Stelle d’acciaio. Quando il rock e la musica metal parlano yiddish

di Nathan Greppi

Il caso dei Kiss, la band celeberrima fondata da Paul Stanley, la cui madre era fuggita negli USA dalla Germania nazista, e Gene Simmons. E poi David Lee Roth, cantante dei Van Halen, e Steven Adler, batterista dei Guns N’ Roses. Siamo nel gotha del rock e dell’heavy metal

Quando era solo un adolescente, Steven Adler aveva un carattere molto ribelle, motivo per cui spesso la madre lo sbatteva fuori di casa. Lei era ebrea, mentre il padre era italoamericano, motivo per cui Adler si chiamava Michael Coletti prima del loro divorzio. Quel ragazzo, che negli anni ‘80 divenne conosciuto in tutto il mondo come batterista del gruppo rock e metal Guns N’ Roses, in assenza dei genitori ricevette la sua educazione dai nonni materni; tanto che nella sua autobiografia del 2010 My Appetite for Destruction, vi è una loro foto al suo Bar Mitzvah.
“Come ogni giovane, fai ciò che la tua famiglia vuole che tu faccia”, spiegò Adler nel 2011 in un’intervista al giornale ebraico britannico The Jewish Chronicle. “Mia nonna era molto credente, e pensava che fare cose ebraiche fosse importante per la mia vita. Non ci davo molta importanza, ma lei era più vecchia e più saggia di me. È morta 15 anni fa, ma ora è il mio angelo. È con me e mi aiuta costantemente. Lei credeva in certe cose, e io credevo in lei”.
Da decenni a questa parte, non sono pochi i musicisti ebrei che, come Adler, hanno lasciato un segno nella storia non solo della musica rock, ma anche del heavy metal. Tra questi, diversi americani, ma anche israeliani che in alcuni casi hanno saputo mescolare stili e tradizioni musicali diverse tra loro, diventando un ponte tra oriente e occidente.

 

LA SCENA AMERICANA
Rimanendo negli Stati Uniti, non si può non citare il caso dei Kiss, celebre band nata a New York nel 1973, della quale i fondatori sono due ebrei: il chitarrista Paul Stanley, la cui madre era giunta in America dopo essere fuggita assieme alla sua famiglia dalla Germania nazista, e il bassista di origine israeliana Gene Simmons. Nato a Haifa con il nome di Chaim Witz, Simmons è figlio di una sopravvissuta ungherese ai campi di concentramento, con la quale giunse in America quando era ancora un bambino.
In passato, entrambi i membri fondatori dei Kiss hanno rimarcato il loro legame con le proprie radici: “È qualcosa che mi sta a cuore, e sento di avere l’obbligo di assicurarmi che i miei figli imparino cosa sono l’ebraismo e l’Olocausto”, disse Stanley intervistato nel 2018 dal periodico Philadelphia Jewish Exponent. “Sono cresciuto avendo intorno a me adulti che avevano numeri tatuati sulle loro braccia. Faceva parte della mia vita. Quindi il mio senso del dovere mi dice di trasmettere ai miei figli la mia eredità”. Mentre Simmons, in una apparizione del 2022 nel podcast Howie Mandel Does Stuff, spiegò perché aveva cambiato nome: “Ho capito che per avere successo dovevo essere una sorta di camaleonte. Fondamentalmente, vestiti da inglese, pensa in yiddish”.

Chi invece non ha mai nascosto il proprio cognome ebraico dietro uno pseudonimo è David Lee Roth, storico cantante del gruppo californiano dei Van Halen, dei quali è stato il frontman dal 1974 al 1985 e dal 2007 allo scioglimento nel 2020, al quale un anno dopo seguì l’annuncio ufficiale del ritiro dalle scene di Roth. Cresciuto in una famiglia ebraica, Roth ha imparato a cantare quando si stava preparando per il suo Bar Mitzvah. Intervistato nel 2003 dal Washington Post, spiegò di essere stato vittima di bullismo da bambino a causa delle sue radici ebraiche, e di aver scelto da musicista di adottare un certo stile per combattere i pregiudizi: “Non ci sono molte action figure ebraiche”, disse Roth. “Gli eroi per i ragazzini ebrei sono pochi e rari”.

 

Un altro artista ebreo che si è espresso contro i luoghi comuni, pur ammettendo che né lui né i suoi genitori sono mai stati praticanti, è il chitarrista Scott Ian, co-fondatore nel 1981 degli Anthrax. Intervistato nel 2011 dalla testata ebraica americana Tablet Magazine, raccontò le vicende del nonno fuggito dalla Polonia che dovette lavorare duramente per poter emigrare in America. Alla domanda se l’immagine stereotipata dell’ebreo fosse incompatibile con quella del musicista metal virile, rispose: “Gli ebrei sono tipi tosti. La gente pensa agli ebrei come allo stereotipo di Woody Allen, uno sfigato, ma non è il tipo di ebrei che conosco io. Conosco un sacco di israeliani e di ragazzi tosti che sono ebrei. Quindi penso che sia logico che gli ebrei suonino metal”.

 

Chi si è speso molto pubblicamente contro l’antisemitismo e l’antisionismo, ancor più dopo il 7 ottobre, è David Draiman, cantante e frontman dei Disturbed. Nato e cresciuto in una famiglia ebraica a Brooklyn e nipote di sopravvissuti alla Shoah, ha criticato duramente gli attivisti antisraeliani e in particolare l’ex-bassista dei Pink Floyd Roger Waters per il loro odio. Quando, nel 2019, i Disturbed si sono esibiti per la prima volta in Israele, Draiman ha cantato l’Hatikwah, l’inno nazionale israeliano.

Ci sono poi casi di ebrei che, pur non cantando o suonando, hanno scoperto grandi talenti in qualità di produttori discografici; questo è il caso di Rick Rubin, che con la sua etichetta American Recordings ha fatto incidere dischi a grandi gruppi del calibro dei Metallica, gli AC/DC, gli Aerosmith e i System of a Down, solo per restare in ambito metal (in altri generi, ha lavorato anche con i Red Hot Chili Peppers, i Linkin Park, Johnny Cash, Shakira e Adele).

 

IL METAL ISRAELIANO
A parte Gene Simmons, ci sono diversi musicisti israeliani che si sono fatti un nome a livello internazionale tra gli appassionati di metal; in questo caso, pesa soprattutto il fatto che lo Stato ebraico è una delle culle del cosiddetto oriental metal, un genere che mescola il metal con le melodie tipiche della musica tradizionale dei popoli del Medio Oriente e del Nordafrica.

Maestri di questo genere sono ad esempio gli Orphaned Land; formatisi a Petah Tiqwa nel 1991, negli anni hanno legato la loro musica al loro impegno a favore della pace e del dialogo interreligioso. Non a caso, in passato si sono esibiti anche assieme a gruppi metal arabi, come i palestinesi Khalas o i tunisini Myrath. Forse anche per questo, in passato si sono creati un seguito anche in paesi arabi che boicottavano (e boicottano tuttora) la cultura israeliana.

Intervistato nel 2013 dal Corriere della Sera, il cantante Kobi Farhi, frontman degli Orphaned Land, affermò riguardo al successo riscosso nei paesi arabi: “In quasi tutti, con il nostro passaporto israeliano, non possiamo esibirci, e i nostri dischi non sono distribuiti. Ma nel nostro primo live in Turchia, pochi mesi fa, dal pubblico spuntavano bandiere iraniane, tunisine, egiziane, siriane. E naturalmente palestinesi”. Nella stessa intervista, spiegò che “questo tour non è un progetto politico. Al contrario, è un progetto sovrapolitico: la musica è al di sopra, si eleva. E ci eleva, facendoci scordare gli estremismi”.

Questo gruppo non è l’unico in Israele ad aver riscosso un successo planetario. Nel corso degli anni anche altri ci sono riusciti, nei vari sottogeneri del metal: dalle note melodiche dell’oriental metal (Melechesh, Salem) a quelle più dure del thrash metal e dei suoi derivati (Betzefer, Hammercult) fino ad arrivare a quelle più cupe del black e del death metal (Arallu, Eternal Gray).

 

GLI ARTISTI CANADESI
Al di fuori degli Stati Uniti e Israele, anche il Canada ha dato i natali a musicisti ebrei di successo: come Geddy Lee, co-fondatore nel 1968 dei Rush, gruppo rock e metal di Toronto scioltosi nel 2015.
Nato come Gary Lee Weinrib, esibitosi sia come cantante sia suonando il basso e la tastiera, è figlio di rifugiati ebrei polacchi, sopravvissuti ai campi di concentramento di Dachau e Bergen-Belsen. Proprio il racconto dell’esperienza da deportata di sua madre ha ispirato la canzone dei Rush del 1984 Red Sector A.

Anche altri artisti hanno rievocato le loro storie famigliari nella propria musica: è il caso della cantante Alissa White-Gluz, originaria di Montreal e dal 2014 cantante del gruppo metal svedese Arch Enemy. Anche i suoi nonni furono rinchiusi in campi di concentramento nazisti durante la guerra, e questo ha ispirato il brano realizzato nel 2017 con gli Arch Enemy First Day in Hell. Inoltre, anche sua sorella maggiore Jasamine è una musicista, a capo del gruppo rock canadese No Joy.
In definitiva, dal mondo ebraico sono usciti grandi nomi della musica metal, che nel corso dei decenni hanno saputo appassionare gli amanti del genere in tutto il mondo. Ed è plausibile ipotizzare che continueranno ad emergere altri talenti anche in futuro.

 

 

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