di Marina Gersony
Il dramma sulle vicende di alcune detenute del carcere di Litchfield – che ha appassionato milioni di spettatori in tutto il mondo – chiude definitivamente con la settima stagione ed è disponibile in streaming su Netflix a partire da venerdì 26 luglio.
È interessante ripercorrere la storia di questa fortunata serie, ispirata alla storia vera di Piper Kerman e ideata da Jenji Kohan, scrittrice e produttrice televisiva americana di origini ebraiche. Non a caso l’ebraismo ricopre un ruolo significativo in alcune puntate, dove l’identità religiosa diventa tema centrale per alcune detenute alla ricerca di qualcosa a cui aggrapparsi. Liquidati da qualche critico come episodi stereotipati o addirittura “caricaturali”, in realtà sono vicende e personaggi molto divertenti e ironici, ma anche drammatici in una realtà destabilizzante e terribile come quella del carcere; una realtà che affronta tematiche forti e attuali, il lesbismo, l’etnia, i pregiudizi, le paure, i conflitti e le inquietudini che riguardano tutti gli esseri umani, dietro e fuori dalle sbarre.
Evviva Kosher
L’episodio del cibo kosher è probabilmente tra i più spassosi della serie. Per ridurre i costi, la direzione di Litchfield decide di rifilare alle detenute dei pasti preconfezionati che inducono alcune di loro a ribellarsi. Piuttosto che ingurgitare quelle pappe disgustose, niente di meglio che professarsi ebree e pretendere pasti kosher. Tra le sedicenti o aspiranti ebree, Cindy Hayes – detta anche “Black Cindy” – è la più determinata. Si rifiuta di mangiare carne di maiale, pretende pollo kosher e decide di chiamarsi Tova. A quel punto anche le altre scoprono un’improvvisa passione per l’ebraismo e a loro volta rivendicano lo stesso diritto. La cosa insospettisce la direzione che convoca un rabbino (Rent-a-Rabbi) per distinguere le ebree autentiche dalle fake jews. A dir poco esilaranti i dialoghi delle sedicenti o aspiranti ebree per convincere il rabbino.
Il rabbino mette alla prova le detenute
Tutti gli stereotipi ebraici emergono quando il Rabbino Alan Elijah Tatelbaum interroga le detenute. Impossibile non ridere quando Black Cindy cerca di persuadere il religioso sulla sua ebraicità. La giovane inizia a raccontare la storia della sua educazione ebraica attingendo a film come Io e Annie e Yentl. Il rabbino osserva perplesso: «Miss Hayes, mi fa onestamente piacere il tuo apprezzamento per le opere di Woody Allen e Barbra Streisand, ma penso che tu abbia confuso l’ebraismo culturale con l’impegno ebraico vero e proprio». E mentre una detenuta s’interroga stupefatta sulla decisione di Black Cindy di diventare ebrea («Perché voglia passare da una minoranza detestata a un’altra ancora più detestata, in realtà mi sfugge»), alla fine l’unica prigioniera a cui è permesso continuare a ricevere i pasti kosher è una suora, sorella Jane Ingalls, che conosce bene la Bibbia. «Le religioni abramitiche sono praticamente tutte uguali – dice – fino a quando non arriva Gesù».
Black Cindy si converte
Quando Black Cindy decide di convertirsi, la prende sul serio e fa un discorso sincero al Rabbino: «Onestamente, penso di aver trovato la mia gente. Sono cresciuta in una chiesa, dove mi è stato detto di credere e pregare. Se fossi stata cattiva, sarei andata all’inferno. E se fossi stata brava, sarei andata in paradiso […]. Non sono sicura del paradiso. Penso che se fai qualcosa di sbagliato, devi capirlo da solo. E per quanto riguarda Dio, è il tuo compito continuare a porre domande, continuare a imparare e continuare a discutere […]». A quel punto il rabbino le dice che potrà essere ebrea, ma che non sarà ufficiale senza il mikveh, Black Cindy chiede: «Un mik-cosa?». Sarà l’amica Shelly Ginsberg a fornirle la spiegazione: «Oh, è come… come il battesimo, ma nessuno ti toccherà. Devi solo immergerti nell’acqua e lavare via tutta la sporcizia cristiana che hai addosso». E Black Cindy: «Ma non si può fare sotto la doccia?». Alla fine, grazie a un apertura accidentale della recinzione del carcere, le detenute entrano nel lago adiacente. In uno dei momenti più toccanti della serie, Cindy può finalmente fare il suo mikveh.
Gli altri ebrei della serie
Si chiama Larry Abraham Bloom, ed è il fidanzato ebreo della protagonista della serie, Piper Chapman, interpretata da Taylor Schilling, tipica WASP newyorkese bella, bionda, istruita e benestante, accusata e condannata al carcere per aver contrabbandato dei narcodollari per conto della sua ex fidanzata. Larry, potenziale futuro marito di Piper, è uno scrittore-giornalista freelance che cerca di mantenere la relazione con Piper anche dietro le sbarre (con scarso successo). «Perché dovrei desiderare di sposare una ragazza crudele, ex lesbica, WASP e shiksa che sta per andare in prigione? – si domanda il giovanotto rispondendosi da solo – Beh, perché questo strano ebreo, poco realizzato, con un impiego precario, la ama». Jason Biggs, l’attore che interpreta Larry, è noto per aver recitato varie volte il ruolo dell’ebreo (uno fra tutti, nel film American Pie), anche se in realtà è cattolico e per metà di origine italiana. La sua biografia su Twitter recita: «Il non ebreo dall’aspetto più ebreo»… E poi, tra i personaggi ebrei della serie, c’è Nicole “Nicky” Nichols, un’ex eroinomane dal passato irrequieto, detenuta in massima sicurezza. Interpretata dall’autrice Natasha Bianca Lyonne Braunstein, Nicky è nata in una famiglia mondana dell’alta borghesia ebraica di New York City, dalla quale non si è mai sentita davvero capita e amata. In un flashback, la vediamo tredicenne che si prepara al suo bat mitzvah per poi scandalizzare i genitori e gli ospiti con un suo monologo provocatorio in sinagoga.
Una divertente curiosità
Un articolo recente del The Telegraph, racconta di come diversi prigionieri in un carcere di Edimburgo si stiano convertendo all’ebraismo per ricevere pasti di qualità migliore. Pare che si siano ispirati alle detenute della serie Orange is the new black. Alcuni ispettori hanno visitato il carcere in questione e hanno ordinato un’indagine urgente dopo che è stato speso quasi un milione di sterline per dei pasti kosher appositamente preparati per oltre 100 prigionieri nel 2017. Si pensa che centinaia di prigionieri in tutto il Regno Unito abbiano richiesto la conversione.