da parte degli interpreti delle muwassahat e delle hargat non si è rivolto tanto sulle origini del componimento poetico ma piuttosto all’individuazione del nesso logico che collega la muwassaha alla harga. Non si hanno dati certi sull’origine delle hargat romanze ma si potrebbe attestare che hanno anticipato alcuni elementi del linguaggio poetico dell’area iberica; alludono, infatti, a immagini e situazioni che si ritroveranno nelle cantigas d’amigo o nel villancico castigliano.
4. Yehuda Halevi
4.1 Biografia
Abou el-Hassan Yehuda ben Samuel ha-Levi, conosciuto come Yehuda Halevi, nacque a Tudela, una località sul fiume Ebro in Navarra nel 1075 circa da una famiglia benestante e in seguito si trasferì, ancora ragazzo, in al-Andalus. É stato rabbino, medico, filosofo e teologo. É riconosciuto nella tradizione ebraica come uno dei massimi poeti, la sua opera sacra ha un posto di primo piano nella produzione medievale in lingua ebraica. Morì al Cairo nel 1141. Yehuda Halevi, durante un periodo di pace tra i due popoli, apprese l’ebraico tanto quanto l’arabo e assorbì la cultura araba nelle sue scritture. Viaggiò per l’intera Andalusia e il suo fine era quello di trasferirsi a Granada. Viaggiando tra Sivilla, Saragozza e Granada entrò in contatto con numerose comunità ebraiche e decise di fermarsi a Cordoba. Conobbe moltissimi poeti dell’epoca, tra cui Mosè Ezrà, la famiglia di Yosef Ferrusiel e molti autori arabi. Una volta trasferitosi a Granada scrisse i suoi primi componimenti d’amore. Con l’arrivo degli Almoravidi in al-Andalus dovette lasciare Granada e tornò in Castiglia. Da questo momento in poi viaggiò senza mai fermarsi: Nella città di Lucena conobbe Joseph ibn Migash e il sovrano Meir ibn Kamniel a cui dedicò una celebre muwassaha. Trascorse molto tempo a Toledo dove, oltre a praticare la letteratura, divenne anche medico e capo rabbino della comunità ebraica. Con l’assassinio del suo mecenate Salomon ibn Ferruziel (1109), al quale aveva dedicato numerose poesie lasciò Toledo e iniziò il suo viaggio tra la Spagna cristiana e quella islamica e ricominciò a viaggiare dirigendosi verso le città di al-Andalus. Il disprezzo riservato nei confronti degli ebrei, l’essere senza patria e privo di radici non gli diedero pace, tanto che cominciò a desiderare di vivere nella terra d’Israele. Nel 1140, in età ormai avanzata e contro il consiglio dei suoi compagni, intraprese un lungo viaggio verso la Palestina. Giunto in Egitto, venne accolto e apprezzato dalla comunità ebraica locale, ma da allora si persero le sue tracce. Secondo una leggenda ebraica, alla vista delle colline di Gerusalemme si inginocchiò per intonare una poesia, ma venne trafitto dalla lancia di un uomo arabo che sopraggiungeva a cavallo, perdendo così la vita; É probabile, tuttavia che non sia riuscito nemmeno a vedere la terra d’Israele. La decisione di Halevi di emigrare in Israele era relazionata alla volontà di riunire tutti gli ebrei della diaspora. La decisione derivò da un suo studio che poi sviluppò con la stesura del Kuzari ma anche in moltissimi poemi in cui veniva istituito un rapporto strettissimo tra il popolo ebraico, Dio, la terra d’Israele e la lingua ebraica. Ogni sua prosa e poesia scritta venivano realizzati con il fine di rendere coscienti tutti gli ebrei del loro stato di dipendenza da Dio e dalla terra di Israele. Yehuda fu una persona molto intraprendente e socievole e, data la frequenza dei suoi spostamenti, furono moltissime le persone che conobbe e con cui strinse un’amicizia molto profonda. Esistono delle muwassahat panegiriche del poeta che testimoniano le più importanti amicizie della sua vita. Oltre ad avere buoni rapporti e lavorare per nobili e sovrani, tra cui Yosef Ferrusiel, Abul-l- Hassan Meir ibn Qamniel, Abraham ibn Ezra, conobbe Moshè ibn Ezra con cui trascorse la fine della sua vita. Di tutti i suoi legami, infatti, quello con Moshè fu il più forte, viaggiarono insieme e si scambiarono numerose poesie.
4.2 La poesia
Il mondo poetico di Yehuda Halevi è straordinariamente poliedrico e vario: Si conoscono circa ottocento poesie che comprendono tutti i temi, soggetti e stili diffusi nella poesia andalusa, tanto in lingua ebraica quanto in lingua araba e romanza. Molti affermano che è il poeta più conosciuto di al-Andalus ed è colui che impregnò, più di tutti, il pensiero filosofico e kabalistico ebraico di oggi. La sua opera religiosa infatti è considerata sacra per gli ebrei e comprende tutti i generi della liturgia. Oltre alla poesia sacra, a cui si dedicò una volta intrapreso il viaggio verso la Palestina dopo il 1140, egli ha dischiuso nella lingua ebraica generi e temi completamente nuovi agli occhi dei sefarditi: da una parte le poesie sul mare e sui viaggi, dall’altra i canti su Sion in cui traspare la sua personale nostalgia per la cosiddetta terra promessa. Le poesie di Halevi ebbero una buona diffusione manoscritta fin dai primi tempi, dal territorio iberico fino al nord dell’Africa. Dal IX secolo i talmudisti iniziarono a pubblicare collezioni di poesie raggruppando più generi. Nelle varie antologie dei poeti ebrei molto spazio è stato dedicato alle poesie di Yehuda Halevi. Si può suddividere la sua produzione lirica in poesie d’amore, panegiriche, piutìm e le poesie su Sion. Le poesie d’amore di Halevi sono circa ottanta e sono indirizzate spesso a una donna, rappresentata da una gazzella, un cervo o una colomba. I temi e gli stili propri delle sue poesie d’amore riflettono molto la poesia araba a lui contemporanea; in particolare i sentimenti che ruotano intorno all’amore, i viaggi intrapresi dal poeta per giungere dall’amata e i nomignoli dati alla fanciulla, sono caratteristiche tipiche della poesia araba. Nonostante Yehuda Halevi imiti la lirica araba, come facevano tutti i poeti sefarditi che vivevano in al-Andalus, molto spesso si ritrovano diversi elementi di originalità come i collegamenti che crea tra la muwassaha e la harga. La bellezza femminile viene descritta per mezzo di similitudini inedite come in “Leil gilleta elai” in cui si mette a confronto il volto circondato da una chioma rossa col tramonto del sole che arrossa le nuvole. In Halevi non si parla mai della fisicità della donna ma viene descritta utilizzando i valori universali come la gloria o l’eleganza. Una vena popolare è invece riconoscibile nello stile dell’epitalamio. Seguendo le tendenze contemporanee, Halevi compose poesie simposiache e dei piaceri d’evasione legati a quest’ultimo. Si intravede una giocosità sentita nei suoi enigmi divertenti e nei suoi vari epigrammi ironici.
Il maggior numero di componimenti profani di Halevi trattano l’amicizia o elogiano persone che egli ha conosciuto nel corso della sua vita. Una piccola parte di questi, circa centottanta, furono scritti per individui anonimi, ma la maggioranza riguarda personaggi celebri del tempo, come Yosef Ferrusiel, il principe ibn Qamniel, Abraham Ezrà e Mosè Ezrà. Egli si rivolse non solo a poeti ma anche a filosofi, rabbini, nobili e filantropi. La struttura della poesia encomiastica di Halevi rispecchia la qasida, il linguaggio, ricco e brillante, come frutto del contatto linguistico avvenuto tra gli arabi, i cristiani e gli ebrei. Nelle poesie panegiriche troviamo metafore inventate dal poeta, così diverse da quelle della maniera coeva, da rendere i suoi versi originali rispetto a tutto il corpus ebraico dell’epoca. Il preludio è generalmente la parte più artistica del poema, mentre la parte che segue consiste solitamente di una sequenza di elogi nei confronti del destinatario. Sono poesie franche e sensibili, scritte in particolare per tutte quelle persone verso le quali Halevi sentiva un profondo affetto, in particolare la famiglia Ferrusiel. Questa parte della sua produzione comprende quarantacinque poemi in cui vi è una meditazione pessimistica sulla morte che è onnipotente e sul destino che colpisce i malati: per esempio, a questo tipo di poesie vi appartiene quella di Salomon ibn Ferrusiel scritta subito dopo il suo omicidio.
Yehuda Halevi scrisse trecentocinquanta piutìm per le festività ebraiche. Le raggruppò sotto un unico titolo “Shirei ha-Galut”, “Poem of the Diaspora”. Il realismo di queste poesie riflette chiaramente i tragici eventi subiti dal popolo ebraico. Il loro valore principale, tuttavia, si trova nei testi in cui parlava dell’idea che aveva riguardante il destino del popolo ebraico e la cui poesia offriva espressione per loro. La combinazione di aspetti stilistici della poesia ebraica sefardita con le varie caratteristiche dello stile liturgico tradizionale ebraico si traduce in Yehuda Halevi in realizzazioni di perfezione e di bellezza. Mettendo in relazione la sua poesia con la sua esperienza, il poeta esprime l’idea della sofferenza che deriva dalla paura di una redenzione non compiuta del popolo ebraico e da un pericolo di distruzione di quest’ultimo. Di conseguenza i piutìm esprimono la sua brama di redenzione e di realizzazione condivisa di tutti gli ebrei della diaspora. Halevi assume una posizione polemica contro la falsa credenza, promettendo fedeltà incondizionata al suo Dio, come nella poesia “Yode’ei yegoni”. Le poesie sono intrise di emozioni a volte fortemente contrastanti: solitudine e sofferenza, gioia nella luce del passato e malinconia nell’oscurità del presente, disperazione e desiderio di redenzione. Le forti tensioni tra questi opposti trovano espressione in figure retoriche o immagini simboliche come spesso è la colomba.
Insieme ai piutìm, va considerato un insieme di poemi di ambito religioso più personale, vale a dire i salmi, in ebraico sono chiamati selichot; Il termine significa letteralmente “perdoni” e indicano le suppliche che si recitano quotidianamente. Si suole indicare un gruppo speciale di preghiere che in determinati periodi dell’anno vengono recitate con maggiore intensità, in particolare nello Yom Kippur o durante la Pasqua ebraica, festività ricorrente anche nelle sue muwassahat e descritta come momento di gioia. Halevi in queste poesie esprime una totale devozione nei confronti di Dio. La funzione di queste poesie era l’espiazione dei propri peccati e il perdono verso il prossimo. Uno dei canti più celebri è “Bevakashà” in cui Halevi si rivolge a Dio con il fine di renderlo un uomo senza peccati.
I componimenti più famosi di Yehuda Halevi sono le poesie di Sion e sono approssimativamente trentacinque. La loro originalità è evidente nell’argomento stesso, che era in quel periodo insolito, ma ancor più nella loro variegata vena artistica. Vengono affrontati tre temi nei poemi di Sion: nostalgia di Israele, la libertà del popolo e la diaspora. Alcune poesie sono state scritte prima che iniziasse il viaggio verso la Palestina, mentre altre ancora vennero scritte in Egitto, ma hanno in comune il fatto che iniziano con una descrizione del mondo terrestre, contrapposto alla perfezione di Dio.
4.3 La filosofia
Il pensiero teologico di Yehuda Halevi è condensato in un trattato in difesa della fede ebraica scritto in arabo nel 1140, Libro del Cazaro, ovvero, Kuzari che venne tradotto in ebraico durante il XII secolo da un poeta di nome Judah ibn Tibbon. Halevi vi lavorò per venti anni completandolo prima di partire per Israele. Halevi ammette di aver iniziato a scrivere la prosa come risposta al pensiero dell’ebraismo caraita, ma di averlo poi sviluppato in chiave polemica verso la filosofia aristotelica, il cristianesimo e l’Islam. Il nome deriva dal re dei Cazari col quale, nel libro, avviene un dialogo con un rabbino ebreo che cerca di convincere il monarca della verità dell’ebraismo contro gli attacchi di filosofi, musulmani, cristiani ed eterodossi. Il Kuzari è un’opera popolare che esercitò una grande influenza sul giudaismo nel corso della storia.