di Fiona Diwan
E’ un messaggio volutamente provocatorio quello che il regista Roberto Faenza ha scelto per la pagina di promozione del suo nuovo film Anita B., in uscita nelle sale il 16 gennaio, e che fa esplicitamente riferimento al programma di Raiuno condotto da Carlo Conti, in cui spesso i concorrenti dimostrano di non conoscere gli eventi della Storia e la loro cronologia. (Di recente, infatti, ha fatto scalpore la puntata in cui i concorrenti non sapevano quando Hitler fosse salito al potere in Germania). Come era inevitabile, la provocazione ha suscitato una valanga di reazioni sui social network . “L’ho fatto alla luce dell’ignoranza spaventosa di questo paese che vuole dimenticare tutto, la memoria è un fastidio, il pensiero è un fastidio – dice Roberto Faenza in un’intervista a Repubblica -. Ci sono tanti giovani eccezionali, ma la tendenza è di vivere a 100 all’ora, attaccati a strumenti tecnologici, altrimenti si va in ansia. Mai un momento di meditazione. Non è così in altri Paesi”.
L’intervista a Roberto Faenza
Un’apparenza severa di modi e di parole. Salvo quando sorride, con lo sguardo che si accende di un’allegra luce maliziosa. Per Roberto Faenza, nato a Torino, classe 1943, regista, sceneggiatore e docente universitario, il destino è qualcosa che si inscrive nella sospesa dolcezza dell’infanzia o, ancora, nella nervosa e seminale inquietudine dell’adolescenza. Destino come una sorta di caduta degli angeli ribelli, angeli intesi come coscienza infelice e critica del proprio tempo, votati a cogliere storture e poesia dell’epoca storica che attraversano. Un po’ come fanno i suoi personaggi o come ha fatto lui stesso. Una storia controcorrente quella di Faenza: prima dissacrante e poi soavissima e delicata, con film impegnati e politici agli esordi di carriera e poi, più di recente, introspettivi, intimistici e psicologici. Un outsider del cinema che oggi vive tra gli Stati Uniti e l’Italia, con una biografia intellettuale scomoda, passato alla storia per aver firmato film di denuncia talmente politicamente scorretti da decretarne addirittura la messa al bando dal mondo cinematografico italiano degli anni Settanta (con film come Escalation, H2S, Forza Italia), fino alla consacrazione, nel 1993, con il David di Donatello, per Jona che visse nella balena, e poi con Sostiene Pereira, Prendimi l’anima e oggi con l’ultimo Anita B., tratto da un romanzo di Edith Bruck (Quanta stella c’è nel cielo, Garzanti), con cui Faenza ritorna sul tema della Shoah. Ben girato e ben recitato (con qualche difetto di sceneggiatura), il film ha per protagonisti attori davvero bravi: il celebre Robert Sheehan – idolo delle ragazze -, Eline Powell e il nostro Moni Ovadia, capace quest’ultimo di esprimere una maturità artisica davvero ragguardevole.