Rav Laras con Rav David Sciunnach

Rav Laras: un grande rabbino, un vero saggio

Personaggi e Storie

di Rav David Sciunnach

«Sono onorato di avere potuto lavorare fianco a fianco con lui e di essergli stato accanto per diciotto anni,
fino alla fine». Così Rav David Sciunnach ricorda il suo Maestro Rav Giuseppe Laras, persona di profonda umanità e ironia. E di straordinaria conoscenza

 

Sono tornato in Italia proprio grazie a Rav Laras. Nel luglio del 2000 mi chiamò dicendo che aveva da propormi un incarico. Un lunedì lo incontrai insieme a rav Richetti e al segretario generale della Comunità, Michele Sciama, e mi chiesero se volevo lavorare a Milano. Una proposta che non poteva essere rifiutata, proprio per l’importanza della persona che me la stava facendo. Accettai e da settembre mi trovai subito catapultato nel lavoro con lui. Era un uomo molto pratico e diretto, da cui ho imparato moltissimo: non solo nello studio ma su come instaurare i rapporti con le persone. Nonostante sembrasse freddo e distaccato, era sempre attento con il cuore ai problemi delle persone, dando a tutti consigli non solo rabbinici, ma molto umani, dimostrando che il rabbino non è colui che pone il problema, ma chi deve aiutare a risolverlo.

Uno dei suoi insegnamenti che serbo più caramente è sicuramente quello ispirato alla massima del Pirké Avot “È saggio colui che prevede le conseguenze delle proprie azioni”: che significa che prima di ogni azione si devono prevedere le possibili reazioni e conseguenze. Era un saggio perché non solo aveva una sterminata conoscenza, ma sapeva renderla effettiva in tutte le problematiche, sia giuridiche che personali. Era una di quelle figure che per saggezza, carisma e conoscenza si ha raramente la fortuna di conoscere, e personalmente sono profondamente onorato di essergli stato così vicino quasi diciotto anni, come un figlio con un padre.

E poi era un uomo dotato di una grande ironia. Quando ancora abitavo in via Guastalla e il sabato mattina scendevo poco prima dell’inizio della tefillà del mattino, lo trovavo già seduto con Rav Richetti e mi salutava dicendo “trovato traffico?”.
Con lui parlavo di tutto, anche di argomenti che difficilmente si pensa si possano affrontare con un rabbino: mi coinvolgeva in tutto, voleva sempre avere il mio punto di vista di persona più giovane. E quando capitava che non ci trovassimo d’accordo, mi accorgevo poi che le situazioni evolvevano nella direzione che lui aveva indicato. Aveva ragione il 99% delle volte. Credeva molto nei giovani e nella necessità di investire su di loro. Inoltre, partecipava attivamente alle attività rabbiniche a livello europeo e mondiale, attirandosi l’ammirazione e il rispetto di tutti. Anche quando era ormai malato, non ha mai smesso di difendere i valori in cui credeva e di dare insegnamenti preziosi all’umanità tutta: fu uno dei pochi ad alzare la voce per condannare l’eccidio dei cristiani nei Paesi musulmani e difendere le minoranze perseguitate nei suoi articoli per il Corriere della Sera, sempre lucidi e intrisi di un grande senso etico.
Fino a tre settimane prima di morire, ha lavorato con il Tribunale rabbinico, lasciandomi precise indicazioni su come agire in determinati frangenti. Cercheremo di tenerlo vivo con il ricordo e con tutto ciò che, con il Bet Din, potremo fare in sua memoria. Ancora mi rimane difficile pensare che non ci sia più. Nelle prime settimane dopo la sua morte, al Tribunale rabbinico avevo difficoltà a sedermi sulla sua sedia: mi aspettavo che da un momento all’altro arrivasse e dicesse “Forza fannulloni, iniziamo a lavorare davvero”.

Era una personalità talmente forte che è difficile accettare che non ci sia più. Ma so che la sua anima è presente. E talvolta, quando ho un dubbio su una questione, penso a cosa avrebbe fatto Rav Laras nella stessa situazione. Allora capisco qual è la risposta giusta.