La banda del titolo è quella della polizia di Alessandria d’Egitto, che opera sotto la scure dei tagli alla cultura (tutto il mondo è paese…), specializzata non tanto nelle marce militari quanto nella musica tradizionale araba, anche se c’è chi tra i componenti (il bello del gruppo) adora Chet Baker e chi compone una sinfonia. Gli otto musicisti vengono invitati in Israele a suonare al Centro di cultura araba di una piccola cittadina. Una volta assodato che nessuno è venuto a prenderli all’aeroporto, in un inglese stentato chiedono come raggiungere il piccolo centro e, complice la lingua straniera, lo scarso senso pratico e un’assonanza birichina, finiscono in un buco in mezzo al nulla, una colata di cemento in mezzo al paesaggio brullo, neanche fossero sulla luna.
Gli otto uomini, in divisa carta da zucchero e strumenti al seguito, hanno come leader il “generale” (il convincente Sasson Gabai, giustamente premiato come miglior attore agli Efa del cinema europeo), meravigliosa maschera di burbera severità indurita dalla vita. A prestar loro soccorso una donna bella e non più giovanissima (la sensuale Ronit Elkabetz) che gestisce un bar ed è ben consapevole della mancanza di stimoli del paesino (“qui non c’è cultura né araba né israeliana, è solo un cesso”) e due giovani avventori, che l’aiuteranno a far “passare la nottata” agli smarriti musicisti, in attesa che l’ambasciata si prenda cura di loro. Una notte di incontri, confronti, ostilità e inattesa solidarietà: un’oasi di serenità per gli abitanti, aggrappati all’attesa infinita dell’imprevisto, o che la vita ha già spinto a nulla più chiedere.
La vigorosa barista invita a cena il freddo generale, cercando di sedurlo – o quanto meno di scalfire la corazza sedimentata negli anni – per poi freudianamente appagarsi col più attraente del gruppo. Lo stesso che, trovatosi nella discoteca locale con i due ragazzi conosciuti al bar e relative amichette, insegna al più impacciato dei due come vincere la timidezza con il gentil sesso, in una sequenza che strappa l’applauso. Altri tre dei musicisti si troveranno a casa di un buon samaritano, per una cena familiare non proprio all’insegna della distensione.
Premiato al Certain regard di Cannes 2007 e vincitore del Premio Efa come miglior esordio, La banda rende l’idea di come sarebbe un film di Aki Kaurismaki se fosse nato in Medio Oriente, anziché in Finlandia. I silenzi, le difficoltà a comunicare, l’accostamento di mondi lontanissimi, personaggi stralunati e a volte tenerissimi convergono in 24 ore fuori dalla norma con un tono ora surreale ora comico che conquista in un’opera prima piena di empatia, e che, pur senza affrontare apertamente temi scottanti, è un implicito, intelligente invito al dialogo e alla comprensione, senza vuoti paroloni né sterili proclami. Una magnifica sorpresa.