di Nathan Greppi
Quando era solo un bambino e viveva con la famiglia nella città di Palo Alto, in California, Raphael Bob-Waksberg trascorreva gran parte del suo tempo davanti alla televisione, e in particolare a guardare sitcom animate come I Simpson. Anni dopo, quello stesso bambino è diventato l’autore di una delle sitcom animate più seguite dell’ultimo decennio, Bojack Horseman, uscita su Netflix in sei stagioni dal 2014 al 2020.
In occasione dei dieci anni dall’esordio in streaming della serie, avvenuta il 22 agosto 2014, vale la pena di analizzarne i contenuti e il retroterra culturale di coloro che l’hanno realizzata, a partire dalle loro radici ebraiche.
Trama e analisi
Ambientata in una versione alternativa del nostro mondo, dove convivono umani e animali antropomorfi, la serie prende il nome dal suo protagonista, Bojack Horseman; ibrido uomo-cavallo e attore di Hollywood, dopo una fase di grande successo negli anni ’80 e ‘90 per il suo ruolo in una sitcom, l’ormai cinquantenne Bojack è ormai un uomo depresso, drogato e alcolizzato, senza alcuna prospettiva per la sua carriera. Una svolta iniziale avviene quando un’aspirante scrittrice, Diane Nguyen, decide di scrivere la sua biografia come ghostwriter.
Attraverso una narrazione satirica e surreale, quella che emerge è una critica feroce nei confronti della società hollywoodiana, e più in generale della società americana contemporanea: ipocrisia, conformismo, spettacolarizzazione delle tragedie altrui, sono tutti aspetti di quel mondo che vengono denunciati dalla serie. E nel farlo, non ci si fa problemi a trattare anche le tematiche più delicate, come l’aborto, lo stupro o gli abusi sui minori.
Il protagonista, Bojack, incarna vizi e difetti che accomunano tutti gli esseri umani: è un egoista a cui importa poco degli altri, incapace di avere relazioni stabili anche perché cresciuto in una famiglia anaffettiva e priva di amore. Tuttavia, egli fa leva sui problemi avuti durante l’infanzia per giustificare i propri comportamenti e autocommiserarsi, anche quando fa del male a coloro che gli stanno intorno, cercando di convincere sé stesso di avere sempre ragione. Nonostante ciò, non mancano coloro che cercano di stargli vicino: che si tratti di Diane, della sua agente ed ex-fidanzata Princess Carolyn, del suo coinquilino Todd Chavez o del suo rivale Mr. Peanutbutter, c’è chi continua a restargli amico anche quando lui li ferisce.
Per come viene tratteggiato il personaggio, l’autore della serie sembra voler dire che il suo è un comportamento comune nella vita reale, tipicamente umano. In sostanza, ognuno di noi, anche senza volerlo, può essere Bojack Horseman.
Il percorso del creatore
La famiglia di Bob-Waksberg è assai coinvolta all’interno della comunità ebraica di Palo Alto: suo padre, David Waksberg, è amministratore delegato di Jewish LearningWorks, agenzia con sede a San Francisco che promuove l’istruzione ebraica nella Bay Area; in precedenza, era anche impegnato nel sostenere i diritti degli ebrei sovietici che volevano lasciare l’URSS ed emigrare in America. Mentre la madre, Ellen Bob, per 26 anni ha gestito un negozio di souvenir ebraici, e nel 2011 è diventata direttrice esecutiva della Congregazione Etz Chayim.
Come ha raccontato la Bob nel 2018 al giornale Jewish News of Northern California, la passione per la comicità di Raphael è nata in famiglia: “Ci piace ridere… grandi risate”, ha raccontato. “David è un grande narratore e ama raccontare barzellette. Intratteneva i bambini con gli sketch di Steve Martin, Woody Allen… e canzoni di Tom Lehrer. Io sono più una che fa battute. Come a mio figlio, anche a me niente mi dà più piacere che far ridere qualcuno”.
Ripensando alla sua infanzia e adolescenza, Bob-Waksberg ha indicato la Mid-Peninsula Jewish Community Day School (ora Gideon Hausner Jewish Day School), il Palo Alto Children’s Theatre e il programma teatrale della Gunn High School come i primi luoghi in cui la sua creatività è stata riconosciuta. “A scuola, c’erano una manciata di insegnanti che mi capivano. E ce n’erano molti che non lo facevano. Non ho reso loro le cose facili”, ha raccontato scherzando nel 2018.
Rav Sheldon Lewis, rabbino emerito della Congregazione Kol Emeth di Palo Alto, ha dichiarato di ricordare Bob-Waksberg come uno “studente non facile” quando frequentava la sua scuola, “perché era molto intelligente e oltrepassava i propri limiti in fatto di creatività, umorismo e malizia”.
Altri ebrei nella produzione
Quando ha iniziato a lavorare alla serie come autrice dei disegni, Lisa Hanawalt conosceva già Bob-Waksberg da anni: i due, infatti, sono amici sin dagli anni del liceo, e inoltre avevano già lavorato insieme ad un fumetto web intitolato Tip Me Over, Pour Me Out. La madre della Hanawalt, Graciela Spivak, è una biologa argentina, discendente di ebrei emigrati dall’Ucraina all’inizio del ‘900.
Il creatore di Bojack Horseman non è l’unico membro della produzione ad aver iniziato la propria formazione artistica in seno alla comunità ebraica: l’attrice e doppiatrice Alison Brie, che presta la voce al personaggio di Diane, ha mosso i suoi primi passi sul palcoscenico recitando in spettacoli organizzati dal Jewish Community Center della California del sud. Prima di entrare nel cast, la Brie si era già fatta notare presso il grande pubblico, in particolare per i suoi ruoli nelle serie televisive Mad Men e Community.
Alcuni tra coloro che hanno realizzato la serie provengono da famiglie di creativi: è il caso del compositore della colonna sonora, Jesse Novak. Suo padre, William Novak, è un ghostwriter che ha scritto le biografie ufficiali della first lady Nancy Reagan (moglie di Ronald) e del giocatore di basket Magic Johnson, oltre ad essere co-curatore del volume The Big Book of Jewish Humor. Mentre il fratello di Jesse, B.J. Novak, è un attore, che ha interpretato un soldato ebreo nel film Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino.
Sono presenti altresì attori ebrei famosi nella realtà, che nella serie interpretano ruoli minori: come Lisa Kudrow (Phoebe in Friends), Max Greenfield (il casanova ebreo Schmidt nella sitcom New Girl) e Mara Wilson (da bambina celebre protagonista di Matilda sei mitica), solo per citare gli esempi più famosi. Ci sono anche attori, come Zach Braff (già protagonista della serie Scrubs), che doppiano in dei camei personaggi basati su loro stessi.
Personaggi ebrei
Essendo ambientata a Hollywood, in Bojack Horseman non mancano i personaggi ebrei, o quantomeno la cui origine ebraica è deducibile dal cognome: come Sarah Lynn, nata Sarah Himmelfarb, che da bambina aveva recitato assieme a Bojack nella sitcom Horsin’ Around che l’ha reso celebre; ispirata a diversi casi di attori bambini famosi che da adulti sono sprofondati nella dipendenza da alcol e droghe, durante una conversazione con Bojack dice che “ci sono stata in un tempio”, probabilmente riferendosi ad una sinagoga.
In altri casi, si trovano personaggi che servono a parodizzare gli stereotipi sugli ebrei; come il produttore Lenny Turteltaub, che tira fuori espressioni in ebraico e yiddish senza un filo logico, per ostentare le proprie radici ebraiche in modo superficiale anche se non ha mai ricevuto un’educazione ebraica.
Mondo ebraico e antisemitismo
Nel corso della serie, un certo spazio viene dedicato alla denuncia di rigurgiti antisemiti presenti in vari settori della società americana: il padre del protagonista, Butterscotch Horseman, è un romanziere mediocre che non è riuscito a farsi accettare dal movimento dei beatnik, da lui definiti una “orda di reietti comunisti liberali filosemiti”. Non è da meno il nonno materno di Bojack, Joseph Sugarman, il quale dice che per lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale vanno biasimati gli ebrei, “per aver fatto infuriare Hitler a tal punto”.
In taluni casi, certi personaggi con inclinazioni antisemite sono ispirati a persone che esistono realmente: come l’attore Vance Waggoner, personaggio ispirato all’attore e regista Mel Gibson. Come Gibson, anche Waggoner viene sentito urlare esternazioni contro gli ebrei mentre viene arrestato perché guidava ubriaco. Una volta tornato sobrio, Waggoner cerca di negare di essere antisemita, facendosi difendere dal suo produttore e coinquilino ebreo, anch’esso basato su un personaggio reale, l’attore Mark Feuerstein.
Ci sono diverse situazioni in cui Bojack cerca di soddisfare gli interlocutori ebrei, ma solo per tornaconto personale: al fine di ottenere la candidatura agli Oscar per il suo ultimo film, prende parte ad un “Bat Bat Mitzvah” (gioco di parole tra “Bat Mitzvah” e “Bat”, pipistrello) unicamente per accontentare i membri dell’Academy che dovrebbero votarlo. Mentre durante una presentazione della sua biografia, una persona dal pubblico svia il discorso con una domanda-trabocchetto su cosa pensa del diritto all’autodifesa d’Israele, al che Bojack cerca di dare una risposta diplomatica che accontenti sia i filoisraeliani che i filopalestinesi.
Conclusione
Nel complesso, Bojack Horseman è una serie ricca di sfumature, capace di sondare a fondo nei lati più reconditi dell’animo umano e di mettere in luce gli aspetti peggiori dello star system hollywoodiano. Una serie che, a dieci anni dall’esordio, ha ancora oggi molto da dire.