di Rav Alberto Moshe Somekh
Il Santo Benedetto ci mandò a dire per mezzo dei Profeti Suoi servitori e per mezzo del Profeta Ezechiele (Ez. 18,30-31): ‘Dice il S. D.: pentitevi e fate pentire da tutti i vostri peccati e la colpa non sia per voi d’inciampo, gettate via da voi tutti i peccati che avete commesso e fatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo…’. Così disse il Maestro R. Avraham b. David, che era uno dei pii al mondo: ‘La siepe grande e meravigliosa è il trattenersi dai cibi’. Così spiegava le sue parole: ‘Non tralasci completamente di mangiare carne e di bere vino, poiché ti basti ciò che la Torah ha proibito. Però, nel momento del pasto quando ha ancora appetito, lasci del cibo in onore del Creatore di quanto gli fa gola e non mangi a volontà’. Questo metodo lo tratterrà dal peccare e gli rammenterà l’amore del Creatore più di un digiuno alla settimana, poiché questo avviene continuamente, ogni giorno, quando mangia e quando beve; lasci un po’ di quanto desidererebbe in onore di D.».
R. Yonah b. Avraham, l’autore di queste parole, nacque a Gerona in Spagna in un anno imprecisato, verso il 1200. Il periodo della “riconquista” cristiana segnò una nuova epoca di fioritura dell’Ebraismo nella penisola iberica. Gli Almohadi, una dinastia berbera che alla metà del XII secolo aveva esteso il suo dominio su tutta la Spagna musulmana, bandendo tutte le religioni eccetto l’Islam, erano stati sconfitti e le Comunità ebraiche esiliate cercarono di ricostituirsi. Nel XIII secolo la presenza ebraica era apprezzata grandemente dai governanti cristiani come tramite per la riabilitazione economica di territori già abbandonati dai Musulmani.
D’altro lato, i re conquistatori erano esposti alle frequenti lamentele ecclesiastiche per i privilegi, ritenuti eccessivi, concessi agli Ebrei, che esponevano questi ultimi a frequenti attacchi e ad incertezze. Anche Giacomo I d’Aragona destinava agli Ebrei molte fortezze e castelli, garantendo loro una forte autonomia giurisdizionale. Ad esempio, gli Ebrei avrebbero effettuato giuramenti solo sulla Legge di Mosè; i prigionieri ebrei sarebbero stati temporaneamente liberati ogni venerdì pomeriggio e nessun ebreo, in causa con cristiani, avrebbe potuto essere giudicato dal tribunale del re in giorno di Shabbat. D’altronde, re Giacomo rimaneva profondamente influenzato dalla Chiesa: nel 1263 ebbe luogo sotto il suo regno la disputa di Barcellona, che diede il via ad una lunga serie di moti persecutori e poco dopo egli stesso reintroduceva con nuovo vigore il segno distintivo – la rondella gialla, ndr -, mentre costringeva gli Ebrei ad assistere alle prediche forzate.
La Comunità ebraica di Gerona era la seconda per grandezza in Spagna dopo Barcellona, mentre il regno di Aragona dominava fin oltre i Pirenei, su parte del territorio provenzale, cui avrebbe rinunciato solo nel 1258. Fu certamente questa una delle ragioni, insieme all’affinità linguistica fra le parlate dei due territori, per cui le Comunità ebraiche d’Aragona mantennero stretti contatti con quelle di Provenza e le scuole talmudiche qui fiorenti attrassero studenti dalla Catalogna. Risulta allora del tutto naturale che questi ultimi, ritornando nelle loro città d’origine, vi abbiano importato lo studio della Qabbalah, assai fiorente nelle Comunità provenzali. Si formò così, fra il 1220 e il 1260, il gruppo dei qabbalisti di Gerona, paragonabili per importanza ai qabbalisti di Safed trecento anni più tardi.
L’elemento di spicco del circolo dei qabbalisti fu Nachmanide (ca. 1194-1270), che si distingueva anche come la maggiore autorità halakhica e politica della sua generazione in Spagna. Peraltro la diffusione delle dottrine qabbalistiche, i cui contenuti avrebbero dovuto rimanere in circolazione “riservata” fra gli adepti della scuola, non rimase senza reazioni. Non è escluso che queste polemiche siano precisamente alla base della totale assenza di qualsiasi cenno alla Qabbalah negli scritti di R. Yonah. Poco sappiamo della sua famiglia e di chi siano stati i suoi Maestri a Gerona. Sembra che suo padre Avraham abbia esercitato la funzione di Rabbino della Comunità, e certamente avrà avuto influenza su di lui. R. Avraham era fratello della madre di Nachmanide, il quale divenne successivamente anche suo consuocero.
È peraltro certo che, seguendo un’abitudine del tempo, R. Yonah abbia ricevuto una parte cospicua della sua istruzione nelle yeshivòt della Francia Settentrionale e della Provenza. Gli scritti filosofici di Maimonide suscitarono, fin dall’epoca della loro pubblicazione, ampio dibattito, che si accentuò dopo la sua morte, avvenuta nel 1204, soprattutto nei circoli rabbinici franco-germanici. La cosiddetta “controversia maimonidea” riguardava soprattutto il rapporto fra la fede monoteistica rivelata e la filosofia formulata sul piano della ragione. Si vedeva nell’introduzione di dottrine filosofiche un pericolo per la continuità della Tradizione, soprattutto presso il vasto pubblico impreparato. Nel 1232 R. Shelomoh da Montpellier inviava il suo discepolo R. Yonah per convincere i Rabbini francesi a pronunciare un cherem, una messa al bando, contro le opere di Maimonide. A causa di una delazione presso le autorità non ebraiche esse furono arse sul rogo a Parigi. Preso poi dal rimorso, R. Yonah avrebbe fatto pubblica ammenda e si sarebbe impegnato a recarsi in Eretz Israel per prostrarsi sulla tomba del Maimonide implorando il suo perdono. Lasciò la Francia con questa intenzione, ma non riuscì a realizzarla. Tornato nella natia Gerona, dove divenne darshan (esegeta, predicatore), in seguito accettò l’invito ad insegnare nella yeshivah di Barcellona e poi a Toledo, dove visse per il resto dei suoi giorni. Nel suo commento ai Pirqè Avòt egli cita spesso Maimonide con grande stima e riverenza. Morì all’improvviso, per cause rimaste oscure, nell’autunno 1263. Da alcuni ciò fu interpretato come una punizione. Ma l’epitaffio sulla sua tomba (“l’uomo che ha rivelato i segreti della sapienza”), l’elegia che il Nachmanide dedicò alla sua memoria (in cui lo chiama “padre delle virtù”), e il fatto che fosse conosciuto come Chassid fra i suoi discepoli, difficilmente fa accreditare la tesi di una sua responsabilità attiva nella campagna contro i libri del Maimonide.
Diverse sono le opere che R. Yonah ci ha lasciato. Le più famose sono trattati di carattere etico, studiati tuttora in profondità nelle yeshivòt. Tre di questi trattati sono legati al tema della Teshuvah. Secondo alcuni la meditazione su questo particolare argomento sarebbe stata a sua volta una conseguenza del ripensamento dell’autore sulla “controversia maimonidea”, ma è difficile stabilirlo con certezza. L’opera principale è senza dubbio lo Sha’arè Teshuvah (Porte del Pentimento, Fano 1505, Costantinopoli 1511), che Chidà descrive come “porte privilegiate a risvegliare l’anima al Timor del Cielo, in quanto le sue parole giovano a spezzare il cuor di pietra. Beato l’uomo che ha il merito di battere a queste porte giorno per giorno! Colui che vi legge incrementerà la sua qedushah e la sua chassidùt e il suo cuore si affretterà a fare Teshuvah, perché le sue parole di qedushah entrano nel cuore e lo illuminano”. Il volume si articola appunto in quattro sh’earim (porte): la prima è dedicata a “spiegare il concetto di Teshuvah e i suoi fondamenti”; la seconda ad “insegnare le vie con cui l’uomo si desta a far ritorno ad H.”; nella terza, che è la più lunga, “chiariamo la gravità degli obblighi e dei divieti della Torah e le rispettive sanzioni”, mentre la quarta tratta dei “diversi modi di espiazione”, in base alla classificazione che ne dà il Talmud.
Le altre due opere sul pentimento sono: la Igghèret ha-Teshuvah (Lettera sul Pentimento, Costantinopoli 1548), comprendente tre sermoni sulla Teshuvah e l’osservanza delle Mitzwòt, divise per i sette giorni della settimana, l’ultima delle quali è particolarmente dedicata alle donne, nota anche come Iggheret Nashim o Dat Nashim. Secondo una testimonianza, Rabbenu Asher (Rosh) avrebbe raccomandato di leggerla ogni anno la settimana di Rosh ha-Shanah; lo Yessòd ha-Teshuvah (Base del Pentimento, Salonicco 1529), da cui è tratta la nostra citazione di apertura.
La letteratura etica ebraica (mussàr) è raggruppabile in tre filoni distinti. Vi sono autori che, pur citando testi biblici e rabbinici, hanno inteso presentare gli insegnamenti morali basandoli su principi filosofici razionali, come Maimonide. Vi è il filone qabbalistico. La terza categoria, infine, raggruppa quegli autori che si basano essenzialmente sugli insegnamenti contenuti nelle fonti bibliche e rabbiniche e traggono le loro conclusioni solo da queste. Essi credono che la letteratura ebraica tradizionale sia sufficiente a contenere tutte le verità necessarie per impostare correttamente la vita, senza necessità alcuna di ricorrere alla filosofia o a qualsiasi altra disciplina intellettuale. Gli scrittori di questo filone comprendono il Nachmanide e R. Yonah.
Più volte R. Yonah attribuisce il lassismo degli Ebrei del suo tempo alla negligenza delle guide spirituali e sollecita l’istituzione di Mokhichim (incaricati dei rimproveri), che rilevino gli errori e ne facciano oggetto di richiamo in pubbliche riunioni. La Comunità in quanto tale è al centro dei suoi insegnamenti. Egli richiama gli amministratori (parnassim) affinché esercitino il loro potere mettendolo “al servizio del popolo” e non in modo dispotico; invita a praticare la tzedaqah nei confronti dei bisognosi e a creare una rete di volontari pronti ad occuparsi di coloro che si trovassero in difficoltà; invita infine a non separarsi dalla Comunità quando si tratta di compiere una Mitzwah.