di Roberto Zadik
Ci sono personaggi le cui azioni superano quelle descritte nei migliori romanzi di avventure, per audacia e colpi di scena; infatti, riuscire a conservare la musica di un popolo significa, spesso, impedirne la cancellazione. Cosa ne sarebbe stato, infatti, della cosiddetta musica “Klezmer”, retaggio fondamentale per il mondo ebraico est europeo, poi pilastro della cultura ashkenazita statunitense e israeliana e per la scena musicale internazionale, senza l’indispensabile contributo dell’etnomusicologo ebreo ucraino Moyshe Beregovsky?
Ad approfondire questo personaggio, misconosciuto e straordinariamente coraggioso, che sfidò la tormentata storia della sua patria, per salvarne le radici ebraiche dai flagelli del nazismo e del regime sovietico, l’interessante articolo uscito sul Times of Israel. La tempestosa vita dello studioso è diventata protagonista del documentario Song Searcher nel quale si raccontano gli sforzi e le peripezie di Beregovsky per salvare migliaia di canzoni Klezmer dalla distruzione e dell’oblio, oltre a molte altre curiosità inedite sui destini sofferenti ed estremamente tormentati del mondo ebraico ucraino.
Come il protagonista del bellissimo film Ogni cosa è illuminata, tratto dal romanzo di Jonathan Safran Foer, Beregovsky ha attraversato il suo Paese, nel decennio fra gli anni ‘30 e ’40, collezionando grandi quantità di musica popolare ebraica locale.
Come aveva fatto il suo collega italiano Leo Levi, con le tradizioni ebraiche della Penisola, anche l’etnomusicologo ebreo ucraino, morto a 69 anni, il 12 agosto 1961, raccolse una immensa quantità di materiale.
In che modo? Nelle sue peregrinazioni egli visitò una serie di realtà urbane e rurali, prime fra tutte gli “shtetl”, cittadine densamente popolate da ebrei, rese celebri da film come Il violinista sul tetto e dalle tele del pittore ebreo bielorusso Marc Chagall. Giunto in questi luoghi, Beregovsky intervistò residenti e sopravvissuti ebrei di vari centri importanti come Vinnytsia e soprattutto Chernivtsi, assai più nota col suo nome tedesco Czernowitz. Questa fu un importante cittadina multietnica, situata nella regione scomparsa della Bucovina, in cui nacquero personaggi intensi e raffinati come i poeti Paul Celan, Itzik Manger e lo scrittore naturalizzato israeliano Aharon Applefeld.
L’etnomusicologo in questione fu dunque testimone, difensore e diffusore di un patrimonio ebraico, estremamente importante, che rischiava di scomparire per sempre riuscendo in una impresa a dir poco impressionante. Tutto questo viene raccontato dal documentario che evidenzia come le voci della gente e le canzoni vennero inserite su appositi dischi di cera, nel costante timore che venissero smarriti e che, finalmente, dopo anni furono consegnati alla Libreria Nazionale Ucraina di Vernadsky.
Secondo il musicologo ebreo americano Mark Slobin, “nessun altro ha fatto più un lavoro come questo, nemmeno in Polonia, riuscendo a collezionare tutti questi lavori. Le sue collezioni sono state di vitale importanza per la riscoperta del klezmer degli ultimi 40 anni, costituendo un monumento per la cultura ebraica ashkenazita est europea”.
Citando vari musicisti klezmer che appaiono nel filmato, l’articolo del Times of Israel evidenzia come esso testimoni le sofferenze ebraiche in Ucraina sotto i regimi nazista e sovietico e “l’incalcolabile perdita di vite umane della Shoah nel Paese”.
Il documentario non si limita, dunque, alla musica ebraica Yiddish o alla figura di Beregovsky ma racconta le traversie dei sopravvissuti che, ai tempi delle deportazioni e dei massacri, erano dei bambini e che nei lager venivano colpiti a morte o ridotti alla fame dai loro aguzzini tedeschi e romeni. Passati alla storia come i “liberatori di Auschwitz”, come nota l’autore dell’articolo,“i sovietici successivamente cominciarono a perseguitare gli ebrei, come Beregovsky”.
Nonostante il contesto così angosciante e visceralmente antiebraico, egli riuscì a fondare attività prestigiose come l’Ufficio per la Ricerca sulla Letteratura, la Lingua e il Folklore ebraico e, soprattutto, il Dipartimento per l’Etnografia Musicale e gli Archivi di Musica Popolare Ebraica a Kiev.
Purtroppo, la situazione precipitò nel 1949 quando, dopo che il Regime Sovietico bandì questi Archivi come “cosmopoliti” e contrari allo spirito patriottico ed estremamente ideologico di quella mentalità, il musicologo venne spedito in Siberia. Furono anni estremamente duri per lui, ridotto a lavori massacranti come la costruzione della ferrovia assieme ad altri sfortunati; la sua unica consolazione da quella schiavitù era dirigere il coro della prigione e scrivere alla sua adorata moglie Sara che viveva a Kiev.
Una vita decisamente travagliata nonostante, dopo la morte dello spietato dittatore Stalin, egli fosse stato liberato, tornando dalla moglie; morì di tumore nel 1961, riuscendo, nonostante la malattia, ad organizzare, negli ultimi anni di vita, il suo archivio privato. Il documentario è stato girato fra il 2019 e il 2020 e ricostruisce non solo la vita di Beregovsky ed il suo immenso contributo alla cultura askenazita ma anche il mondo ebraico ucraino, uno dei più numerosi e importanti tessuti ebraici mondiali, colpito duramente dalla Shoah con un numero di morti che si aggira sul milione e mezzo di persone.
Moyshe Beregovsky tra vari documenti del suo archivio di canzoni yiddish folk e klezmer.
(Courtesy Jewish Music Forum/via JTA)