di Fiona Diwan
Intervista a Bat Ye’Or, la studiosa anglo-svizzera che inventò il termine Eurabia. Il processo dell’Aja. Il nuovo antisemitismo e il futuro dell’Europa. Parla una delle voci più controverse e lucide del pensiero politico degli ultimi sessant’anni, ugualmente amata e osteggiata dall’establishment politico, accademico, giornalistico. Bat Ye’Or continua a fustigare un’Europa dal ventre molle, senza spina dorsale, che ha rinnegato la propria identità. Un’intervista in esclusiva
Da decenni mette in guardia l’Occidente dal pericolo di svendere i valori di Atene e Gerusalemme per barattarli con quelli de La Mecca. Considerata una sorta di Cassandra controversa e lucida, insieme violentemente contestata e entusiasticamente plaudita nei salotti della politica, sui giornali internazionali, nelle assisi accademiche, Bat Ye’Or è ancora oggi una figura coraggiosa, una voce fuori dal coro, influente, ugualmente amata e osteggiata dall’establishment, che da anni vive sotto protezione.
Fu lei a coniare il termine Eurabia, adottato da Oriana Fallaci più di cinquant’anni fa, ed è lei che ancora oggi continua a fustigare un’Europa dal ventre molle, senza spina dorsale, che ha rinnegato la propria identità e capitolato di fronte ai propri interessi economici e a una politica affamata di voti elettorali, quelli degli immigrati. Un’Europa multi-culti, inghiottita da un relativismo culturale che la sta uccidendo, a cui si deve l’invenzione del “popolo palestinese” nato negli anni Sessanta grazie alla politica del francese Georges Pompidou che con l’idea della palestinità decise di sacrificare Israele.
Nata a Il Cairo in un’agiata famiglia ebraica, da padre italiano e madre francese, scappata a 23 anni dall’Egitto, oggi cittadina inglese e svizzera (vive a Ginevra), Bat Ye’Or al secolo Gisèle Orebi è una studiosa e saggista (vedi box a destra) che ha dedicato la vita allo studio dei Dhimmi, le minoranze in terra d’Islam, alla loro condizione di sudditanza e alla denuncia della colonizzazione araba dell’Europa, Eurabia appunto, un’inflitrazione progressiva promossa e voluta, secondo lei, dalla stessa Unione Europea. Eurabia come il volto oscuro e nascosto di un’Europa che rimuove la Bibbia per accogliere il Corano, sostituendo i valori giudaico-cristiani con quelli dell’islam, “cancellando il Gesù ebreo che prega al Monte del Tempio col Gesù musulmano-palestinese che predica il Corano sulla Spianata delle moschee”. A Bat Ye’Or si deve il conio di numerosi neologismi e espressioni poi entrati nel gergo politico: palestinismo, palestinizzazione, dhimmitudine e i concetti di “islamizzazione del cristianesimo” e di “utopia andalusa”.
Sposata con lo storico David Littman (mancato nel 2012), tra i suoi estimatori ci sono studiosi come Niall Ferguson e Jacques Ellul, Bernard Lewis e Daniel Pipes, scrittori come Michel Houellebecq. Tra i suoi detrattori invece, molti gli accademici che ne stigmatizzano lo spirito di crociata, una tendenza al complottismo, l’enfasi gratuita e stravolgente sul concetto di dhimmi, concetto estremizzato in senso negativo pur di piegarlo alle sue tesi. Alla luce degli ultimi accadimenti, dell’attuale conflitto in Medio Oriente e dei fatti del 7 ottobre abbiamo incontrato la celebre studiosa. Ecco l’intervista in esclusiva a Bat Ye’Or.
Israele alla sbarra degli imputati alla Corte Internazionale dell’Aja: dalle argomentazioni formulate dal Sudafrica sembra emergere che quella di genocidio sia una forzatura strumentale mentre il vero scopo sarebbe in realtà sancire la totale illegittimità dell’esistenza di Israele (esistenza, secondo gli accusatori, fraudolenta, usurpata fin dal 1948). Un processo che è un disonore e un’indecenza: non per chi lo subisce ma per chi lo promuove, l’Affare Dreyfus del secolo, hanno detto alcuni. Quali pensa possano essere gli esiti di questo confronto giudiziario e che idea si è fatta dell’intera questione? Secondo lei Israele ha fatto bene ad accettare questo confronto?
L’attribuzione di illegalità allo Stato di Israele scaturisce da una scandalosa ignoranza della storia dell’umanità che non possiamo imputare al popolo civilizzato dell’Africa del Sud. Tutto il mondo sa che la nazione di Israele viveva in questo paese da più di Tremila anni. È questa nazione che eresse le antiche città che vediamo oggi e che descriveva questo paese nella stessa lingua che oggi viene parlata dal popolo d’Israele. L’attribuzione di illegalità scaturisce quindi da altre ragioni. Una di queste sarebbe la persistenza dell’antisemitismo cristiano che aveva condannato il popolo ebraico all’esilio e che, per impedire il ritorno degli esiliati nella loro patria, sterminò in Europa sei milioni di ebrei nel 1936-45. O se volete, con lo stesso registro, potremmo invocare l’ideologia del Jihad che proibisce sull’intero pianeta qualsiasi governo che non sia quello della shaaria. Nella nostra epoca di Jihad “mondializzato”, assistiamo al risorgere del nazi-islamismo degli anni Trenta. Questo movimento fu creato da Amin El Husseini, il rappresentante dei Fratelli Musulmani nella Palestina sotto mandato britannico. El Husseini fu finanziato dall’Italia fascista e dal partito nazista. È questo movimento che ha unito l’antisemitismo nazista europeo e l’islamo-nazismo che oggi promuove lo sradicamento dello Stato di Israele. Penso che Israele abbia fatto bene ad affrontare il “diavolo” davanti al tribunale dell’Aja. L’ha fatto in nome dei valori universali che ha dato alla civilizzazione: quelli della libertà, dell’uguaglianza degli esseri umani e della sacralità della vita. Quelli della carità e dell’amore verso il prossimo, quello della speranza nell’amore che redime.
Qual è il ruolo delle élite intellettuali in questa ondata di antisemitismo, la più violenta dagli anni Trenta ad oggi? Siamo davanti a un nuovo tradimento dei chierici?
Sì è un tradimento dei chierici, specie nell’alleanza del potere politico con i media, l’insegnamento, l’università, la soppressione di ogni pensiero contrario alla doxa politica attraverso una caccia alle streghe di carattere totalitario. Ne ho fatto io stessa l’amara esperienza con l’ostracismo e la criminalizzazione del mio lavoro.
Esiste, secondo lei, un serio pericolo che gli Usa abbandonino gli ebrei e Israele? Il pensiero woke ha operato un rovesciamento totale nell’opinione pubblica, nelle università, tra i giovani… Come vede la situazione oggi negli USA?
Sarebbe possibile, in effetti, che gli Stati Uniti abbandonino Israele. Non dimentichiamo che fino alla Seconda Guerra Mondiale, l’antisemitismo era molto diffuso nella classe politica e tra i miliardari americani. Dopo la disfatta della Germania numerosi uomini di pensiero e di scienza, e anche molti militari nazisti, emigrarono negli Usa, nel quadro della Guerra Fredda e della lotta al comunismo. Ai nostri giorni, la presidenza di Barack Obama ha rinforzato i movimenti antisionisti, e le tesi filo-palestinesi di Edward Said hanno trionfato nelle università. A tutto questo si aggiunge la strumentalizzazione dell’antisionismo da parte di ebrei americani desiderosi di implementare la loro carriera e guadagnare popolarità e favore, strumentalizzando e usando l’odio verso Israele. D’altra parte il pensiero woke non mira a colpire solo lo Stato ebraico ma punta – ancor di più – a distruggere la civiltà giudaico-cristiana per sostituirla con l’impero del caos.
Il clima odierno in Occidente viene spesso paragonato con quello degli anni Trenta. È d’accordo?
In effetti, vi si riconoscono aspetti simili come ad esempio l’odio paranoico contro lo Stato di Israele nei media occidentali e nelle politiche genocidarie di Hamas, dell’ANP, dell’Iran, politiche pubblicamente dichiarate senza che nessuno abbia fatto un plissè, senza che nessuno sembri esserne disturbato. Come negli anni Trenta troviamo la fusione dell’euro-nazismo con l’islamo-nazismo. Poche persone sanno che il mondo musulmano aderiva alle tesi naziste. La maggior parte della gente lo ignora del tutto. Nel periodo tra le due guerre mondiali, il movimento fascista italiano e quello nazista tedesco finanziarono dei movimenti paramilitari in Egitto, Libano, Siria, e soprattutto finanziarono il Gran Muftì El Husseini che divenne il leader del movimento nazionale arabo in Palestina che riuniva insieme cristiani e musulmani. Durante la Seconda guerra mondiale le masse musulmane si infiammarono per il nazismo. Numerosi volontari musulmani, arabi e europei, servirono nelle SS e nella Wermacht. Degli ufficiali arabi di alto livello provenienti dall’Egitto, dalla Siria e dall’Iraq collaborarono con le forze naziste. Dopo la guerra, questi paesi, diventati indipendenti, accolsero i criminali nazisti. Molti si convertirono all’islam e si consacrarono alla formazione militare dei terroristi palestinesi e alla propaganda anti-israeliana. L’islamo-nazismo esprime la nazificazione dell’odio per gli ebrei contenuto nel Corano e negli Hadith. È un prodotto ideologico esplosivo e virulento inventato dai nazisti e dai loro agenti musulmani tra cui, in primo luogo, Amin El Husseini, il fondatore della lotta anti-ebraica degli arabi di Palestina. Oggi ritroviamo questa stessa alleanza tra l’Europa e i Paesi musulmani nel sostegno del “popolo palestinese”, un popolo fittizio, inventato alla fine degli anni Sessanta per rimpiazzare Israele. Negli anni Trenta e Quaranta si sterminò il popolo ebraico perché, semplicemente, se ne negava l’umanità. Oggi si nega l’identità storica dei suoi sopravvissuti. Come disse il mio amico Giulio Meotti, è la Shoah della Memoria messa in campo per legittimare la soppressione di Israele.
Lei concorda con la definizione di scontro di civiltà postulata decenni fa da Samuel Huntington? Stiamo assistendo al “suicidio occidentale”, come sostengono molti storici e opinionisti? Un attacco frontale e violentissimo alle democrazie in vista di instaurare un cambio di paradigma e un nuovo ordine politico?
Sì, condivido questa opinione. Avevo già segnalato nel mio libro Il Declino della Cristianità sotto L’Islam questo scontro di civiltà, a mio avviso iniziato con gli attacchi terroristici palestinesi contro le sinagoghe (vedi quella di Roma nel 1982, ndr), gli ebrei europei e gli israeliani. Nessuno all’epoca ci credeva ma era evidente che il terrorismo palestinese, con la tattica del Jihad, mirava a imporre all’Occidente l’ordine politico della shaaria. Questo ordine esigeva la lotta per sradicare Israele e i suoi sostenitori in Occidente al fine di isolarlo e farne uno Stato-paria e così indebolirlo. Ma di fatto, questo, non era che un tassello sintomatico di un Jihad generalizzato contro gli Stati e i popoli miscredenti e infedeli.
Secondo lei, sono ancora molti i politici oggi nel mondo occidentale che pensano che Israele sia “un incidente della storia”, come lei stessa dichiarò anni fa? (penso ad esempio a Melenchon in Francia, ai politici spagnoli, al Labour party prima, durante e post Corbyn…)
Tutte le pressioni e le minacce dell’Unione Europea e del governo di Joe Biden per creare nel cuore del minuscolo Stato di Israele un secondo Stato arabo musulmano, judeinrein, senza ebrei, con Gerusalemme come capitale, mira a fare di Israele un “incidente della storia”. E poiché certi politici invocano il ricorso a una forza esterna (europea?) per creare questo Stato arabo islamico, ecco allora che si profila, in prospettiva, una seconda Shoah.
L’Europa e la resa alla Jihad
Nel 2016, all’indomani dall’attentato alla chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray lei dichiarò che “Una politica strutturata che si opponga al jihadismo è inesistente in Europa”. Sono passati otto anni, è ancora d’accordo con quanto disse allora?
Adesso la situazione è un po’ diversa. Quando nel 2016 l’avevo affermato, il Jihad era un tema quasi tabù, proibito, fin dagli anni Settanta. Tuttavia indica un’ideologia religiosa che, durante 13 secoli, ha stabilito il tipo di relazioni autorizzate dalla shaaria tra musulmani e infedeli. È dunque un ambito che è fondamentale conoscere per comprendere oggi le politiche degli Stati musulmani che applicano la shaaria nei loro paesi e, in particolare, alla componente di immigrati proveniente da questi Paesi. L’occultamento del tema della Jihad è l’elemento essenziale della politica adottata dalla comunità europea nel novembre del 1973 con i paesi della Lega Araba. Una politica che ha barattato la fine del boicottaggio delle forniture di petrolio per l’Europa da parte dei paesi arabi, lo sviluppo delle loro relazioni economiche e strategiche da una parte, con il riconoscimento dell’OLP, di Yasser Arafat, e il sostegno europeo alla nascita di uno Stato palestinese. Ho pubblicato queste decisioni che sono, del resto, dei documenti ufficiali dell’ONU. Essendosi di fatto alleata con il Jihad palestinese, l’Unione Europea non poteva denunciarlo. Gettò così sulle spalle dello Stato di Israele la causa del dilagare del terrorismo jihadista in Europa, adducendo i secoli di relazioni euro-islamiche di pace e di arricchimento reciproco. È su questa base storica che l’Europa ha costruito tutta la sua politica di immigrazione.
La guerra a Gaza conferma sostanzialmente il sostegno della UE al jihadismo attraverso i finanziamenti importanti dati a Hamas, all’OLP e all’UNRWA in particolare. È bene ricordare che la legge islamica conferisce lo stesso statuto giuridico a ebrei e cristiani. Ed è proprio per questo che la guerra non è soltanto contro Israele ma anche contro gli armeni e le numerose comunità cristiane vulnerabili, nel momento stesso in cui l’Occidente non si preoccupa che di sostituire Israele con un altro Stato arabo-musulmano judenrein.
Nella sua autobiografia lei ha raccontato il suo vissuto di fuga e trauma, in Egitto. Vuole riassumere per noi quell’esperienza? Quando ha deciso che lo studio dell’antisemitismo arabo sarebbe stato il suo destino?
Questa esperienza è stata quella della persecuzione razzista, della paura e della vulnerabilità, dell’espulsione, dell’esilio e della miseria, del freddo, della fame, della solitudine negli inverni ghiacciati. È anche una storia di ricongiungimento con se stessi, con la propria identità; e nel momento di caduta più basso dell’umanità, è stata la scoperta della solidarietà prodigiosa del popolo ebraico accordata come una misericordia ai miserabili che seppero vederla. È la storia dei rifugiati del mondo arabo, dei fuggitivi.
Non ho mai deciso che lo studio dell’antisemitismo musulmano sarebbe stato il mio destino. Speravo in una vita famigliare felice e spensierata, consacrata alla letteratura. Ma sono stata testimone e oggetto in prima persona di situazioni che mi hanno costretta a intraprendere studi laboriosi e una lotta che non avrei mai immaginato. Non soltanto mi ha messo in pericolo, mi ha reso bersaglio di odio e diffamazione. Questa lotta è stata quella della riumanizzazione dei popoli sacrificati, i popoli della dhimmitudine dimenticati dalla Storia. Non è una storia solo ebraica. Non lo rimpiango, perché così ho potuto conoscere degli esseri umani eccezionali.
A suo parere, lei ravvisa oggi una saldatura tra il millenario antigiudaismo europeo e l’antisemitismo arabo più recente?
L’antigiudaismo cristiano ebbe le sue origini nelle province orientali dell’impero bizantino e prese forma nel Diritto canonico e nel Codice civile nel V e VI secolo, in un’epoca di guerre religiose intra-cristiane. L’antigiudaismo musulmano trova le sue radici in sorgenti e motivi differenti. Nell’islam, lo statuto discriminatorio degli ebrei e dei cristiani è generato dall’ideologia del Jihad, nella specificità delle lotte e dei trattati riguardanti la resa del nemico (dhimma). Questo statuto riadatta, in forma islamica, sub specie islamica, un gran numero di leggi cristiane antiebraiche, spesso aggravandole. A tutto ciò, si aggiungano altre leggi tipiche delle usanze arabe; e poi, le condizioni generate da una guerra di conquista; e infine l’occupazione-sottomissione di un numero considerevole di popolazioni alle armate minoritarie e straniere. Questi aspetti militari non compaiono affatto nelle relazioni giudaico-cristiane. E, d’altro canto, c’è da dire che l’adozione da parte della Chiesa dei testi teologici ebraici, esito di un retaggio umano e spirituale, stabilisce un contesto comune inesistente nell’Islam, essendo il Corano molto differente rispetto alla Bibbia e molto diverso anche dai Vangeli.
Lei scrive nel suo libro Eurabia che l’Europa degli anni Settanta, guidata dalla Francia, abbia perseguito una specifica politica filoaraba e contro gli interessi di Israele. In che misura ha contribuito l’antisemitismo millenario in tutto ciò? Oggi, dopo le dichiarazioni dei capi di stato come Robert Habeck e Olaf Scholz in Germania, Emmanuel Macron e molti altri dopo il 7 ottobre, è ancora così?
La situazione si è enormemente modificata. I popoli europei colpiti dal jihadismo sono diventati in maggioranza filo-israeliani malgrado la forte propaganda anti-israeliana. Penso che sia questa pressione popolare ad aver obbligato la sezione degli Affari Esteri dell’Unione Europea a produrre di recente, il 20 gennaio 2024, una dichiarazione molto amichevole verso Israele.
Secondo lei l’Europa cambierà le proprie politiche migratorie dopo il 7 ottobre? Sarà in grado di mettere in atto un maggiore controllo rispetto all’islamismo presente sul suo suolo?
L’Europa non cambierà politica a meno che non si producano significativi cambiamenti in merito a istituzioni e leggi dell’Unione europea, che è l’organismo centralizzatore della politica europea. L’UE si è costruita sul modello creato da Walther Hallstein, primo presidente della Commissione sulle politiche migratorie e nazista della prima ora. Gli uomini che hanno creato le istituzioni, l’ideologia politica, le direttive dell’UE, sono tutti politici degli anni Trenta-Quaranta, degli anziani collaboratori dei regimi dell’epoca (Mitterand, Couve de Murville…), ex fascisti o ex nazisti o maoisti. Nel Dopoguerra, alcune loro realizzazioni sono state encomiabili, altre molto meno. Oggi un rinnovamento s’impone ma le popolazioni devono rimanere vigili onde capire le nuove sfide per la sopravvivenza e, tra queste, quelle della Jihad internazionale e mondializzata. La UE si è alleata al jihadismo che lei stessa ha voluto occultare e confondere, e ha designato come suo nemico principale il minuscolo Stato di Israele. Questa politica è esattamente la continuazione di quella che fu la politica nazista.
Gli Accordi di Abramo e gli accordi che dovevano svilupparsi con l’Arabia Saudita prima del 7 ottobre sembravano indicare che l’antagonismo arabo con l’Occidente (e con Israele che di quell’Occidente è l’emanazione valoriale) si fosse placato. Ancora oggi ci sono politici e studiosi che dicono che non tutto è perduto e che quegli accordi sono solo congelati, in attesa di tempi migliori. Lei che cosa ne pensa?
Penso che ci siano molti i musulmani che vorrebbero liberarsi di un’ideologia obsoleta e fanatica, vecchia di più di un millennio, per creare con altri esseri umani un nuovo genere di relazioni che non siano quelle della guerra, dell’odio, della sottomissione. Perché questo avvenga occorre che l’ONU dichiari che la Jihad è una guerra genocidaria appartenente al passato. Gli Accordi di Abramo sono un grande passo in questa direzione. Non sono stati ben accolti dall’Unione Europea e non credo che molte ambasciate europee abbiano trasferito le loro sedi a Gerusalemme. Il fatto è che l’UE spera ancora di poter cancellare Israele dalla carta geografica per rimpiazzarlo con il falso popolo palestinese che lei stessa ha contribuito a creare.
Islam e islamismo politico. Da un lato musulmani tranquilli che altro non chiedono che vivere in pace e dall’altra violenti tagliagole che vogliono imporre la leadership e il sangue. Esisterà pure un Islam che ambisce a migliorare le proprie condizioni di vita e non a guerreggiare con l’Occidente…
Come ha detto Tayyip Erdogan, l’islam è l’islam. Ma ho fiducia nella capacità e nell’intelligenza dei musulmani di introdurre in questa civiltà le modifiche necessarie, come è accaduto in quasi tutte le religioni del pianeta. Credo che sapranno mantenere i valori essenziali del loro credo e allontanare i pregiudizi e i fanatismi del passato. Se non hanno abbandonato la Jihad è perché l’UE l’ha strumentalizzata per condurre la sua guerra contro Israele e per mantenere una sorta di fedeltà a Hitler.
Foto in alto: una infografica di Laura Canali per Limes sulla percentuale della popolazione musulmana in Europa nel 2050, ai tassi di immigrazione odierni; Bat Ye’or