di David Zebuloni
Intervista a Neta Riskin e Yoav Rotman, Giti e Hanine in Shtisel. Non solo il racconto della vita haredì ma le eterne contraddizioni, i conflitti e le ferite che legano tra loro gli esseri umani. Giti e Hanine sono personaggi complessi. Parlano gli attori che li hanno interpretati, intervistati in esclusiva per noi: sfumature, sensibilità, durezze e delicatezza di un mondo vicino e lontano.
Giti e Hanine sono i personaggi più rigorosi del mondo di Shtisel. Ad unirli, infatti, vi è la percezione estrema che hanno del mondo ortodosso. I due non guardano mai a destra e sinistra, non vivono il conflitto del mondo interiore con quello esteriore. Giti e Hanine sono forse i personaggi più ortodossi della famiglia Shtisel perché si attengono unicamente alle regole prescritte dalla religione. Non cercano di adattare l’ortodossia a se stessi, ma se stessi all’ortodossia. «Giti, più di chiunque altro, vive la sua vita secondo un codice prestabilito – mi spiega Neta Riskin, l’attrice che interpreta Giti nell’acclamata serie tv. – Lei non cerca mai delle scorciatoie, non cerca mai dei sotterfugi. Al contrario, lei vive il mondo ortodosso nel modo più assoluto possibile. Nel suo caso non si tratta nemmeno di una questione di fede, la sua è proprio una concezione ortodossa del mondo e della vita, che non può essere messa in discussione in alcun modo e per nessun motivo».
Come accade dunque che due attori molto lontani dal mondo ortodosso, riescano a interpretare in modo tanto credibile due personaggi caratterizzati proprio dalla loro ortodossia ostentata? «Credo che siano i dettagli a renderci tanto credibili agli occhi degli spettatori. In Shtisel c’è una ricerca del dettaglio che è quasi maniacale. Agli autori non basta farci indossare un cappello o un abito nero. No, è fondamentale che il cappello sia identico a quello usato nel quartiere di Geula a Gerusalemme», mi racconta Yoav Rotman, l’attore che interpreta il giovane Hanine. «La produzione ha investito moltissimo affinché imparassimo a conoscere il mondo ortodosso in ogni sua sfumatura – aggiunge Neta. – Abbiamo trascorso giorni e notti nei quartieri ortodossi a Gerusalemme. Ore e ore di confronto con dei mentori ortodossi affinché assimilassimo il loro modo di parlare, di muoversi, di gesticolare, di annuire, di respirare. L’obiettivo non era quello di travestirci da ultraortodossi. L’obiettivo era quello di renderci ultraortodossi nel senso più umano del termine. Di connetterci al loro mondo interiore, prima ancora di indossare quello esteriore».
Tanto rigorosi sul piccolo schermo quanto liberali nella vita reale, Yoav e Neta provengono da due famiglie profondamente e convintamente laiche. «Io vengo da una famiglia estremamente laica, forse la più laica che ci possa essere – mi confessa Yoav. – Grazie a Shtisel ho avuto l’opportunità di conoscere l’ebreo ortodosso al di là della barba e del cappello. Eppure ancora oggi mi capita di non capire appieno il loro mondo. Quando vedo i conflitti nei media tra i laici e gli ortodossi, questi ultimi mi sembrano tanto diversi e tanto lontani dal mio Hanine, che non riesco proprio a riconoscerli».
Anche Neta racconta di non aver mai avuto contatti con il mondo ortodosso, prima di aver recitato in Shtisel. «Più che laica, la mia famiglia era proprio anti religiosa. Non ho idea di come io sia arrivata a recitare Giti in Shtisel, considerata l’educazione che ho avuto in casa -, afferma l’attrice evidentemente divertita dal paradosso. – Più che provare empatia nei confronti degli ebrei ortodossi, oggi credo di riuscire a capirli un po’ meglio. Una comprensione puramente tecnica, che mi permette forse di vederli sotto un’altra ottica. Però il sentimento che nutriamo per il mondo di Shtisel è fine a se stesso, è fine alla serie tv. Non credo di aver cambiato la mia percezione degli ortodossi dopo averli interpretati».
La magia dell’incontro tra il mondo laico e quello ortodosso, d’altronde, non avviene solo tra gli attori e i personaggi da loro interpretati, ma anche tra gli spettatori e quel mondo mistico dell’ortodossia ebraica a loro sconosciuto. «Una volta Amos Oz disse che più una storia è personale e più risulta essere universale. Il rapporto particolare che lega gli spettatori a Shtisel si basa proprio su questo principio – mi spiega Yoav. – Non devi necessariamente conoscere o appartenere al mondo ortodosso per apprezzarne i contenuti. Sono sicuro che anche in Italia, e non solo a Gerusalemme, ci sono persone che tengono alla propria famiglia. Persone che coltivano i loro sogni. Ecco, sono questi gli elementi comuni che oltrepassano le barriere culturali e permettono allo spettatore di legarsi ai personaggi di Shtisel».
Anche secondo Neta, il tema principale della serie è proprio quello che caratterizza i rapporti tra gli esseri umani. «Shtisel non parla di fede o di ebraismo. Pensaci: in tre stagioni, c’è stata una sola scena ambientata in un tempio. A Shtisel non interessano affatto i rituali folcloristici, ma solo ed esclusivamente i rapporti umani», racconta l’attrice. «Noi giudichiamo sempre il prossimo a seconda delle sue azioni. Non importa quali fossero le sue intenzioni: è ciò che fai a determinare chi sei. Ecco, Shtisel riesce invece a mettere in primo piano le intenzioni degli esseri umani.
Non importa se alla fine tutto va storto, l’importante sono le intenzioni pure di chi si è comportato in un determinato modo. Di chi ha preso una determinata decisione. D’altronde, non esiste nulla di più umano in un’intenzione giusta che porta a un’azione sbagliata».
La terza stagione di Shtisel ha un taglio più drammatico rispetto alle stagioni precedenti, tanto che la critica si è domandata ripetutamente quale sia lo scopo di questa produzione: intrattenere lo spettatore? Gettare luce su una realtà a molti sconosciuta? Criticare un mondo chiuso e apparentemente non al passo con i tempi? «La cosa più bella del mondo di Shtisel è che qui nessuno viene mai criticato e nessuno viene mai giudicato – dice Neta Riskin. – Non esistono buoni e cattivi. Non esiste giusto o sbagliato. Shtisel racconta un mondo complesso, con tutti i suoi pregi e tutti i suoi difetti. Poi sta allo spettatore interpretarlo con la propria sensibilità».
Yoav Rotman, che da personaggio di nicchia diventa protagonista assoluto nella terza stagione, si dichiara molto felice del risultato ottenuto dagli autori. «La terza stagione è più matura rispetto alle stagioni precedenti. Sono trascorsi cinque anni dall’ultima volta che ci siamo incontrati sul set e siamo tutti molto cresciuti da allora. Sia professionalmente, sia umanamente – afferma il giovane attore. – Sono felice che gli autori abbiano dato un tono più drammatico e intenso alla sceneggiatura, perché la trovo più in linea con la realtà che stiamo vivendo in questo periodo della storia».
Quando domando loro di un’eventuale quarta stagione, i due scuotono la testa in modo tanto enfatico, quasi violento, da insospettirmi un po’. Non sapete nulla a riguardo?, insisto. Neta e Yoav fanno il gesto di no con la mano, no con la testa, confermano di non saperne ancora nulla, ma il loro sguardo mi lascia intendere che presto sentiremo ancora parlare di loro. Non ci resta che aspettare.
Foto in alto: Giti (Neta Riskin) – credit Vered Adir