di Pia Jarach
Il primo lunedì davvero freddo di questo autunno ritardato ci ha trovato raccolti al Conservatorio di Milano a scaldarci con il nuovo spettacolo teatrale proposto dalla compagnia di Bereshit Leshalom, diretta da Angelica (Edna) Calò Livnè e da suo marito Yehuda Livnè. Grazie all’Associazione Italia Israele di Milano sono arrivati con i loro ragazzi dal kibbutz Sasa (Alta Galilea), dove entrambi lavorano come educatori con un progetto meraviglioso che ormai da anni avvicina le tante giovani anime di Israele in cerca di convivenza e di pace consapevole. Ad accoglierli oltre 1000 giovani un po’ di tutte le età e di diverse scuole, fra cui anche quella di via Sally Mayer.
La ricetta del teatro, della danza, della musica, del mimo e del volontariato è stata via via affinata nella produzione di nuovi spettacoli, che vengono messi in scena grazie alle profonde conoscenze e convinzioni pedagogiche di Angelica e alla sua energia dirompente, che coinvolge e stravolge positivamente le paure dei ragazzi trasformandole in nuova linfa per una pace concreta.
I ragazzi che partecipano al progetto del Teatro dell’Arcobaleno provengono dai villaggi drusi, arabi e cristiani della regione intorno a Sasa, dai moshavim e dai kibutzim e talvolta durante le tournées in Italia, anche dalle scuole italiane.
L’idea di base è molto intuitiva: lavorando insieme i ragazzi imparano a conoscersi, a riconoscere uno nell’altro alcuni aspetti o idee comuni e a non temere le differenze, anzi, a trarne arricchimento e fiducia.
I ragazzi coinvolgono ovviamente anche le proprie famiglie e insieme a loro compiono passo dopo passo l’unico cammino possibile per condividere in pace la piccola grande Terra di Israele: quello della conoscenza reciproca.
Il progetto è nato nel 2002 dall’urgenza di placare l’orrore e la devastazione della seconda Intifada, quando Israele era giornalmente messa alla prova da terribili attentati. Con lo spettacolo di mimo “Giù le maschere”, Angelica e i suoi ragazzi hanno trovato uno spazio per ragionare con semplice profondità sulla ragione principale che può spingere un qualsiasi gruppo di persone con una propria identità definita a rigettare un gruppo diverso. Esiste la possibilità d’incontro, ma solo a condizione di fare un passo nel mondo dell’altro con curiosità e disponibilità, guardando a ciò che accomuna più che a ciò che divide. Una storia non completamente a lieto fine, perché c’è sempre qualcuno che non riuscirà comunque a fare quel passo. Se per sempre o solo temporaneamente non è dato sapere: si può solo fare appello alla tikvà, alla speranza e alla costanza nel voler abbattere i pregiudizi.
Con quello spettacolo Angelica e i suoi ragazzi hanno girato l’Italia e hanno contribuito a far conoscere i risvolti di una guerra tanto subdola quanto incompresa fuori da Israele, creando un cerchio magico di sostenitori giovani e non, che ancora li seguono.
Ma veniamo all’oggi, al nuovo spettacolo: “Accendi una stella e proteggi il mondo. Da Galileo alle energie rinnovabili. In danze, luci e suoni”.
Le scoperte rivoluzionarie di Galileo Galilei e le vicende che lo riguardano diventano qui il tramite per riflettere su alcuni punti fondamentali nella formazione etica di ogni persona: 1) se credi in qualcosa, perseguilo. Anche a costo di essere rifiutato, osteggiato, minacciato. Galileo capisce che le leggi del cosmo fino ad allora accettate come verità assoluta sono false, errate. Ma il mondo intrappolato nella superstizione, nel pregiudizio e nella paura dell’Inquisizione non è né pronto, né capace di accettare un pensiero tanto rivoluzionario da togliere alla Terra la sua eccentricità. E noi, quante volte capiamo che bisogna uscire dal branco per rinnovarci?
2) Fare domande, mettersi in discussione è sinonimo di vitalità e di libertà di pensiero ed è indice di curiosità e di interesse. Così fanno gli allievi di Galileo, così lavora lui stesso. Tarpare le ali a chi domanda, anche se la sua può apparire una domanda inutile o già formulata è perciò eticamente sbagliato: genererà incertezza, frustrazione, sfiducia. Effetti che non creeranno certo una persona migliore, bensì rischiano di togliere al mondo il suo possibile contributo.
3) Non tutti abbiamo lo stesso modo di reagire alle avversità. Ognuno ha diritto di trovare la propria strada e di non essere giudicato male per questo. Galileo, condannato per eresia e di fronte alla tortura, accetta di rinnegare pubblicamente le proprie idee. I suoi stessi discepoli ne rimangono delusi. Ma quel che conta è sapere che nell’intimo della sue mura domestiche Galileo non smise mai di studiare secondo coscienza e di consolidare le sue osservazioni da cui molto dipende il progresso che ha portato, poche centinaia di anni dopo, fin sulla luna.
4) Pur non essendo la Terra il centro dell’Universo, è l’unica che abbiamo: dobbiamo amarla e difenderla. Attraverso la conoscenza, il rispetto, l’impegno e l’amore verso la Terra stessa e verso tutti gli esseri che la popolano. Un richiamo preciso all’importanza di un comportamento eco-logico e consapevole.
5) Ho tenuto per ultimo il punto che per me è stato più significativo: noi tutti sappiamo guardare, ma non tutti vogliamo vedere. Nel momento in cui decidiamo di vedere ci assumiamo la responsabilità di ciò che vediamo e diventiamo protagonisti attivi nel processo di cambiamento. Quale insegnamento più potente di questo in una società che rifiuta sistematicamente di vedere e di vivere responsabilmente le proprie scelte?
Voglio bene ad Angelica e l’ammiro molto, perché lei è l’esempio vivente di come si applichino nella vita questi importanti principi pedagogici che fanno realmente la differenza. Lei e suo marito non hanno particolare sostegno esterno, in Patria li prendono spesso per inguaribili sognatori, per romantici havrei kibutz fuori dal tempo. Ma loro non demordono. E giorno dopo giorno costruiscono un mondo migliore.
Angelica viene chiamata a tenere seminari per gli insegnanti in Italia e ogni volta che porta i suoi spettacoli, raccoglie intorno a sé migliaia di giovani che trovano finalmente modo di respirare a pieni polmoni energia rinnovabile per i loro sogni e per le loro speranze.
Certo, non ci si deve aspettare un teatro intellettuale, sofisticato. Infatti benché tutto sia realizzato con professionalità, pazienza, esperienza e amore, permane il tocco naif di chi dispone di pochi mezzi e pur di non arrendersi non bada troppo alle apparenze a favore dell’essenza. E questa semplicità arriva dritta al cuore anche dei nostri ragazzi, pur così lontani dai problemi che ogni giovane israeliano deve affrontare nella vita, a cominciare dal lungo servizio di leva.
I ragazzi sul palco parlano in ebraico e in arabo. Sullo schermo scorrono le traduzioni in italiano.
Musiche, danze suoni e colori sono linguaggio comune ad ogni latitudine. Non vola una mosca, tutti sono attenti e partecipi e quando alla fine la giovane compagnia sciama in platea a raccogliere i propri coetanei per condurli sul palco per il ballo finale, sono in pochi a restare seduti.
Poi tutto torna al suo posto e Angelica si fa tramite fra il pubblico e i suoi ragazzi. Questo è il momento della verifica: attraverso le domande e le risposte si stabilisce il vero contatto in cui non esistono più confini, in cui i due mondi si incontrano e i semi che sono già germogliati fra i ragazzi della compagnia si moltiplicano e trovano nuovi terreni in cui poter crescere. Non ho dubbi nell’affermare infatti che ogni replica degli spettacoli di Bereshit Leshalom svolge un importantissimo e immediato passaggio di informazioni e di immagine a favore di Israele, nel contatto fra pari e grazie alla mediazione di Angelica. Questo incontro vale mille azioni diplomatiche: i ragazzi italiani capiscono finalmente che Israele non è solo Terra contesa e in guerra; che i ragazzi che abitano in Israele sono come loro, con sogni, desideri e passioni assolutamente simili; che in Israele convivono ragazzi con fedi, usanze e abitudini diverse e che fare il servizio militare è per loro un dovere pieno di responsabilità per difendere il proprio Paese dall’odio che pur non gli appartiene. Nella fiduciosa attesa che il cammino di conoscenza reciproca da loro intrapreso attraverso il teatro e il volontariato possa sciogliere anche i più impenetrabili pregiudizi.
Sembra tanto semplice, vero? Eppure è frutto di un lavoro faticoso e senza posa, fatto di grandi soddisfazioni ma anche di momenti di scoramento e di dubbi profondi, che solo l’energia vitale di Angelica e di Yehuda riesce a superare ogni giorno. Perché loro hanno visto ciò che noi guardiamo da lontano. Si chiama pace, e abita molto più vicina di quanto non immaginiamo.
[n.d.r. sul sito www.proedieditore.it è possibile trovare e richiedere il piccolo e bel libro dedicato ai 10 anni di Beresheet laShalom, i cui proventi vanno integralmente a sostegno della compagnia teatrale]