Lo SChneider Medical center di tel Aviv dove si applica la New Authority

Arriva da Israele il concetto di ‘New Authority’ fra genitori, insegnanti e figli

Salute

di Marina Gersony
Arriva da Israele un nuovo concetto educativo. Si chiama New Authority, «Nuova autorità» e mira a rafforzare genitori e insegnanti e farli sentire meno impotenti nei rapporti spesso difficili con i loro figli e studenti. La New Authority viene usata solitamente per relazioni genitore-figlio molto problematiche. In Israele madri e padri alla ricerca di un aiuto professionale possono rivolgersi al Schneider Children’s Medical Center vicino Tel Aviv (nella foto) che dispone di un settore dedicato. Diversi Paesi hanno già riconosciuto questo concetto, tra cui Belgio, Danimarca, Germania, Irlanda, Svizzere, Olanda, Inghilterra, ma è facile prevedere che in futuro altri Paesi lo prenderanno in considerazione.

Ne parla un articolo esaustivo sulla Jüdische Allgemeine a firma di Maria Ugoljew. La giornalista racconta di come gli esperti israeliani siano andati per alcuni giorni a Berlino su invito di due centri tedeschi, il Balagan Private Therapy Center e il Pfefferwerk Stadtkultur. Obiettivo: formare specialisti provenienti da asili nido, scuole, istituti di assistenza giovanile e consulenza nel settore. Tra gli esperti era presente anche Idan Amiel, psicologo clinico, direttore dell’unità di consulenza dei genitori presso lo Schneider Children’s Medical Center nonché figura chiave nello sviluppo dei concetti di New Authority e fondatore insieme al Professor Haim Omer del New Authority Centre.

Che cos’è la New Authority

Ma di cosa si tratta concretamente? È un metodo educativo, una filosofia di vita o un nuovo atteggiamento mentale nei confronti dei figli? Il concetto di New Authority è stato elaborato inizialmente da Haim Omer, professore di psicologia presso l’Università di Tel Aviv che su questo tema ha scritto un libro (The New Authority: Family, School, and Community, 2011). Il suo approccio si basa sulle idee di resistenza non violenta ispirate al Mahatma Gandhi, trasferendo così un principio politico al lavoro che sarebbe utile fare in famiglia. L’educazione è tanto un atto politico quanto la politica ha aspetti educativi, è la teoria di Omer. Egli ritiene infatti che la leadership e l’autorità svolgano un ruolo centrale in entrambe le aree.

Ma cosa vuol dire «autorità» nel Ventunesimo secolo? E come si è trasformato nel corso dei secoli il potere che un genitore o un educatore esercita (per forza propria, per consenso comune o per tradizione) sulla volontà o sullo spirito di un bambino o di un ragazzo? Belle domande. Il concetto di potere e di autorità – probabilmente in molte delle loro accezioni – è cambiato drasticamente negli ultimi decenni. Si è passati da un’autorità tradizionale che pretendeva cieca obbedienza, ossia quello che diceva il padre o l’insegnante doveva essere fatto punto e basta, a un approccio all’educazione anti-autoritario che si è rivelata per lo più fallimentare, sostiene Idan Amiel.

Già dagli anni ‘80 diversi studi avevano suggerito che i bambini e gli adolescenti privi di guida e di regole avevano sviluppato una maggiore problematicità. Si erano rivelati più violenti, saltavano spesso la scuola o ricorrevano alle droghe. Inoltre, la loro autostima era generalmente molto bassa. In breve, non avevano imparato ad affrontare le difficoltà che inevitabilmente ogni vita presenta. Qualcuno ricorderà forse un libro che ebbe molto successo unaventina di anni fa, teso ad aiutare il genitore in difficolta offrendogli strumenti per la messa a fuoco dei problemi e il loro superamento: si intitolava I no che aiutano a crescere di Asha Phillips, bestseller pubblicato da Feltrinelli nel 1999 e giunto alla quarantaquattresima edizione nel 2008. La tesi del libro verteva sulla capacità di dire «no» come strategia per delineare quei limiti necessari a uno sviluppo armonico della personalita infantile, ed evitare un ego autocentrato e onnipotente.

Cosa si può dunque fare oggi per l’infanzia se i precedenti modelli non sembrano essere più validi? Con la New Authority, Idan Amiel e Haim Omer propongono un concetto simile a una formuletta magica che contiene tuttavia un senso nella sua semplicità: prima di tutto, è fondamentale che gli adulti siano più presenti con i bambini. Inoltre non dovrebbero addossarsi tutto il compito dell’educazione. Come dice il proverbio africano: «Ci vuole un intero villaggio per crescere un bambino».

In poche parole, condividere la vita e le proprie esperienze con i figli, non voler dare a tutti i costi un’immagine perfetta di se stessi. Non solo: è importante non proiettare le proprie paure sui figli. Ci sono studi che dimostrano che i timori, la mancanza di fiducia, ma anche dei traumi, possano trasferirsi di generazione in generazione.

Alcuni consigli pratici

Niente di nuovo sotto il sole, direte voi. Se da un lato i suggerimenti degli studiosi israeliani possano apparire per certi versi scontati, non si può negare che l’educazione moderna con il suo eccesso di permissivismo abbia prodotto non pochi danni. Le cronache continuano a riportate notizie terrificanti di bambini che a volte si drogano, non vanno a scuola, picchiano la madre o il padre; un fenomeno sempre più diffuso. «Molti di quelli che vengono da noi sono davvero impotenti, anche se hanno già provato diverse terapie», ammette Idan Amiel.

Proprio per questo i consigli pratici degli studiosi meritano di essere presi in seria considerazione. Eccone alcuni: non appena ci si rende conto di trovarsi di fronte a una decisione difficile, chiedere aiuto; i genitori dovrebbero essere sicuri che tutto funzioni; se i genitori pensano «il mio bambino non ce la fa» oppure «il mio bambino non è capace», il bambino non ce la farà mai davvero, semplicemente perché gli mancherà la fiducia in se stesso. I nuovi media possono essere usati in terapia; un gruppo familiare su WhatsApp può rivelarsi molto utile per genitori sovraccarichi di lavoro (parenti, amici, vicini di casa, più persone possono essere attivate, meglio è). «La cosa più importante è restare in contatto con il bambino, costruire una relazione con lui, qualunque cosa accada», sostiene Idan Amiel convinto.

Un altro esempio pratico di Nuova Autorità? Nell’articolo sulla Jüdische Allgemeine, Amiel racconta un episodio: quando suo figlio maggiore, dieci anni, gli ha chiesto il cellulare, invece di decidere da solo il terapeuta ha girato la domanda ai genitori dei compagni di classe del ragazzino. Nel frattempo ha detto al figlio che ci avrebbe pensato. Alla fine, il collegio dei genitori ha deciso: tutti i bambini avrebbero potuto avere un cellulare, ma senza accesso a Internet. Una volta compiuti i quattordici anni, la domanda sarebbe stata rinegoziata. In breve, le decisioni collettive evitano un sovraccarico individuale e favoriscono delle decisione costruttive e soprattutto condivise. Per il bene di tutti.