Una scena del film Noi due

Dal 5 maggio al cinema “Noi due”, film italo-israeliano sull’autismo

Spettacolo

di Nathan Greppi
In tempi recenti, sta capitando sempre più spesso che vi siano intrecci tra l’Italia e Israele nelle produzioni cinematografiche e televisive: dopo che nel 2021 Nanni Moretti ha tratto un film dal romanzo Tre piani di Eshkol Nevo, e che a febbraio la Rai abbia riadattato la serie israeliana Kvodo, più di recente è stato prodotto Noi due, film diretto da Nir Bergman e frutto della collaborazione tra due case di produzione, l’italiana Rosamont e l’israeliana Spiro Film. Dopo essere uscito in origine nel 2020 ed essere già stato presentato anche al Festival di Cannes, arriverà nelle sale italiane il 5 maggio.

La storia comincia a Tel Aviv: Uri (Noam Imber) è un ragazzo che rientra nello spettro autistico, che vive con il padre separato Aharon (Shai Avivi). Quest’ultimo ha rinunciato a tutto per prendersi cura del figlio, compresa una promettente carriera come disegnatore. Il loro precario equilibrio si spezza quando la ex-moglie di Aharon, Tamara (Smadar Wolfman), cerca di convincerlo a portare Uri in un istituto per giovani autistici; siccome nessuno dei due vuole separarsi dall’altro, Aharon porta Uri in un luogo viaggio verso il sud del paese, fino a Eilat, da dove tenteranno di espatriare di nascosto prima che le autorità li trovino.

L’interdipendenza tra padre e figlio è molto stretta, poiché ciascuno dei due ha bisogno dell’altro per avere un punto di riferimento: Uri è di fatto un bambino nel corpo di un giovane uomo, che riesce a interagire molto meglio con i suoi pesciolini o più in generale con gli animali piuttosto che con le persone, e deve spesso chiedere al padre come comportarsi in situazioni che esulano dalla routine quotidiana. Di contro, Aharon ha sacrificato i suoi sogni e le sue aspirazioni per prendersi cura al meglio del figlio, ma proprio per questo non riesce a separarsi da lui; egli è al centro del suo universo. Il loro rapporto ricalca molto quello tra il padre e il figlio adottivo nel film Il Monello di Charlie Chaplin, che Uri ama rivedere in continuazione.

Bergman aveva già esperienza nel trattare tematiche di carattere psichiatrico: nel 2005 infatti è stato tra gli autori della serie televisiva BeTipul, ambientata nello studio di uno psicologo (dalla quale è stato tratto un remake italiano, In Treatment, andato in onda sui canali Sky dal 2013 al 2017). Nel corso dell’anteprima del film, tenutasi al Cinema Anteo di Milano martedì 22 marzo, il regista è intervenuto spiegando che “vedevo il padre come un cavallo con il paraocchi, poiché lui vuole solo proteggere suo figlio; forse ha il paraocchi perché non vuole vedere altri aspetti della sua vita, dove lui ha fallito.” Mentre l’idea alla base del film nasce dal vissuto personale della sceneggiatrice, Dana Idisis, che ha un fratello autistico. Non a caso, prima di questo film lei aveva già trattato il tema dell’autismo nella serie televisiva del 2018 On the Spectrum.

In generale, le interpretazioni dei due protagonisti sono molto convincenti, soprattutto quella di Imber che è particolarmente portato per la parte; questo perché nella realtà il padre gestiva un centro per ragazzi autistici, e il giovane attore è cresciuto assieme a loro. La sceneggiatura alterna scene ben riuscite ad altre meno, soprattutto verso il finale che poteva essere fatto meglio.

Sebbene Noi due possa sembrare un film unicamente israeliano, sono italiani il compositore della colonna sonora, l’astigiano Matteo Curallo, e almeno tre dei responsabili del sonoro. Una coproduzione italo-israeliana, quella di Bergman, che offre diversi spunti di riflessione sul ruolo dei genitori, e su fin dove ci si può spingere per proteggere coloro ai quali si vuole bene.