di Nathan Greppi
Negli ultimi anni, da Israele sono arrivate diverse serie televisive che hanno riscosso un certo successo a livello internazionale: dagli scenari di guerra e spionaggio di Fauda agli ambienti ortodossi di Shtisel, sono tante le realtà raccontate.
Ma come si sente invece un israeliano che va a vivere in Europa, proprio in un periodo di attentati terroristici? Ha provato a raccontarlo The Attaché, dramma in 10 episodi che racconta la storia di Avshalom, musicista di successo ebreo israeliano di origini marocchine, che si trasferisce in Francia per il nuovo lavoro di sua moglie Annabelle come addetto dell’ambasciata israeliana a Parigi. Diventare un immigrato anonimo in una terra straniera assume presto un nuovo significato, poiché Avshalom arriva lo stesso giorno del più grande attacco terroristico della storia francese. Il loro anno romantico da sogno all’estero si trasforma rapidamente in un incubo: una crisi coniugale nell’eterna capitale del romanticismo, una crisi da immigrazione personale nel cuore dell’Europa e una crisi di mascolinità e paternità.
La serie, la cui prima stagione è andata originariamente in onda dal dicembre 2019 al gennaio 2020, uscirà in Italia a marzo, sulla piattaforma streaming Starz Play. Ne abbiamo parlato con Eli Ben-David, che della serie è co-creatore, regista e attore protagonista.
Come è nata l’idea?
Mi sono ispirato alla mia vita; io sono israeliano, mentre mia moglie è francese, e un giorno ha ricevuto una proposta per lavorare all’ambasciata israeliana a Parigi. Ci trasferimmo nel 2015, e all’inizio ero in difficoltà poiché non parlavo la lingua e non avevo un lavoro né amici. Ciò che accadde in Europa quell’anno, con gli attentati, mi diede l’ispirazione per la serie.
Quanto è durata la produzione?
In tutto è durata circa 3 anni e mezzo. Nel 2016 ho iniziato a scriverla, e mi ci sono voluti 2 anni, perché nello stesso periodo avevo anche un altro progetto in ballo. Mi ricordo che, ogni volta che viaggiavo in aereo tra Parigi e Tel Aviv, durante il volo scrivevo dei ricordi, col cellulare spento in modo che nessuno mi disturbasse. Poi li rielaboravo quando dovevamo girare: è stato difficile, perché gli attori e i luoghi dove giravamo erano sparsi tra Tel Aviv, la Francia e l’Ucraina. Era una vera e propria Torre di Babele.
Nel personaggio che interpreti, Avshalom, cosa c’è di te?
Prima di tutto la stessa faccia (ride). Credo che Avshalom, in un certo senso, incarni i miei timori, e più in generale ciò che succede dentro la mia testa: la solitudine, l’amore, la paura della perdita, tutto ingigantito rispetto a come sono io. C’è un episodio, il 4°, dove compare suo padre; ricordo che quando lo girammo mi fece emozionare molto, perché era come se il mio vero padre fosse lì.
Sono molti i francesi che negli ultimi anni hanno fatto l’aliyah. Tu invece come ti sei sentito ad essere un israeliano in Francia?
La Francia è diventata casa mia, la adoro. E ti dirò una cosa: sono pochi gli ebrei francesi che vengono davvero in Israele, spesso prendono il passaporto e una casa ma poi tornano indietro. In Francia sono molto aperti verso altre culture, non sono mai stato vittima di antisemitismo. In Israele dicono sempre che in Europa c’è né molto; non dico che non sia vero, ma io non l’ho mai percepito nei miei confronti.
A parte questa serie, quali sono i tuoi progetti futuri?
Ho da poco finito di girare una nuova serie in Israele, Shkufim, che attualmente è la più vista sull’emittente israeliana Hot, e tratta temi sociali. Sto anche preparando una serie con Daphna Levin, che ha sceneggiato serie importanti come BeTipul: si tratta di una coproduzione israelo-francese, che parlerà dell’esercito israeliano negli anni ’70. Infine, mi è stato offerto di scrivere e girare una seconda stagione di The Attaché.