di Roberto Zadik
Cos’è la guerra e qual è il suo rapporto con la storia del mondo e dei singoli nel corso dei secoli? Come si è evoluta la guerra nel tempo e com’è cambiato il modo di combattere nelle varie epoche ? A queste ed altre domande cerca di rispondere Enzo Rutigliano nel libro “Guerra e società” (Bollati Boringhieri, Torino, pp. 134, € 10.00).
Rutigliano, docente di Storia del pensiero sociologico presso l’Università di Trento, analizza in maniera efficace e concisa un tema complesso come la guerra e le sue “modalità” di esecuzione. Nelle 134 pagine del libro Rutigliano parte dalle definizioni generali, quelle dei grandi pensatori come Hobbes, Clausewitz, Bothoul, per arrivare a confrontare fra loro i conflitti e la loro evoluzione nella storia – dalle spade e gli scudi dell’antica Grecia, alle strategie basate sulla passività e lo studio dell’avversario prima dell’attacco, come nella Cina di Sun-Tzu, fino al terrorismo tecnologico dei giorni nostri. L’autore prende in esame poi i diversi modi di concepire la guerra e di combatterla, e le ripercussioni che queste guerra hanno avuto, e continuano ad avere, sulle società. Si sofferma infine su come è cambiato il modo di fare la guerra nel corso dei secoli e su come lo scontro – elemento ineliminabile dalla società e implicita nella natura umana e nello scontro fra etnie e gruppi sociali – sia diventato sempre meno fisico e invece sempre più a distanza e preciso nel colpire gli obiettivi. A questo proposito, cita le bombe atomiche sganciate nell’agosto del 1945 dagli aerei americani su Hiroshima e Nagasaki. Col passare del tempo, afferma ancora l’autore, le tecnologie e il potere mediatico e informatico di televisione, computer e internet hanno modificato sempre di più il modo di fare la guerra. Dimostrazione di questo, l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, o la strage alla stazione di Madrid del 2004 – attacchi sempre più sofisticati e ad alto rischio, concepiti tenendo conto sia dei metodi tipici del fondamentalismo sia dei mezzi tecnologici.
Professor Rutigliano, qual è il rapporto, oggi, fra guerra e società in Europa anche in relazione a quanto sta accadendo nel mondo arabo?
Il rapporto consiste nell’osservare come le guerre si siano sviluppate nella società e il contrario, ovvero in che modo alcuni tipi di società abbiano prodotto certi conflitti. La guerra produce un cambiamento della società e il rapporto è questo. Per quanto riguarda il mondo arabo e quanto sta accadendo, anche in questi giorni, a mio avviso non ci sono pericoli di conflitto per l’Europa, anche se, comunque, la questione, soprattutto per l’Italia, ci riguarda da vicino. Per l’Europa il pericolo di guerre è assente anche se in merito alle rivolte del mondo arabo manca una presa di posizione unitaria e generica. La questione del mondo arabo ci riguarda molto da vicino e penso che se ne parli con un distacco eccessivo e ogni paese europeo valuti la situazione sulla base dei propri interessi. L’America non si è accorta in tempo della situazione e la sua reazione è stata troppo lenta. In Iran, l’America, l’Occidente non hanno realmente compreso cosa stesse succedendo; lo stesso vale per le rivolte odierne nel mondo arabo dove la situazione è molto complessa e non sappiamo se quali sviluppi avrà – nuove libertà o regimi autoritari peggiori di quelli che sono caduti.
Pensa che Israele sia in pericolo? come vede il futuro per l’Italia e per lo Stato ebraico alla luce dei cambiamenti in atto nel mondo arabo?
Non credo che Israele sia in pericolo visto che l’America in caso di attacchi non lo lascerà solo. Lo Stato ebraico, rappresenta l’Occidente in Medio Oriente e ha notevolissime capacità di difesa. Comunque sia, però, tutte le rivoluzioni hanno dentro di sè il pericolo del fondamentalismo islamico e nel caso esso dovesse prevalere allora sarebbe un rischio per Israele. Riguardo all’Italia le conseguenze possono essere di natura economica e un forte afflusso di nuovi immigrati.
Secondo la sua opinione, il fatto che Israele viva in perenne stato di guerra come ha influito sulla società e sulla politica?
Su questo argomento posso fare riferimento alle mie letture. Ai libri di David Grossman. Israele è un paese molto stressato che vive in una tensione costante e questo mi è stato confermato anche da Haim Baharier nel corso di una ricerca. Questa tensione derivata dall’essere sempre minacciato non solo ha delle conseguenze pesanti sui singoli, a livello psicologico, ma si trasforma in una costante autodifesa a livello politico che non favorisce un clima di apertura diplomatica.
Pensa che sarà possibile per Israele una pace stabile con il mondo arabo anche e soprattutto alla luce degli eventi attuali?
Questo clima non favorisce la distensione e lo stato d’assedio costante in cui si sente Israele non favorisce la disponibilità ad arrivare a compromessi duraturi. La pace deve essere qualcosa che soddisfa entrambe le parti e nella situazione di costante tensione e pericolo in cui si trova Israele, la realtà tende a rimanere statica e non dinamica, priva cioè di cambiamenti significativi.