di David Zebuloni
Torna su Netflix la terza stagione della serie tv israeliana più amata di sempre. Fauda, che in arabo significa caos, ha debuttato nel 2015 sulla rete israeliana Yes Oh e nel 2016 è stata distribuita su Netflix al grande pubblico, quello internazionale, riscontrando da subito un grande successo. Amato da israeliani, arabi, europei e americani, Fauda sembrerebbe mettere d’accordo tutti. Il conflitto israelo palestinese viene dunque concentrato in dodici puntate e raccontato tra lutti, amori e tradimenti.
Nel terzo appuntamento ritroviamo Doron e la sua unità di forze speciali dell’esercito israeliano impegnati contro i vertici di Hamas. A caratterizzare il conflitto è l’apparente assenza di regole di gioco. Tutto è lecito, tutto è permesso nel mondo di Fuada. Doron è i suoi compagni entrano a Gaza travestiti da soldati palestinesi per recuperare due cittadini israeliani catturati da Hamas. Tutto ciò che segue è pura fantascienza, ma al contempo pare essere estremamente realistico.
Il cast si conferma straordinario. Lior Raz, protagonista di Fauda e co-autore della serie, personifica alla perfezione l’eroe di guerra con tutti i suoi difetti, tutti i suoi limiti e tutti i traumi che si porta appresso. Tanto coraggioso, tanto violento, quanto umano. Impressionante anche l’uso della lingua araba, imparata da gran parte del cast per l’occasione e parlata alla perfezione. Non meno sorprendenti sono Idan Amedi e Marina Maximilian, nei personaggi del combattente Sagi e della corrispondente Hila, che cominciano la loro carriera in Israele come cantanti e si riscoprono a metà strada attori di grande talento. Ottima e molto intensa anche l’interpretazione della giovane Reef Neeman nel ruolo di Yaara, uno dei due ostaggi israeliani catturati da Hamas e tenuti di forza a Gaza, che si conferma una grande promessa di quella nuova generazione di attori israeliani cresciuti sognando Hollywood e la statuetta d’oro.
Fauda non delude mai. Non rinnova nulla, ma non delude mai. Il conflitto muta, ma è sempre lo stesso. Mutano anche le location, che variano da Gaza a Hebron, ma si assomigliano a tal punto da sembrare uguali. La struttura della trama non cambia molto di stagione in stagione. Quest’ultima parte in quarta e non si ferma un attimo, ma lo svolgimento è piuttosto simile a quello delle stagioni precedenti. Persino il finale pare un déjà-vu. La vittoria dei protagonisti non manca mai, ma è sempre parziale e comprende tante, troppe vittime da entrambe le fazioni.
Ed ecco il segreto di Fauda. Seppur surreale, la trama si basa su criteri estremamente reali. La vittoria è sempre parziale sullo schermo perché così è nella realtà. Il confine che divide bene e male, buoni e cattivi, è molto sottile e assolutamente soggettivo rispetto a chi guarda. Il conflitto si ripete di stagione in stagione, perché così accade nel Medio Oriente da quasi un secolo. Fauda è dunque un film d’azione sconnesso dalla realtà, su questo non c’è dubbio, ma i dolori, le passioni e i tormenti che vivono i suoi protagonisti sono assolutamente reali.
Tutto ciò potrebbe annoiare lo spettatore, eppure Fauda è tutto fuorché noioso. Si ripete all’infinito senza ripetersi mai. Se si trattasse della solita minestra riscaldata, Fauda sarebbe la minestra più buona e speziata che Netflix avrebbe oggi da offrire.