di Anna Lesnevskaya
Un cimitero e la sinagoga, ecco quel che rimane in Eritrea della comunità ebraica, legata a questa terra da mezzo secolo di storia. Nel momento della sua massima prosperità, negli anni Cinquanta, contava circa 500 persone. «Molte famiglie ebraiche hanno i loro cari sepolti qui, senza poter più visitare le loro tombe», dice con rammarico Guido Viganò Artom che di recente ha visitato la parte ebraica del cimitero monumentale italiano di Asmara e ne ha documentato l’abbandono.
Lo scoppio, nel 1998, della nuova guerra di confine tra Eritrea ed Etiopia, segnò di fatto la fine di una breve parentesi di speranza per una svolta democratica nel Paese del Corno d’Africa. Il governo del presidente Isaias Afewerki si chiuse nel guscio dell’isolazionismo tramutandosi in un regime dittatoriale, rendendo quindi difficile l’ingresso in Eritrea.
Guido Viganò Artom ha avuto la fortuna di sbarcare in Eritrea nel 1993, quando il Paese aveva appena ottenuto l’indipendenza dall’Etiopia e si sperava che tutti coloro che anni prima fuggirono dal regime marxista del governo militare del Derg, compresa la comunità ebraica, avrebbero potuto fare ritorno.
In Eritrea, nel suo periodo d’oro, le religioni hanno convissuto in una pace straordinaria. Un’esperienza questa le cui tracce rimangono tutt’ora ad Asmara, come racconta Artom, che a 26 anni arrivò in barca dall’Italia nel porto eritreo di Massawa, per partecipare in qualità di biologo al progetto del Parco Nazionale Marino delle isole Dahlak: «Ad Asmara mi ha colpito questa incredibile tolleranza religiosa, cosa rara in Africa, grazie alla quale la chiesa copta, quella cattolica, la moschea e la sinagoga sorgono a pochi passi l’una dall’altra, nel centro della città”.
La sinagoga di Asmara fu costruita nel 1906 da un gruppo di ebrei sefarditi insediatisi in Eritrea da qualche decennio. La storia di questa comunità è stata ricostruita dagli studi di Marco Cavallarin che nel 2004 vi ha dedicato, insieme al fotografo Marco Mensa, una mostra fotografica e il bel documentario Shalom Asmara.
I primi ebrei giunsero a Massawa nella seconda meta dell’Ottocento, prevalentemente provenienti da Aden, porto meridionale della penisola araba, all’epoca sotto il dominio britannico, racconta Cavallarin. Infatti, quegli ebrei avevano in tasca passaporti inglesi ed erano attratti dalle prospettive commerciali che si aprivano dopo l’apertura del canale di Suez e la nascita della colonia italiana dell’Eritrea.
All’Italia li legava anche la lingua: secondo una diffusa voce, gli ebrei adeniti parlavano un italiano seicentesco. Avrebbero trovato rifugio a Livorno e Ancona dopo l’espulsione dalla Spagna nel 1492 e alla fine del Seicento sarebbero arrivati in Oriente seguendo le vie della seta e delle spezie.
Fuggendo dalle persecuzioni degli Sciiti sbarcarono in Eritrea anche gli ebrei yemeniti, che si distinguevano dagli adeniti. Mentre questi ultimi si dedicarono principalmente alle attività commerciali – negozi di tessuti e gioiellerie -, gli yemeniti erano più poveri, senza passaporto e si diedero all’agricoltura.
Dopo il terremoto del 1921 a Massawa, gli ebrei provenienti dall’Arabia si spostarono in altipiano, ad Asmara, una bella cittadina costruita per la maggior parte durante il ventennio fascista e che, secondo le testimonianze di che ci ha vissuto, sembrava una “piccola Roma”.
Anche gli ebrei frequentavano, per la maggior parte, le scuole italiane e il legame tra le due comunità era molto forte. La comunità locale non conobbe mai persecuzioni pari a quelle che subirono gli ebrei in Europa, ma la discriminazione razziale ebbe luogo anche in Eritrea.
Cavallarin riporta diverse testimonianze di come, dopo la promulgazione delle Leggi Razziali del 1938 e della loro adozione da parte del governo dell’Aio – Africa Orientale Italiana, che comprendeva possedimenti coloniali dell’Italia nel Corno d’Africa -, diversi ebrei impiegati nel settore della cultura e dell’educazione persero il loro posto di lavoro.
Un altro capitolo poco conosciuto della storia degli ebrei nelle colonie africane dell’Italia riguarda il progetto, mai realizzato, di Mussolini di fermare la nascita degli insediamenti ebraici nella Palestina, spingendoli verso un preciso territorio in Etiopia da sempre abitato dai falascià, i celebri ebrei etiopi noti anche come i Bate’i Israel. Anche i fascisti conoscevano la storia secondo cui questa comunità popolava gli altopiani del nord dell’Etiopia già dai tempi della regina Saba e si distingueva per un antica forma di giudaismo basata esclusivamente sulla Torà.
Quando nel 1974 il dittatore filo marxista Menghistu fece un colpo di Stato destituendo l’imperatore etiope Hailè Selassiè, iniziò il declino anche della comunità ebraica dell’Eritrea, che dal 1962 era stata una provincia dell’Etiopia.
Tante persone avevano già fatto l’aliyà nel 1948, con la costituzione dello Stato ebraico. Ma la maggior parte degli ebrei asmarini se ne andò quando il regime avviò la nazionalizzazione delle proprietà.
Nel 1975 espatriò anche rav Shleme Shoa, l’ultimo rabbino. Ora la sinagoga di Asmara è chiusa e viene custodita dall’ultimo ebreo della città, il sessantaseienne Sami Cohen. Lui si ricorda ancora quando le panche del tempio erano tutte occupate durante le cerimonie. L’ultima volta che si sono di nuovo riempite, come ai tempi d’oro, è stato nel 2006, quando circa 300 ebrei asmarini provenienti da tutto il mondo si sono riuniti per il centenario della sinagoga. Si proiettava il documentario di Cavallarin, Shalom Asmara, la storia, piena di dolcezza e di nostalgia, del ritorno di un ebreo asmarino nella luce abbagliante della sua città.