di Ester Moscati
La parola con la N, la parola con la F e quella con la E. Secondo il duo “comico” Pio e Amedeo, assurto inspiegabilmente alla prima serata di Canale 5, il 30 aprile, con lo show Felicissima Sera, è ora di dire basta al politicamente corretto e se vi dicono Negro, Frocio, Ebreo (“ovviamente” nel senso di tirchio) non bisogna prendersela ma riderci su. “Ridete in faccia a chi crede di insultarvi e smonterete l’offesa”, sostengono i due (anzi Amedeo, perché Pio finge di defilarsi e omaggia Woody Allen che “è ebreo, ma ha un cuore grande così”).
“Le parole non sono importanti, quello che conta è l’intenzione” continua la predica. Ma spesso, troppo spesso alle parole seguono fatti che sull’intenzione non lasciano proprio dubbi: ragazzi gay ferocemente picchiati per strada, solo per un bacio, è cronaca quotidiana.
Insomma, una tiritera di rara stupidità e superficialità di cui non varrebbe davvero la pena di parlare, se non fosse che il pubblico plaudente in sala è moltiplicato per qualche milione di spettatori (5.549.000 telespettatori con il 29.73% di share per la serata finale, quella che ha ospitato il testo incriminato e che, sul pubblico di telespettatori tra i 15/34 anni, i più giovani, quelli che dovrebbero essere educati a combattere il razzismo e l’omofobia e non “a riderci su” è arrivato a segnare 37.07% di share).
E quindi reazioni ci sono state, da parte ebraica e del mondo LGBT.
«Solamente al termine dello Shabbat ho avuto modo di visionare il video di Pio e Amedeo – ha scritto in un post su Facebook la presidente della comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello – in cui si faceva ironia su ebrei, omosessuali e persone di colore. Non so se il termine ironia sia il più corretto, la mia idea è che si possa ridere su tutto, ma con il limite del buon senso e della coscienza del valore delle parole. Nella tradizione ebraica il mondo viene costruito con la parola e attraverso le parole possiamo distruggerlo. Non è vero che il problema sia l’intenzione che si mette, il tema sono le parole per il significato che assumono e per ciò che contribuiscono a creare nell’ambiente in cui viviamo. Si può scherzare su tutto? Certo, lo hanno fatto comici veri e di livello, consapevoli dell’importanza della parola e degli effetti che ha prodotto nella storia. Sdoganare l’aggettivo ebreo con il significato di tirchio per esempio, può sembrare rivoluzionario solo agli ignoranti che non conoscono le cose. Non conoscono la ragione storica su come nasca un pregiudizio».
Ma anche sul fronte LGBT non sono mancate reazioni.
«Ci vogliono insegnare che è l’intenzione che conta e spacciano per rivoluzionario un discorso che in realtà è di una banalità patetica. – ha detto a Fanpage.it Pietro Turano, attore e attivista impegnato per i diritti LGBT+ in qualità di consigliere nazionale Arcigay e VicePresidente di Arcigay Roma – Certo che lo sappiamo che è l’intenzione che conta ma questo non significa che sia sempre il solito uomo, maschio, bianco, cisgender, etero a doverci spiegare che cosa dovrebbe offendermi o meno. Che cosa ne sanno loro della sensibilità che ha ognuno? Non si può più dire ricchi**e o froc** perché evidentemente a un certo punto, siccome per tutta la vita gli omosessuali si sono sentiti appellare solo in questo modo con accezione dispregiativa, si è arrivati a rigettarle».
Per gli ebrei è la stessa cosa: se “tirchio” è un pregiudizio basato su una storia di disprezzo e persecuzione, non saranno certo due guitti a dirci che dobbiamo “riderci su”.
Il cantante Michele Bravi dal palco del Concerto del 1° Maggio ha detto che le parole sono importanti, e spiega quanto sia stato difficile per lui trovarle per esprimere se stesso, contro stereotipi e odio di genere. «Io volevo fare solo una piccola riflessione, perché in questi giorni si è parlato tantissimo dell’uso delle parole. E qualcuno ha anche detto che l’intenzione è molto più importante delle parole che si usano e io una cosa da cantautore la voglio dire: io uso le parole proprio per raccontare la visione creativa del mondo e per me le parole sono importanti tanto quanto le intenzioni. Le parole scrivono la storia».
La polemica prosegue per giorni e nella trasmissione Di Martedì di Floris, il 4 maggio, un indignato Furio Colombo tuona: «Come si fa a ridere della parola Negro, quando oggi in America li stanno ancora linciando! Quando George Floyd è stato ucciso, soffocato da un poliziotto?».