di Paolo Castellano
Intervista a Christian Rocca, direttore editoriale de Linkiesta: «Il nostro obiettivo è quello di mettere tutto in prospettiva, raccontando come nasce un conflitto. Israele, con le sue mille contraddizioni, resta l’unica democrazia della Regione»
Come si racconta il Medio Oriente su Internet? Quali sono gli argomenti che vanno per la maggiore? E soprattutto, quali sono le sfide per i giornalisti digitali nel raccontare temi geopolitici senza inciampare nelle trappole del mondo virtuale come fake news, notizie clickbait (“acchiappaclick”) e polarizzazione da social network? Questi sono alcuni dei quesiti che Mosaico – Bet Magazine ha posto a Christian Rocca, direttore de Linkiesta dal 2019, quotidiano online di notizie e approfondimenti fondato dieci anni fa.
Qual è l’approccio de Linkiesta alle notizie sul Medio Oriente?
Noi siamo sostanzialmente un giornale di opinione. Un giornale online che contribuisce al discorso pubblico e fa circolare le idee. Tuttavia, nonostante Linkiesta sia nato come testata giornalistica online, da un anno stampiamo in forma cartacea anche una rivista, un giornale e un magazine letterario – per non parlare dei live organizzati nelle due edizioni passate del nostro festival.
Linkiesta è un giornale che sceglie e cerca di dare un’opinione. Pur occupandoci principalmente dell’Italia, siamo anche interessati agli esteri. Dato il mio background professionale, mi interessano soprattutto gli Stati Uniti e il Medio Oriente.
Discutendo e analizzando tutto ciò che fa parte della sfera democratica e dell’ampliamento dei diritti, in Medio Oriente il nostro sguardo si rivolge a Israele, l’unico paese democratico della Regione – con le sue mille contraddizioni e problemi.
Abbiamo un editorialista che si occupa di questi temi che è Carlo Panella. Al contrario di alcuni giornali e telegiornali – soprattutto durante la recente escalation tra Israele e Hamas – il nostro obiettivo è quello di mettere tutto in prospettiva, raccontando come nasce il conflitto. Fin dall’inizio, siamo stati gli unici a scrivere che l’ultima escalation era il prodotto della guerra intestina tra Hamas e l’Autorità Palestinese in vista delle elezioni.
Come si riesce a mantenere un equilibrio nel racconto giornalistico del Medio Oriente, in particolare del conflitto israelo-palestinese, al tempo della polarizzazione dei social network?
È difficile rispondere a questa domanda. Una domanda che mi pongo da quando ho iniziato questo lavoro. Indubbiamente è sempre stato difficile raccontare le ragioni di Israele, di fatto l’unico Stato democratico del Medio Oriente, di fronte a una marea di persone che dicono il contrario.
Linkiesta ha la volontà di raccontare l’altra faccia della medaglia proponendo un confronto, facilitato e ostacolato allo stesso modo, nel pieno dell’era social. Lo abbiamo fatto per esempio con le ultime elezioni che hanno portato alla formazione del nuovo governo israeliano. Abbiamo infatti sottolineato che in un Paese accusato da molti di praticare l’apartheid e altre falsità, sia nato un governo con un partito arabo. Gli altri hanno invece celebrato la fine dell’era Netanyahu, mentre noi abbiamo evidenziato come lo stesso Stato di Israele sia riuscito a cambiare.
Le notizie sul Medio Oriente sono molto lette?
No, purtroppo la dittatura dell’algoritmo di Google e l’econometria di Internet fanno sì che tu di queste cose non te ne dovresti occupare. Non parlo soltanto di Medio Oriente, ma di tutto ciò che è approfondimento, ragionamento e riflessione. A maggior ragione se l’argomento è un fatto internazionale o lontano dal day by day. Notizie di questo genere fanno pochi click. Però come diceva Enrico Cuccia per le azioni, i click non si contano, si pesano.
Se volessi moltiplicare di 10 o 20 volte i lettori digitali che abbiamo, ci metterei veramente cinque minuti. Basta scrivere del Grande Fratello, delle separazioni dei personaggi famosi, i baci segreti, le star in costume. Ma io non lo faccio. Il mio obiettivo è quello di far circolare le idee e contribuire al dibattito pubblico.
I lettori che leggono le analisi di Carlo Panella non arrivano su Linkiesta per sbaglio ma perché sono interessate agli argomenti che lui tratta – ultimamente le elezioni in Iran. Il nostro approccio è lontano dalla moda di inseguire i trending topics.
Per quanto riguarda il formato degli articoli, Linkiesta sembra privilegiare il long-form distaccandosi dalla brevità della comunicazione digitale. Perché?
Quando chiedo dei pezzi, i collaboratori mi domandano quanto debbano essere lunghi. Rispondo “il giusto per spiegare bene i contenuti”. Penso che se c’è un vantaggio di Internet, è che non ho un ingombro fisso, diversamente dal giornale di carta.
Io ritengo che se ti occupi professionalmente di fare opinione e di contribuire al discorso pubblico, non deve esserci differenza tra carta, digitale, e incontri dal vivo. Le stesse cose le dici allo stesso modo.