“And just like that” e la rappresentazione degli ebrei nel mondo di “Sex and the city”

di Pietro Baragiola
Carrie, Miranda, Charlotte e (forse) Samantha sono tornate con la seconda stagione di And Just Like That, lo spin-off in onda dal 22 giugno che riprende la trama dell’irriverente e pluripremiata serie TV Sex and the City.

Pur essendo ambientata nella metropoli multiculturale più famosa al mondo, Sex and the City, in onda dal 1998 al 2004, è stata più volte criticata per la sua mancanza di accuratezza nel descrivere la comunità ebraica di New York, concentrandosi sul generare ilarità nel pubblico al costo di usare stereotipi e commenti sprezzanti, quasi antisemiti.

“Viviamo in una città piena di ebrei e il fatto che non abbiamo rappresentato in maniera migliore questi personaggi mi infastidisce” spiega la protagonista Sarah Jessica Parker durante un’intervista con l’autrice Abigail Pogrebin. Parker non è l’unica persona del cast a sentirsi indignata da questa mancanza di sensibilità religiosa e ciò ha spinto gli autori di And Just Like That a porre maggiore attenzione all’inclusività e all’accuratezza dei personaggi coinvolti, in omaggio alla multiculturalità tipica della città di New York.

L’ebraismo di Sarah Jessica Parker

Sarah Jessica Parker a Gerusalemme

Impossibile parlare di Sex and the City senza pensare alla sua protagonista: la frizzante scrittrice Carrie Bradshaw che, tra commenti irriverenti ed indagini introspettive, guida gli spettatori alla ricerca dell’amore nella caotica capitale del sogno americano: New York City.

Amica leale, appassionata di scarpe e talmente innamorata della “Big Apple” da usare il termine “Big” come nickname per l’uomo dei suoi sogni, Carrie è interpretata dall’attrice Sarah Jessica Parker che, all’insaputa di molti, ha origini ebraiche.

“Il mio cognome è frutto di un’incomprensione” spiega Parker durante un’intervista del 2005 con l’autrice americana Abigail Pogrebin. “Il mio bisnonno da parte paterna era un ebreo aschenazita e si chiamava Bar-Khan (figlio di Kohen) ma quando arrivò ad Ellis Island, l’ufficiale dell’immigrazione capì ‘Parken’ e, scrivendo le ‘N’ come ‘R’, rilasciò il passaporto con la scritta ‘Parker’”.

L’attrice si ritiene tutt’ora orgogliosa del suo cognome originale, poiché nel mondo ebraico il kohen è il sacerdote mediatore tra gli uomini e Dio.

Nonostante l’ebraismo si erediti dal lato materno, Parker si considera un’ebrea a tutti gli effetti al punto da aver appeso una mezuzah sulla porta della camera dei figli, avuti con l’attore Matthew Broderick (figlio di un’ebrea aschenazita), ed esprimendosi pubblicamente a sostegno dello Stato d’Israele.

Questa dedizione all’ebraismo è emersa anche nel personaggio di Carrie che, pur non dichiarandolo esplicitamente, è considerata dai fan l’emblema dell’ebrea newyorkese.

“Carrie è intesa come un personaggio universale, ma molte delle sue qualità possono essere attribuite alla tipica ebrea americana” afferma il regista ebreo Darren Star, autore della serie.

Controversie e conversioni

Nonostante siano numerosi gli ebrei presenti nel cast, Sex and the City ha suscitato numerosi dibattiti per la sua scorretta rappresentazione della comunità ebraica newyorkese. I problemi iniziarono sin dalla prima stagione quando la romantica Charlotte York (interpretata da Kristin Davis) inizia a frequentare l’artista chassidico Shmuel. “Insieme parliamo d’arte, di sesso e della Torah”: così Charlotte descrive i suoi appuntamenti con l’artista alle altre protagoniste della serie, che lo chiamano ‘il rabbino’, dichiarandosi imbarazzata dal farsi vedere in giro con lui. Nonostante questa relazione abbia vita breve, l’apparente antisemitismo nelle battute delle protagoniste continua ad emergere nel corso degli episodi: la pragmatica Miranda Hobbes (interpretata da Cynthia Nixon) convince Carrie a riprendere in mano la propria vita con la frase “mettiti il cappotto Anna Frank, stiamo uscendo”; la provocante Samantha Jones (interpretata da Kim Cattrall), descrivendo i suoi exploit sessuali con un amante ebreo, viene interrotta da Carrie che le domanda se il suo comportamento “non sia kosher”.

Il personaggio che però incarna più di ogni altro l’ebraismo della serie è senza dubbio l’avvocato divorzista e futuro marito di Charlotte, Harry Goldenblatt (interpretato dall’attore ebreo Evan Handler). Nella sua ingenua comicità, Harry è il classico stereotipo dell’ebreo americano ossessionato dai bagel e in cerca dell’approvazione materna, alla quale ha promesso sul letto di morte che avrebbe sposato solo una donna ebrea. Questi cliché, per quanto scomodi, aprono la porta ad uno dei momenti più significativi della storia della televisione americana: la conversione di Charlotte York all’ebraismo per sposare Harry.

In questa lenta trasformazione da principessa episcopale di Park Avenue, attraverso i rifiuti e gli insegnamenti del rabbino locale, fino al mikveh (il bagno rituale), Charlotte guida gli spettatori alla scoperta dei valori della conversione e le gioie e rinunce che essa comporta. Una storia d’amore e religione che ha con sé un lieto fine, magistralmente interpretato dall’adorabile Kristin Davis che si è convertita a sua volta all’ebraismo per una passata relazione.

‘And Just like that’ e il “they-mitzvah”

La scena del ‘They-Mitzvah’ in ‘And just like that’

 

Dopo 20 anni dall’epico finale della serie originale, And Just Like That riporta in scena le protagoniste per affrontare i temi di amore, amicizia e perdita che a 50 anni assumono un aspetto del tutto nuovo. Lo spin-off mira ad una maggiore inclusività grazie all’ottimo lavoro delle due sceneggiatrici Julie Rottenberg ed Elisa Zuritsky che inseriscono nel cast personaggi di colore e non binari per dare un’immagine accurata della multiculturalità newyorkese.

Nonostante lo scandalo suscitato dall’episodio in cui lo stilista Anthony Marentino (interpretato da Mario Cantone) invita a casa di Charlotte ed Harry il suo nuovo compagno che si rivela presto essere un negazionista dell’Olocausto (episodio per giunta rilasciato durante il 27 gennaio, giorno della Memoria), il momento che ha suscitato maggiore scalpore è stato il finale di stagione dove si celebra una novità del mondo ebraico: il they-mitzvah.

Appena Charlotte scopre che la figlia, Rock Goldenblatt, si definisce non binaria, decide di sostenere l’identità della 13enne riadattando il celebre rito ebraico con kippah arcobaleno e un rabbino transgender.

Questo episodio è una chiara rappresentazione di come il rito di transizione si stia evolvendo al giorno d’oggi: inizialmente inteso come “bar” per i ragazzi e “bat” per le ragazze, con le nuove identità di genere alcune comunità celebrano il b’nei mitzvah.

L’interprete di Rock, Alexa Swinton, che in questi giorni è in Israele a celebrare il proprio bat mizvah, posticipato a causa della pandemia, si ritiene fiera di aver fatto parte di un momento televisivo così importante per le identità di genere e l’ebraismo.

Nonostante Rock infine si rifiuta di celebrare il rito, Charlotte sale sulla bimah al posto suo, affermando la propria fede e la scelta della figlia, sostenendo ancora una volta il messaggio di accettazione e inclusività di cui And Just Like That si fa portatore.