di Michael Soncin
I ricercatori del Weizmann Institute of Science in Israele hanno ideato un metodo innovativo per far crescere embrioni di topo fuori dall’utero, potendo osservare direttamente le prime fasi dello sviluppo embrionale che riguardano la formazione di arti, sistema nervoso ed organi principali come cuore e stomaco. Uno studio che potrà in futuro chiarire molti quesiti come quello delle gravidanze che non vanno a buon fine. La ricerca è stata pubblicata sulla celebre rivista scientifica Nature.
Come riporta ISRAEL21c i biologi sono riusciti a mantenere in vita gli embrioni fino a circa metà del loro periodo di gestazione (il periodo di gestazione di un topo è di circa 20 giorni, ndr) facendoli sviluppare all’interno a delle provette aventi la funzione di un utero artificiale.
La ricerca è stata guidata dal professor Jacob Hanna del dipartimento di genetica molecolare e dal suo team di laboratorio. “L’idea di far crescere embrioni al di fuori dell’utero fino agli stadi avanzati esiste da prima degli anni ’30 del Novecento, ma gli esperimenti hanno avuto un successo limitato e gli embrioni tendevano a presentare anomalie”, ha detto Hanna.
Infatti, come spiega Alejandro Aguilera-Castrejon, – uno dei collaboratori dello studio – le conoscenze precedenti erano in grado di far crescere gli embrioni fuori dall’utero per un massimo di 1,5 giorni, mentre il loro team ha sviluppato un metodo che li mantiene in vita arrivando fino al giorno 6.
Sette anni di studi per mettere a punto un metodo vincente, costituito da due fasi
Si tratta di risultati frutto di 7 anni di studi nei quali il gruppo di ricerca ha elaborato un processo articolato in due fasi, capace di far crescere gli embrioni di topo, senza che presentassero anomalie, al di fuori dell’utero per circa un terzo dei 20 giorni completi di gestazione, durante i quali la forma del corpo e gli organi sono diventati visibili. “Per noi, questa è la parte più misteriosa e interessante dello sviluppo embrionale, ed ora possiamo osservarla con dettagli sorprendenti potendo effettuare esperimenti”, ha affermato Hanna.
I ricercatori hanno prelevato gli embrioni dall’utero materno al quinto giorno di gestazione, isolando le 250 cellule staminali che compongono ciascuno di essi e hanno creato la condizioni per farli crescere fuori dall’utero per sei giorni, arrivando quindi fino all’undicesimo giorno, che come abbiamo già detto rappresenta la metà del periodo di gestazione, posizionandoli per i primi due giorni (prima fase) su uno speciale terreno di crescita in un piatto da laboratorio. Trascorsi i due giorni gli embrioni sono stati trasferiti in contenitori di vetro – meglio conosciuti nel linguaggio da laboratorio con il termine di becher – (seconda fase) immersi in sostante nutritive e fatti roteare attraverso un rullo arrivando fino alla meta del periodo di gestazione.
I due giorni in cui gli embrioni nella prima fase sono lasciati su un piatto immersi nel terreno di crescita, corrispondono anche al periodo in cui essi triplicano le proprie dimensioni differenziandosi in tre strati e cioè nei tre foglietti embrionali (ectoderma, endoderma, mesoderma, ndr), che porteranno poi alla formazione degli organi. Durante la seconda fase quando gli embrioni sono stati posti nei minuscoli becher, i biologi sono riusciti a mimare artificialmente le condizioni che avrebbero trovato nell’utero, controllando ad esempio parametri che riguardano la quantità e la pressione di ossigeno e anidride carbonica.
Gli embrioni si sono attaccati al mezzo di crescita come farebbero con la parete uterina e durante i sei giorni fuori dall’utero essi si sono sviluppati nella piena normalità. “La parte interessante – racconta Hanna – è che proprio durante quel periodo (dal quinto all’undicesimo giorno), gli embrioni crescono da un piccolo groviglio di cellule fino a prendere le sembianze di un animale con arti posteriori formati e tutti i loro organi principali”.
Gli embrioni possono crescere senza interagire con l’utero materno
Ciò che sono riusciti a dimostrare – si legge da NoCamels – è che gli embrioni si possono sviluppare anche senza interagire con l’utero materno. “In precedenza si pensava fosse impossibile coltivare embrioni in vitro perché avevano bisogno dei messaggi segnale provenienti dalla madre”, racconta Aguilera-Castrejon. Ma confrontando gli embrioni rimossi da topi gravidi essi hanno constatato che i processi di sviluppo durante le due fasi erano praticamente uguali e questo perché si sono create le giuste condizioni affinché gli embrioni potessero svilupparsi correttamente senza presentare anomalie.
Prima d’allora, l’unica soluzione per studiare lo sviluppo di tessuti e organi era possibile con esseri viventi appartenenti al mondo dei rettili, insetti, anfibi o pesci, ad esempio attraverso l’impiego di vermi, rane e mosche, modelli animale che non hanno bisogno di un utero.
“Con il nostro sistema, possiamo studiare come si formano organi e tessuti nei mammiferi, il che può aiutarci a sviluppare tecniche per sintetizzare in futuro la formazione degli organi in vitro, mentre l’idea di applicare questo metodo a un embrione umano è ancora lontana decenni dalla tecnologia attuale dice Aguilera-Castrejon”. Prima di questa innovazione era ben difficile metterlo in pratica perché era nascosto all’interno dell’utero della madre.
Quali saranno i benefici in campo medico?
Tra gli esperimenti condotti dal team di Hanna, uno di questi riguarda l’inserimento di geni negli embrioni che etichettano gli organi in crescita utilizzando colori fluorescenti. Da quest’ultimo è emerso che ulteriori esperimenti concernenti le manipolazioni genetiche o di altro tipo potrebbero produrre risultati affidabili. “Pensiamo che nelle cellule dell’embrione si possano iniettare geni o altri elementi, alterarne le condizioni o infettare l’embrione con dei virus. E ciò che noteremo è che il sistema che abbiamo dimostrato darà risultati al pari con lo sviluppo all’interno di un utero di topo“, ha detto il professor Hanna.
I benefici sono molteplici. Tale avanzamento ci proietta su nuovi scenari, perché potrebbe ridurre i costi e accelerare le ricerche nel campo della biologia dello sviluppo, oltre a diminuire la necessità nell’impiegare animali da laboratorio. Il prossimo passo nei laboratori del Weizmann sarà di vedere come potere saltare la fase di rimozione degli embrioni da topi gravidi provando a creare direttamente embrioni artificiali con l’utilizzo di cellule staminali. Questo permetterebbe inoltre di far luce sul motivo per cui molte gravidanze nell’essere umano non riescono ad impiantarsi, a comprendere maggiormente come progredisce la differenziazione delle cellule staminali, fino a conoscere i fattori che durante la gestazione portano a disturbi dello sviluppo.
Un nuovo mattoncino che si aggiunge alla galassia del sapere scientifico, un avanzamento che molto probabilmente incrementerà le pagine dei principali testi per antonomasia dell’embriologia come il noto Biologia dello sviluppo di Scott F. Gilbert e Michael J. F. Barresi.
https://www.youtube.com/watch?v=tNb2npuiF3Q
(Foto: ISRAEL21c – NoCamels)