Reichman: «A Herzliya, in Università, ho vinto la scommessa del futuro»

Personaggi e Storie

di David Zebuloni

Dall’idea di un professore anticonformista e lungimirante, la prima Università privata in Israele. “Il compito degli Atenei è quello di investire sulle qualità del singolo individuo, non solo nella ricerca”. Parla Uriel Reichman, fondatore dell’IDC: che oggi continua a crescere

 

Nel panorama dell’istruzione superiore, pochi nomi risplendono con la stessa intensità di quello del Professor Uriel Reichman. Con una carriera che abbraccia decenni di dedizione all’educazione e all’innovazione accademica, Reichman ha lasciato un’impronta indelebile nella comunità accademica israeliana, fondando la prima università privata del Paese che oggi porta il suo nome: la Reichman University, da molti conosciuta come ex IDC (Interdisciplinary Center Herzliya). Tuttavia, il Professore in questione, fervente sostenitore dell’accessibilità all’istruzione superiore, non è stato accolto con tanto entusiasmo dal sistema universitario locale. Al contrario. Chi gode oggi del titolo di visionario e rivoluzionario, un tempo era considerato una spina nel fianco, una persona non grata all’interno della comunità accademica, qualcuno da cui prendere le distanze. «La mia visione nasce da un senso di difficoltà», mi spiega il Professor Reichman, seduti nel suo ufficio all’interno del campus universitario. «Fino a trent’anni fa, i cancelli dell’Accademia non erano abbastanza aperti in Israele. Vi erano sette università nel Paese che avevano il pieno controllo del mondo accademico e non avevano alcun interesse che ci fossero altri organi capaci di fornire delle lauree, oltre a loro. Il risultato era ingiusto: centinaia di migliaia di israeliani non venivano accettati nelle università, veniva proibita loro un’istruzione di altro livello e, di conseguenza, non potevano nemmeno ambire ad un certo tipo di carriera. Oggi sembra assurdo, ma non molti anni fa, questa era la nostra realtà. Nel 1990 c’erano circa 75.000 mila studenti universitari, oggi ce ne sono più di 340.000. In questi anni la popolazione si è forse raddoppiata, ma il numero degli studenti si è quasi quintuplicato. Questi numeri mostrano quanto il problema fosse complesso».

Non solo ricerca
Chi, come me, si è laureato alla Reichman University, conosce alla perfezione il racconto del primo anno della fondazione dell’allora Centro Interdisciplinare IDC. Un aneddoto storico recitato con l’enfasi di un racconto biblico, ma effettivamente capace di suscitare un senso di orgoglio in chi lo ascolta. Certo, in chi ne ha fatto parte. «Quando ho terminato il mio ruolo di direttore della facoltà di giurisprudenza nell’Università di Tel Aviv, ho deciso di voler aprire il mondo accademico a tutti. Volevo mettere in atto una vera e propria rivoluzione. L’idea, la visione, era quella di fondare un’università che fosse diversa rispetto a tutte le altre, che non mettesse il focus solo sulla ricerca, ma che investisse anche nelle risorse umane dello studente», racconta con enfasi. Un attimo dopo, la nostra conversazione viene interrotta da una telefonata. «Scusa, mi chiamano dal Parlamento, devo proprio rispondere», confessa ed esce dallo studio. Passato qualche minuto, torna e prosegue il suo racconto. «Io credo che l’Accademia abbia l’obbligo di preparare i ragazzi alla vita e, pertanto, abbia il compito di mettere in risalto le qualità del singolo individuo. Il mio desiderio è che i ragazzi che studiano nella mia università ricevano tutti gli strumenti necessari per realizzarsi professionalmente in un mondo che cambia di giorno in giorno. Ovviamente la ricerca è parte fondamentale della vita accademica e della nostra in particolare, altrimenti non potremmo definirci un’università a tutti gli effetti, ma credo che la ricerca fine a se stessa non basti più. Questo è il motivo per cui ho deciso di intraprendere questa avventura».

Accadde dunque che il Professor Reichman acquistò un pezzo di terra abbandonato, una ex base militare dimenticata da molti. Racimolò poi alcune donazioni per retribuire i docenti e raccattò alcuni ragazzi confusi, promettendo loro una laurea alla fine dei tre anni di studio, ma senza alcuna possibilità effettiva di garantire loro il tanto ambito pezzo di carta. Il Ministero dell’Istruzione, infatti, non aveva ancora riconosciuto il centro del Professore anticonformista come vero e proprio organo accademico. Il miracolo, tuttavia, è avvenuto appena in tempo: al termine dei tre anni, il primo ciclo di studenti dell’allora IDC ha ottenuto l’anelata laurea. Venticinque anni dopo, lo stesso Centro Interdisciplinare è stato riconosciuto a tutti gli effetti come prima Università Privata d’Israele, oggi in continua espansione. A breve, infatti, la Reichman University aprirà una facoltà di medicina e una facoltà di Hi-Tech, nella quale Google ha già investito 15 milioni di dollari.

 

Il sionismo nel DNA
«Il mio desiderio è quello di formare i prossimi leaders del Paese – afferma l’anziano Professore -. Io sono convinto che l’istruzione ci renda persone libere. Se studiamo, siamo liberi di realizzarci appieno, di essere imprenditori non solo negli affari, ma in ogni ambito della vita. Se siamo uomini liberi, possiamo attivare la nostra mente e la nostra coscienza indipendentemente, correggendo così uno status quo che ci sembra ingiusto o sbagliato. Tuttavia, pur credendo molto nell’individuo, non credo assolutamente nell’individualismo. Al contrario, la realizzazione individuale dell’uomo non fa altro che aumentare la sua responsabilità civile». Poi, aggiunge con una punta d’orgoglio: «La nostra università è l’unica al mondo a definirsi, nella propria costituzione, un’università sionista. Se non fosse stato per l’amore che nutro per il mio Paese, non avrei mai fatto l’immenso sforzo di fondare un’università senza alcun sostegno pubblico, senza alcun finanziamento, senza nemmeno la reale possibilità di fornire ai miei studenti un attestato di riconoscimento al termine dei loro studi. La mia visione accademica è strettamente legata alla mia visione sionista. Veder riuscire i miei studenti, significa per me veder riuscire il mio Paese. Io sono nato prima della fondazione dello Stato d’Israele e ho cominciato la prima elementare proprio nell’anno in cui Israele ha festeggiato il suo primo anno di indipendenza. Quando è scoppiata la Guerra dello Yom Kippur io stavo scrivendo il mio dottorato in America: ho lasciato tutto e sono tornato a combattere. Mio fratello è morto nella stessa battaglia. Sono stato educato a un senso di responsabilità circa il futuro del mio Paese e questo senso di responsabilità mi accompagna giorno per giorno, ogni istante della mia vita».

 

Interdisciplinarietà e internazionalità
L’università in questione vanta anche la più grande scuola internazionale del Paese, con centinaia di studenti e studentesse provenienti da oltre novanta paesi diversi. Tra questi, vi sono anche sessanta giovani italiani: la più alta concentrazione di studenti italiani in Israele. «Uno dei valori nei quali crediamo molto, è l’interdisciplinarità. Noi non vogliamo formare dei professionisti dalle vedute strette, bensì dei professionisti completi – dichiara Reichman spalancando le braccia, come se stesse per abbracciare qualcuno -. Nella realtà nella quale viviamo oggi, non basta conoscere una disciplina sola. Il mercato ci chiede di specializzarci in più e più settori. Pertanto, le nostre lauree sono spesso doppie: giurisprudenza e scienze politiche o economia, per esempio. Presto apriremo una nuova facoltà di medicina, non solo per rispondere alla grave mancanza di medici che c’è oggi in Israele, ma anche per gettare delle basi solide a un nuovo modo di concepire la materia. Pure ai medici del futuro, infatti, verranno chieste le medesime capacità interdisciplinari, soprattutto delle ampie competenze tecnologiche. Crediamo molto anche nella praticità degli studi. Ovvero, ai corsi di pura teoria, accostiamo sempre dei corsi pratici nei quali gli studenti possono concretizzare ciò che hanno studiato e scoprire ciò che faranno realmente dopo gli studi».

A proposito del progresso tecnologico che pare minacciare il mondo accademico, il Professor Reichman si è mostrato sorprendentemente ottimista. «Non so come cambierà il mondo con l’avvento dell’intelligenza artificiale, ma non smetto mai di pensarci e faccio il possibile per farmi trovare pronto al cambiamento. O meglio, per essere parte del cambiamento stesso. Di anno in anno ci evolviamo e miglioriamo, inseriamo nuove tecnologie nei nostri programmi, con il solo fine di rendere gli studenti più umani, ovvero più creativi. L’essere creativo non deve temere la tecnologia, poiché questa verrà solamente a servire i suoi interessi», dice e aggiunge con forza: «L’Accademia non può permettersi di chiudersi in se stessa per il solo timore di essere snaturata. Al contrario. L’Accademia deve scendere in campo e mettersi in gioco, abbracciare la tecnologia e metterla a servizio dello studente». Un attimo prima di congedarmi e salutare definitivamente il campus al quale sono tanto affezionato, domando al Professore come immagina la sua università nei prossimi trent’anni, quando lui non ci sarà più. Reichman sorride, prende un bel respiro, poi risponde: «Sono convinto che ci saranno molti cambiamenti che non possiamo predire, poiché il mondo moderno crea problemi e offre soluzioni alla velocità della luce. Pertanto, non posso che augurarmi che il DNA di questo luogo, che il suo spirito, non cambi mai. Sicuramente il campus subirà una metamorfosi, ma mi auguro che fungerà sempre da casa per gli studenti, che continuerà a mettere l’uomo e l’umanità al centro della ricerca. Poi, ho comprato una tomba qui a Herzliya, quindi di tanto in tanto passerò a dare un’occhiata, per accertarmi che stia andando tutto bene».