di David Zebuloni
“Se non hanno più pane, che mangino brioche”, aveva detto Maria Antonietta d’Asburgo, riferendosi al popolo affamato durante una rivolta dovuta alla mancanza di pane. Così ha fatto Etgar Keret, che in assenza di un produttore israeliano interessato ad investire nella sua miniserie televisiva, ha deciso di rivolgersi agli amici francesi. Nasce così L’agent immobilier (L’agente immobiliare, in italiano), un ambizioso progetto cinematografico prodotto dalla rete televisiva francese Arte e già vincitore del prestigioso premio La Rochelle TV Awards, per la miglior sceneggiatura.
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L’opera porta la firma dello scrittore Etgar Keret e della moglie Shira Geffen, figlia del celebre cantautore Yonathan Geffen e sceneggiatrice di professione, ed è composta da quattro episodi dalla durata di 45 minuti ciascuno. Un piccolo gioiello cinematografico che conferma e avvalora lo stile ecclettico e mai banale dei due. Così semplice e al contempo così complesso.
L’agent immobilier racconta infatti la storia di un agente immobiliare mezzo fallito – interpretato dall’attore francese Mathieu Amalric – che scopre di aver ereditato dalla madre defunta un palazzo nel centro di Parigi. Entrano così in gioco un pesce parlante capace di esaudire ogni desiderio, un tesoro sepolto sotto una scala a chiocciola e una bambina proveniente dal passato che non dà pace al nostro protagonista. Il tutto recitato rigorosamente in francese, lingua che Keret e Geffen non parlano e mai hanno parlato.
La miniserie francese ci diverte e ci affligge, ci fa ridere e ci fa piangere. Le piccole e grandi sventure di Olivier Tronier, l’agente immobiliare in questione, ci ricordano vagamente le nostre. Il senso di fallimento ci risulta tediosamente familiare. I conti da saldare con un passato irrisolto ci provocano un’inspiegabile stretta allo stomaco. Ed ecco che il dono di Keret prende vita anche sul piccolo schermo. Keret conferma la sua straordinaria capacità di saper raccontare una storia caotica e surreale rendendola estremamente reale e vicina.
“L’agente immobiliare sono io!”
“Questa storia di un edificio abbandonato mi scorreva nella mente da molto tempo, ma non era abbastanza in prima serata, troppo strana e all’avanguardia, per la TV israeliana – spiega Keret in un’intervista rilasciata al settimanale francese Les Echos -. In occasione di una lettura della mia raccolta “Au pays des mensonges” all’Odéon nel 2011, ho incontrato Mathieu Amalric. Mi sono offerto di leggere la mia sceneggiatura, lui ha accettato ma ha chiesto prima di leggerlo in ebraico. Questo mi ha sorpreso perché non parla questa lingua ma lo ha fatto per capire chi ero, la mia essenza, la mia ansia. Ho visto così in scena un’esagerazione di ciò che sentivo. Mi sembrava di aver incontrato il mio alter ego. Con mia moglie Shira, anche lei regista, abbiamo subito pensato che fosse il mio agente immobiliare. Senza di lui, non c’era film”.
“Quando mio padre morì, lasciò in eredità a mia madre un terzo di un vecchio edificio in possesso congiunto a Tel Aviv in cui viveva ancora un inquilino, un suo amico sopravvissuto alla Shoah e il proprietario degli altri due terzi era una persona particolarmente difficile. Mio padre non nascondeva alla famiglia l’esistenza di questa proprietà ma diceva che per lui era come un’emorroide … volevo scrivere la storia di un vecchio edificio e dei suoi abitanti in una luce più felice, prima di essere danneggiato dalla vita e dal tempo”.
Quindi l’agente immobiliare sei tu? “Ovviamente sono io – risponde Keret alla giornalista Laura Berny -. Questa finzione è essenziale per me. Mi ha permesso di chiudere una parte della mia vita parlando in particolare di mio padre, che non era un alcolizzato come il personaggio della serie ma che aveva questa forma di incoerenza e questa assenza di paura che un rocker Eddy Mitchell incarna in modo naturale. È anche un tributo alla mia madre recentemente defunta”.
“Il racconto breve è come l’aceto balsamico”
In un’intervista esclusiva rilasciata a Bet Magazine, Keret aveva parlato del suo rapporto con i racconti brevi, così lontani e così diversi dai classici romanzi. “Il racconto breve è come l’aceto balsamico. Prendi un sapore e lo comprimi a tal punto da portarlo allo stremo”, aveva spiegato lo scrittore israeliano. “Il romanzo ti permette di sostare in un mondo parallelo per giorni, talvolta settimane o mesi. Il racconto breve ti fa entrare e dopo un attimo ti dà uno schiaffo e ti butta fuori con la forza”. La sua passione per i racconti brevi si manifesta anche in L’agent immobilier e spiega il motivo per il quale Keret abbia optato per una miniserie di soli quattro episodi. Troppo brevi, forse, ma senza dubbio forti ed intensi come l’aceto balsamico.
(Credit foto: Les film du poisson)