di Fiona Diwan
Non è facile offrirsi al pubblico con intensità e passione. Non è semplice consegnare la propria vita e la propria intimità, e farlo con profondità e, insieme, leggerezza. Così, accettare di mettersi a nudo su un palcoscenico di teatro per narrare un’infanzia tormentata e difficile, fatta di rifiuto e dolore, senso di perdita e mancanza. Lo fa Claudine Chayo, autrice, attrice e narratrice di se stessa nello spettacolo C’era una volta, ma forse no…: un talento tardivo quello di Chayo che si dispiega in un appassionato monologo, andato in scena sul palco dell’ADADS Accademia, di via G. B. Nazari a Milano.
Il titolo del monologo fa riferimento non soltanto al mondo perduto e lontano degli ebrei di Libano e Siria ma anche agli incipit delle fiabe che la domestica araba le raccontava da bambina. Senso di perdita e mancanza, dicevamo. La ferita dell’abbandono del padre, fuggito in Brasile dopo aver abbandonato la famiglia, evaporato dalla sua vita da un giorno all’altro. La struggente nostalgia provata per lui dalla bambina di allora e la ribellione alle convenzioni della famiglia materna. Ma soprattutto la perdita di un mondo incantato, quello degli ebrei di Aleppo e Beyrut, rivissuto con gli occhi magici dell’infanzia. Tratto dal dolente romanzo-memoir Io, l’infedele (Albatros) della stessa Chayo, la scena si srotola intorno a un pianoforte e a un dialogo immaginario con le due immagini fotografiche del padre e della madre.
La famiglia della buona borghesia ebraica conservatrice di Aleppo, la fuga dal Medio Oriente, l’arrivo a Milano per costruire una nuova vita. Un ordine patriarcale che va in frantumi a contatto con l’Italia e il clima culturale degli anni Sessanta. Sul palcoscenico il disco canta “ti voglio cullare, cullare, sull’onda del mare, del mare… ”. Ed ecco, i granelli di sabbia nella nebbia svaniran anche per Claudine: con allegria, con tenerezza, con gratitudine alla vita.
Claudine Chayo, C’era una volta, ma forse no…,
regia di Alberto Oliva, Teatro ADADS Accademia