di Marina Gersony
Pensare positivo, essere ottimisti ed estroversi: sembra essere questa la formula vincente per una lunga vita in buona salute. E non solo… È la sintesi del ricercatore israeliano Nir Barzilai che nel suo ultimo libro pubblica alcuni studi effettuati su quasi 3.000 campioni, inclusi circa 750 centenari e i loro figli. Inoltre, il ricercatore israeliano e direttore dell’Istituto per la ricerca sull’invecchiamento presso l’Albert Einstein College of Medicine di New York, è convinto che alcuni farmaci potrebbero ritardare l’insorgenza di malattie importanti. Ma non è tutto: studi genetici sugli ebrei askenaziti Super Ager, ossia “super anziani”, potrebbero aiutare la popolazione in generale a vivere fino a 35 anni in più. Come dire, la durata della nostra vita è scritta nel DNA.
(Video: Longevity Genes. Nir Barzilai https://www.youtube.com/watch?v=wnMmtr2uAcM)
Buone notizie dunque e molta speranza, soprattutto in questo momento storico in cui impietose statistiche ufficiali ci terrorizzano con i decessi provocati dal Covid-19 soprattutto tra gli anziani, notoriamente considerati i più fragili e i più esposti alle malattie. Non è tuttavia così, annuncia il professor Barzilai in un’interessantissima intervista pubblicata dal Timesofisrael a firma di Rich Tenorio, dove mette in dubbio questa percezione assai diffusa, ossia: «Invecchiare come sappiamo non dovrebbe accadere». Sostiene a proposito il ricercatore: «Le persone invecchiano a ritmi diversi […]. C’è un’età biologica. Se invecchi in modo relativamente rapido, inizi ad accumulare malattie dopo il decennio successivo ai 60 anni».
Incuriosito dalla longevità della popolazione ashkenazita newyorkese, i cui membri hanno spesso vissuto sani e in forma oltre i 90/100 anni, Barzilai ha dedicato gran parte della sua carriera allo studio di persone in età avanzata, condividendo le sue scoperte in Age Later: Health Span, Life Span, and the New Science of Longevity, pubblicato all’inizio di quest’estate.
In particolare ha analizzato la vita particolarmente longeva di quattro fratelli di nome Kahn, che ha conosciuto nel periodo degli anni d’oro. Tutti i Khan hanno vissuto oltre il secolo scorso e due di loro – Irving Kahn e Helen (Kahn) Reichert – fino a 109 anni. Irving ha continuato imperterrito a lavorare fino a 108 anni come investitore prendendo il taxi regolarmente per andare in ufficio mentre Helen non ha rinunciato alle sue sigarette nonostante gli ammonimenti dei dottori ai quali è sopravvissuta.
Le malattie tipiche della vecchiaia – come si legge nell’intervista su The Times of Israel – sono le cosiddette Big Four, ossia diabete, malattie cardiache, cancro e Alzheimer. Anche se pare, secondo studi e anni di ricerche incrociate e confermate, che non valga per i super anziani ashkenaziti i quali vivono una vita sana di 20/30 anni in più rispetto ad altri coetanei. Non solo: alla fine della loro vita muoiono rapidamente e senza malattie. O meglio, quando inevitabilmente le malattie sopraggiungono, esse durano «soltanto per poche settimane». In breve: chi vive fino a 100 anni generalmente muore sano. Secondo il professor Barzilai, queste scoperte potrebbero portare a conoscenze nuove su come «rallentare l’invecchiamento» e far sparire «gran parte della necessità di ospizi e di cure mediche per le malattie». Confrontando la situazione del coronavirus con una guerra, Barzilai ha aggiunto: «Dobbiamo fortificare gli anziani. È di questo che tratta il mio libro».
Donne basse più longeve: lo dice la scienza
Sempre a proposito di ashkenaziti, un articolo assai curioso apparso su Focus nell’ormai lontano 2008, rivela come una ricerca condotta sempre da Barzilai presso l’Albert Einstein College of Medicine dell’Università di Yeshiva di New York, abbia dimostrato una speranza di vita più lunga della media soprattutto nelle donne basse di statura. Leggiamo su Focus: La spiegazione è nel fattore di crescita IGF-I, un mediatore chimico regolato dall’ormone della crescita. I ricercatori hanno studiato un campione di 450 ashkenazi, una popolazione di ebrei diffusa nell’Europa dell’est, discendente da un’unica grande “famiglia” e caratterizzata quindi da un patrimonio genetico molto uniforme. Dalle analisi risulta che alcune mutazioni genetiche diffuse in questo gruppo producono – soprattutto tra le donne – una malformazione del fattore IGF-I, connessa sia con la bassa statura che con la maggiore durata della vita. Secondo Nir Barzilai, autore della ricerca, un farmaco che riuscisse a controllare adeguatamente l’IGF-I potrebbe rallentare i processi di invecchiamento.
Sono quindi decisamente incoraggianti le considerazioni del ricercatore israeliano proprio sui farmaci. Negli ultimi anni Barzilai si è incuriosito per un farmaco chiamato metformina che sta esaminando per i possibili effetti protettivi contro le malattie legate all’età. Attualmente questo farmaco viene usato per trattare il diabete di tipo 2. Più di recente è stato testato contro il Covid-19. All’inizio di quest’anno, un documento pubblicato in Cina ha riportato una mortalità inferiore tra i pazienti diabetici di Covid-19 che assumevano metformina. Barzilai ha citato a proposito precedenti studi effettuati sull’uomo: «I partecipanti che utilizzavano metformina avevano meno delle principali malattie dell’invecchiamento […]. A mio parere la metformina è uno strumento per mostrare alla FDA che l’invecchiamento può essere prevenuto. Prendendo di mira l’invecchiamento – prosegue il professore –, possiamo prevenire le malattie legate all’età. Se riusciamo a riprodurre la metformina per l’invecchiamento, e se il settore farmaceutico sviluppa un numero maggiore e migliori farmaci e di combinazioni di farmaci, possiamo iniziare a fare progressi. Oggi la biotecnologia è coinvolta in questo tipo di studi. Per questo i prodotti farmaceutici saranno interessati, perché il futuro presenta nuove prospettive. Possiamo estendere la durata della salute e godere di una vita qualitativamente migliore fino alla fine». Vale a dire, se son rose fioriranno.
I trucchi per una (quasi) eterna giovinezza
La domanda che si pone a questo punto è se – oltre ai geni – ci sono “trucchi” per rimanere più giovani e più sani possibile…
«Il punto è attivare la mente – suggerisce Barzilai –. Forse puoi avere l’opportunità di farlo perché possiedi i geni e non perché lo fai per mantenere viva la mente. Tuttavia penso che entrambe le cose siano vere in una certa misura».
Infine, ma su questo non avevamo dubbi, ottimismo, entusiasmo e la voglia di vivere sono fondamentali. Barzilai ha catalogato i centenari con cui ha interagito come generalmente «positivi, grati ed estroversi». Anche se, è un errore presumere che queste qualità durino per tutta la vita. Infatti, con l’età possono verificarsi cambiamenti significativi, dalla perdita del coniuge al passaggio alla vita assistita. E, ha sottolineato il professore, la scienza ha smentito la convinzione che la personalità rimanga costante dopo i 70 anni.
Per concludere, Barzilai ha notato l’errata percezione che i centenari debbano la loro longevità alle abitudini sane. «La risposta è no – ha dichiarato –. Sono molto simili alle cattive abitudini della popolazione». Tuttavia, ha aggiunto, i centenari hanno «geni che li proteggono dalle cattive abitudini». Per la popolazione in generale, fare esercizio, mangiare bene ed evitare alcol e tabacco non sono precauzioni fini a se stesse. Piuttosto, la maggior parte delle persone ha bisogno di adottare uno stile di vita sano perché «è improbabile che abbiamo i geni che proteggono la vita da tutte queste cattive abitudini». Alla domanda sul ruolo della genetica nell’invecchiamento avanzato, Barzilai ha precisato che la genetica è «forte» nei centenari, ma ha aggiunto che questo non è l’unico fattore per vivere a lungo.
C’è solo da chiedersi – senza nulla togliere a queste importantissime ricerche – quali saranno i costi delle cure pro-longevità alle quali, presumibilmente, potrà accedere solo o soprattutto un gruppo molto ristretto di privilegiati.
(Nella foto: la stilista e arredatrice Iris Apfel, 97 anni)