di Marina Gersony
Titolo originale: Apropos of Nothing, un’autobiografia attesissima e che fa parlare da giorni ancor prima della sua uscita. Non è l’autobiografia di un personaggio qualunque, bensì di Allan Stewart Königsberg, alias Woody Allen, tra i più celebri umoristi contemporanei che non ha certo bisogno di presentazioni. Bloccata negli Stati Uniti a causa di una serie di colpi di scena e di motivi complicatissimi (degni di una serie tivù family-spy) che cercheremo di ricostruire, il libro come previsto uscirà in Italia il 9 aprile contro ogni forma di censura. Lo ha annunciato lo scorso 6 marzo Elisabetta Sgarbi, direttrice editoriale di La Nave di Teseo, in un tweet: «È mia intenzione rispettare gli accordi con l’autore e pubblicare A proposito di niente il 9 di aprile e spero che questo libro sia di aiuto alle italiane in sofferenza in questo momento».
Come anticipato dai rumors online, il memoir racconta la vita personale e professionale dell’attore, comico, scrittore e regista di culto «attraverso il suo impegno nel cinema, nel teatro, in televisione, nei nightclub e nella stampa». Nonché «il suo rapporto con la famiglia, gli amici, e gli amori della sua vita». Di più per ora non ci è dato sapere. Il testo è ancora secretato e l’ufficio stampa della Nave di Teseo è abbottonato. Intanto vari articoli online spiegano le motivazioni per cui il libro è stato bloccato in Usa; motivazioni che in parte si possono sintetizzare in una frase: affari di famiglia. E che affari! Del resto l’intricata e movimentata vita privata di Woody, come noto, ha sempre appassionato nel bene e nel male pubblico e media almeno quanto i suoi film.
Nel libro pare che il regista affronti, tra l’altro, anche il delicatissimo tema delle accuse di aver molestato la figlia, sostenute dall’ex moglie Mia Farrow che Allen aveva lasciato per mettersi con la figlia adottiva di lei, Soon-yi Farrow Previn; stesse accuse sostenute dal figlio biologico di Allen e Mia, Ronan Farrow (noto soprattutto per aver scritto gli articoli per il New Yorker che hanno contribuito a sollevare gli scandali sessuali legati ad Harvey Weinstein) e infine dalla presunta vittima, Dylan Farrow. Calunnie che non sono mai state provate e smentite dalle indagini e che Allen ha sempre negato e per le quali non ha mai subito alcun processo procedendo con sempre maggiore successo nella sua sfolgorante carriera.
Quando ha saputo della pubblicazione dell’autobiografia di suo padre, Ronan Farrow ha espresso tutto il suo disappunto definendo «molto poco professionale» il comportamento di Hachette, la casa editrice con la quale aveva a sua volta rapporti di lavoro, accusata di «mancanza di etica ed empatia nei confronti delle vittime di violenza sessuale». In un’email ottenuta dal New York Times, Farrow ha precisato che «ovviamente» non lavorerà più con la casa editrice. (Il suo libro Catch and Kill: Lies, Spies and a Conspiracy to Protect Predators, è stato pubblicato lo scorso anno da Little, Brown and Company, una divisione di Hachette).
Sull’argomento è intervenuta quindi anche la sorella Dylan in sostegno del fratello: «La pubblicazione del memoir di Woody Allen da parte di Hachette mi disturba profondamente sul piano personale ed è un assoluto tradimento nei confronti di mio fratello».
Hachette ha quindi fatto un passo indietro e deciso a quel punto, con l’imprimatur dei dipendenti che sono scesi in strada arrabbiatissimi in difesa di Dylan e Ronan, di non procedere con la pubblicazione del libro che per altro aveva già subito un forte ostracismo lo scorso anno, quando era stato rifiutato dalle maggiori case editrici americane. I sostenitori di Allen a loro volta non si sono fatti attendere esprimendo massimo sostegno al regista: uno fra tutti Stephen King che ha criticato senza mezzi termini la decisione di Hachette. («Se pensi che sia un pedofilo, non leggere il suo libro. Non vedere i suoi film – ha twittato il noto romanziere»).
Non resta che rimanere in attesa dell’autobiografia di questo grande artista dall’inconfondibile sense of humor. Un artista geniale, considerato «il più europeo» tra i registi d’oltreoceano, famoso per aver saputo raccontare con autoironia le crisi esistenziali degli ambienti intellettuali e i vizi e virtù della comunità ebraica newyorkese.