di Marina Gersony
1945: il film affronta il tabù
della rinascita della vita ebraica
nei Paesi dell’Est, tra vecchi pregiudizi
e vergogne nascoste
Il film 1945 è la pluripremiata opera di Ferenc Török che ha lasciato il segno e che in molti hanno visto a Milano nel corso di un evento organizzato da A.M.A.T.A. Onlus (Amici del Museo d’Arte di Tel Aviv) lo scorso novembre, in collaborazione con il Teatro Franco Parenti, alla presenza del regista ungherese. Per chi non lo avesse visto, il film narra la storia di due ebrei ortodossi che arrivano in un villaggio ungherese nell’agosto del 1945, mentre gli abitanti si preparano per il matrimonio del figlio del vicario. Sotto lo sguardo vigile delle truppe di occupazione sovietiche, i due scaricano dal convoglio delle casse misteriose. Il loro arrivo sconvolge gli abitanti che hanno molto da nascondere riguardo al passato. Tratto da un racconto dello scrittore ungherese Gábor T. Szántó, il film è stato girato per scelta in bianco e nero, un linguaggio sdoganato negli ultimi tempi che sta contaminando una certa filmografia impegnata (vedi il recente Cold War di Pawel Pawlikowsk o Roma di Alfonso Cuarón).
Nel corso della sua visita milanese, abbiamo rivolto a Török alcune domande.
Come è stato accolto inizialmente il film in Ungheria?
L’idea iniziale era di scrivere una storia con il punto di vista di una nuova generazione, quella a cui appartengo, cresciuta a cavallo tra il comunismo e dopo il crollo del Muro di Berlino. Era l’epoca in cui il Nobel Kertész, fino a quel momento bandito, è stato riconosciuto sia in patria sia all’estero. Da quel momento diversi autori ungheresi hanno iniziato a scrivere della vita ebraica, anche per sciogliere un tabù di quanto era successo durante e subito dopo la guerra. In breve, c’era la necessità di ritrovare le proprie radici, la propria storia e avere una risposta su quanto era accaduto.
Come è stato accolto il film in Ungheria? Nemo propheta in patria…. Certo, dicevano che era un buon film, ma i distributori non ci hanno dato una mano. Alla fine abbiamo fatto tutto da soli. Qualche politico al governo ci ha detto che non era una buona pubblicità per l’Ungheria, ma a noi invece questo film ha aperto molte porte, ha creato un acceso dibattito e molti ungheresi lo hanno amato. Hanno riconosciuto come il Male possa attecchire ovunque manipolando le persone più semplici.
Insomma, un tema più che mai attuale…
Si tratta di un film storico documentato nei dettagli, ma sostanzialmente è una fiction che racconta una storia locale e insieme universale, è una storia collettiva. Riguarda l’umanità che si trasforma durante la guerra e i conflitti, gente comune che sceglie di seguire il Male per ignoranza, opportunismo, ipocrisia, codardia, avidità, mancanza di etica, ma anche “perché così fan tutti”, come per esempio i collaborazionisti, dove le responsabilità individuali si esprimono in modi diversi e a tutti i livelli.
Viene in mente il saggio che Daniel Goldhagen scrisse nell’ormai lontano 1996 (I volonterosi carnefici di Hitler. I tedeschi comuni e l’Olocausto), uno dei casi più clamorosi della storiografia degli ultimi decenni che ha suscitato un intenso dibattito, in Germania e non solo. Documenti alla mano, l’autore dimostra che i responsabili dell’Olocausto non furono solo le SS o i membri del partito nazista, bensì i tedeschi di ogni estrazione sociale, uomini e donne comuni che perseguitarono e uccisero gli ebrei per convinzione ideologica e per libera scelta, senza subire pressioni psicologiche o sociali… Storie di ieri per comprendere meglio il nostro oggi.