di Michael Soncin
Avete mai pensato di potervi immergere per un’intera settimana nel variopinto mondo yiddish? È una realtà che si ripete ogni anno. Stiamo parlando del ritiro per gli appassionati della mamaloshen che si tiene periodicamente nei dintorni di New York e che vede partecipanti da tutto il mondo assieme riuniti per celebrare la meravigliosa lingua trivalente, un viaggio che si è tenuto quest’anno a metà agosto.
Trivalente perché lo yiddish è una lingua costituita da una parte germanica, ebraica e slava. Trip to Yiddishland è una vera e propria celebrazione dell’universo yiddish, una settimana di cultura, arte, musica klezmer, danza, teatro, laboratori linguistici, che nell’ultima edizione, come vale del resto per le precedenti, ha visto un pubblico di tutte le età, dagli 8 ai 92 anni. Chi sono? Ashkenaziti, ma anche sefarditi, ebrei e non ebrei, tutti ugualmente pazzamente innamorati della lingua di Singer.
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Rafforzare l’identità ebraica, passando dallo yiddish
Trip to Yiddishland è organizzato dal The Workers Circle, un’organizzazione che da 120 anni s’impegna a diffondere la cultura ebraica e a rafforzarne l’identità tra le diverse generazioni, dando una particolare importanza alla lingua yiddish.
Yiddishland, com’è meglio noto, è stato lanciato 14 anni fa e si svolge nella parte settentrionale nei pressi di New York, in un campeggio immerso nel verde in riva al lago, con piscine, campi da tennis, da basket e molto altro ancora. Le persone che si iscrivono ogni anno vengono divise in classi in basi ai livelli d’appartenenza: dai principianti, agli intermedi, fino ai corsi avanzati.
Ann Toback, responsabile di The Workers Circle ha raccontato al Times of Israel che gli edifici del campus sono stati costruiti da The Workers Circle negli anni ’20 del Novecento per offrire agli ebrei provenienti dall’Europa Orientale un posto dove stare durante la stagione estiva, ma ancor più per aiutare gli immigrati ebrei appena arrivati ad integrarsi nella società americana.
Negli anni ’90 il campo offriva ritiri settimanali per tutta l’estate, con ospiti che soggiornavano per vari mesi, una di queste settimane era dedicata allo yiddish. Fu così che nacque l’idea di Yiddishland.
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Noi siamo qui!
Il direttore della programmazione dei corsi di yiddish presso lo Yiddishland, Kolya Borodulin, è cresciuto a Birobidzhan, città russa, capitale dell’Oblast’, la regione autonoma ebraica, ciò nonostante, non “sapeva” quasi nulla della cultura yiddish, ma una volta arrivato a New York per lui è stato praticamente impossibile fermarsi. “Lo yiddish – racconta Borodulin – per me ha un grande valore, perché rappresenta una parte inseparabile della nostra eredità. Commuove pensare che molte persone lo associano alla Shoah e ai 6 milioni di persone che persero la vita, poichè la maggior parte di loro parlava yiddish. Solo questa è una valida motivazione per continuare a ricordare, per andare avanti ed ispirare”. Le parole di Borodulin si riflettono nella maglietta che indossa recante la scritta: מיר זײַנען דאַ (Mir zaynen do), ‘Siamo qui’.
La voce dei protagonisti del revival della mamaloshen
C’è Annie Coen, londinese, che appena trasferitasi a New York col marito e nemmeno il tempo di disfare i bagagli, si è subito precipitata al ritiro di sette giorni dove poteva parlare in yiddish. “Penso di avere un problema con lo yiddish, lo amo davvero molto”, ha esclamato il primo giorno che è arrivata.
C’è poi una trentacinquenne, di cognome Cohen, proveniente dalla Francia, da poco residente negli Stati Uniti, che aveva inserito in cima nella lista dei desideri la settimana di full immersion, dopo aver studiato intensamente yiddish durante gli ultimi anni. “Quando ho iniziato a studiarlo me ne sono innamorata. Mia nonna parlava yiddish, ma è scomparsa quando avevo un anno”.
E poi ancora Golda Shore, 92 anni, classe 1928, nata negli Stati Uniti, figlia di ebrei originari dall’Europa, che a casa parlavano in yiddish. Ogni anno dalla Florida vola a New York per il suo viaggio allo Yiddishland. Per lei è quasi come tornare a casa e racconta di non essersi mai persa un soggiorno. “Attendo questo momento con impazienza ogni anno. Penso che parte di questo interesse che ho, sia ciò che mi tiene in vita, conosco quasi tutti quelli che vengono, ed ogni anno vedo arrivare nuove persone. Per me lo yiddish è tutto”.
E non poteva mancare la più piccola del gruppo, Dinah Slepovitch, una bambina di 8 anni. “Vengo qui da quando avevo 2 o 3 anni”, dice. Infatti, sebbene la maggior parte del gruppo sia costituita da persone anziane, negli ultimi anni cresce sempre di più il numero di persone giovani che si vogliono tuffare in questa sorprendente cultura.
Ed è proprio la missione dell’organizzazione introdurre i giovani nel mondo yiddish. Secondo Toback la rinascita dello yiddish è dovuta grazie ai giovani che sono sempre più interessati alla riscoperta e al rafforzamento delle proprie radici.
Non solo corsi dal vivo, Yiddishland organizza anche classi virtuali, una soluzione adottata in pieno nel 2020, durante i mesi iniziali della pandemia da Covid-19. La prossima settimana virtuale sarà a gennaio 2022, mentre quella in presenza è solitamente tenuta durante il periodo estivo. “Sfruttiamo al meglio i momenti difficili, perché parte del vivere la nostra eredità è capire che anche nei momenti più difficoltosi esistono delle opportunità per poterci sostenere a vicenda”, ha detto Toback al Times of Israel.
(Foto: The Times of Israel)