Mercoledì 29 luglio 2015 alle ore 23,40 Rai 3 trasmetterà il documentario “Io sono Yoav”, di Sabina Fedeli, Stefania Miretti e Amelia Visintini.
Yoav Hattab è stato ucciso il 9 gennaio 2015, a Parigi, dal terrorista islamico Amedy Coulibaly. È una delle quattro vittime del supermercato kosher di Vincennes, dov’era entrato per acquistare una bottiglia di vino da portare agli amici che l’avevano invitato per shabbat. Aveva cercato di prendere la mitraglietta dal terrorista, che l’aveva però freddato sul colpo.
Aveva 21 anni, un sorriso contagioso e una storia speciale: era il secondo dei nove figli del rabbino di Tunisi. Anche a Parigi, dove s’era trasferito dopo il diploma per cercare un futuro migliore, Yoav provava ad essere, oltre ogni differenza, cittadino del mondo.
Come racconta oggi La Stampa, “L’eroe ventunenne dell’Hyper Cacher era uno dei 1500 ebrei di Tunisia che ancora vivono tra la capitale e l’isola di Djerba; un patriota, orgoglioso d’aver votato per la prima volta dopo la cacciata di Ben Ali, perfettamente a suo agio con la kippah in testa e la bandiera tunisina sulle spalle. Secondo dei nove figli del rabbino di Tunisi, Yoav era un ragazzo «multiplo e poliglotta, particolare e universale», così lo descrive il suo amico Johann Taïeb; ma a Tunisi i fratelli Hattab sono e si sono sempre sentiti ragazzi di quartiere: «Del quartiere Lafayette: tunisini duri e puri» dice Avishay, il maggiore. I giovani di confessione ebraica studiano nella scuola diretta dal rabbino Hattab, pregano nella Gran Sinagoga di Avenue de Paris, poi inseguono sogni e palloni sui campetti di periferia come tutti i loro coetanei musulmani, e come loro emigrano per cercare l’Europa, la mixité, una vita migliore”.
In Francia Yoav c’era arrivato dopo il diploma, per condurre la non facile vita dello studente-lavoratore con pochi euro in tasca. Una vita di banlieue, tra Vincennes e Montreuil; una vita da maghrebino a Parigi, problemi di visto, stanze rimediate, troppi pasti consumati da solo; una vita da ebreo a Parigi, in strade dove se porti la stella di David al collo rischi l’aggressione. Il rabbino Hattab racconta che i primi tempi suo figlio, quanto telefonava a casa, gli diceva: «Papà, ma qui sui muri c’è scritto “morte agli ebrei!”». Quasi un percorso di formazione alla rovescia, oltre una frontiera già attraversata da tanti ebrei tunisini prima di lui. Per esempio Gabriel Mamou. Lui s’è sentito male la prima volta che gli è sfilato accanto un corteo di solidarietà a Gaza: «C’erano 30 mila persone che gridavano “morte agli ebrei”. In Tunisia non potrebbe mai succedere. Per come abbiamo vissuto noi a Djerba, se io non trovo una sinagoga posso entrare in moschea e fare la mia preghiera».