di Pietro Baragiola
“La storia tende a ripetersi e dobbiamo imparare da essa.” Queste sono le parole che usa Deborah Veach, membro dell’Istituto di ricerca ebraica “YIVO” (Yidisher Visnshaftlekher Institut), per spiegare l’importanza di “After the End of the World: Displaced Persons and Displaced Persons Camps”, la mostra creata per mantenere vivo il ricordo dei campi profughi del secondo dopoguerra, visitabile nel quartiere generale dell’Onu a New York dal 10 gennaio al 23 febbraio.
Come racconta il Times of Israel, Veach, una tra le poche persone ancora in vita nata e cresciuta in uno di quei luoghi, condivide ora lo stupore che provò quando nel 2017 scoprì che del suo campo, Foehrenwald, tra più grandi in America, non era rimasta la benché minima traccia. “Era come se fosse per errore che ci trovassimo lì, in quel momento, senza un posto da chiamare casa” racconta Veach, soffermandosi sul fatto che non basta cambiare i nomi delle strade o rimuovere pochi edifici per cancellare il trauma che quel oscuro periodo inflisse a milioni di vite, ampliando la sua ombra fino ai giorni nostri dove il numero di esuli ha raggiunto la cifra di 100 milioni, mai vista prima.
“Oggi abbiamo campi profughi ai confini con il Messico e l’Ucraina. Non penso che tutti capiscano le ripercussioni sulla mente di coloro che stanno solo cercando un luogo da chiamare casa dopo i traumi della guerra” afferma Veach, nella speranza che un’importante presenza di visitatori alla mostra riesca a sensibilizzare sugli errori passati e sul valore del supporto umano che diversi paesi non hanno rivolto ai sopravvissuti dell’Olocausto.
Sul finire della Seconda guerra mondiale, molti ebrei, sconvolti dalle crudeltà subite, non furono in grado o non vollero più far ritorno ai loro paesi dopo aver perso famigliari, casa e tutto ciò che poteva considerarsi solitamente “vita normale”. Eddie Jaku, uno dei pochi sopravvissuti al campo di concentramento di Auschwitz, ricorda il dolore che provò nell’immediato dopoguerra e il senso di colpa per essere sopravvissuto dove molti non ce l’avevano fatta. “La felicità non arriva dal cielo: dipende da te” afferma Jaku, descrivendo il sentimento di rivalsa del popolo ebraico di riemergere da quella angosciante situazione.
Molti esuli provarono ad emigrare all’estero ma pochi paesi si dimostrarono disposti ad accoglierli, considerandoli sovversivi o ribelli o comunisti e, in un mondo che scivolava sempre più velocemente verso la guerra fredda, questi pregiudizi resero gli ebrei indesiderabili e isolati.
Per alleviare la situazione, nel 1943, quarantaquattro paesi si riunirono a Washington per firmare l’organizzazione umanitaria internazionale UNRRA (United Nations Relief and Rehabilitation Administration), atta a fornire aiuto ed assistenza immediata ai popoli più colpiti dalla guerra e così i profughi vennero portati in campi a loro dedicati. Ciononostante, per un assurdo scherzo del destino, questa soluzione non alleviò il loro dolore, dato che molti ebrei si trovarono assegnati agli stessi campi abitati dai loro crudeli persecutori e costretti a un logorante stand-by, in attesa di un luogo da chiamare finalmente casa.
Solo nel 1950 il Congresso Americano deliberò che 50.000 ebrei sopravvissuti potessero entrare negli Stati Uniti insieme ai loro figli mentre i profughi restanti fuggirono in Israele, dove fu proclamata la tanto agognata indipendenza nel 1948.
È proprio per non dimenticare la forza di volontà del popolo ebraico di ricostruirsi una vita dopo aver affrontato il male del mondo che l’Istituto di ricerca YIVO, insieme alle Nazioni Unite, ha inaugurato nel 2022 alla Stockton University del New Jersey la mostra “After the End of the World”. Alla sua seconda edizione, questa esposizione è stata da poco aperta nel quartiere generale delle Nazioni Unite a New York, dove i visitatori possono vedere documenti ufficiali, fotografie e lettere che descrivono la vita giorno per giorno dei 250.000 ebrei sopravvissuti all’Olocausto.
“La mostra è una testimonianza diretta del fatto che i profughi non si tirarono indietro dal compito di ricostruire le proprie vite e quelle della loro comunità” spiega Jonathan Brent, CEO di YIVO. Tra i numerosi oggetti, generosamente offerti dagli archivi del celebre istituto di ricerca, i visitatori potranno osservare un poster creato dai profughi del centro ebraico Bad Reichenhall, che raffigura, nonostante i numerosi aborti derivati dalle ferite mentali e psicologiche del conflitto, l’aumento notevole delle nascite nel campo tra il 1946 e il 1947: un simbolo della straordinaria forza e speranza nel futuro che il popolo ebraico ha manifestato anche di fronte al più oscuro dei mali.
After the End of the World: Displaced Persons and Displaced Persons Camps
Luogo: 405 E. 42nd St, 10017 New York, NY
Data: dal 10 gennaio al 23 febbraio 2023
Orari: lun-ven 9.00-17.00
Costo entrata: gratuito
Requisiti: a seconda del paese d’origine verificare il sito delle Nazioni Unite https://www.un.org/en/visitor-centre-new-york/page/arrival
(Foto: un gruppo di bambini legge un giornale in Yiddish, mentre aspettano il treno a Kaserne, in Germania. Fonte: sito Yivo, credits: UN Archives, S-1058-0001-01-00175)