di Sonia Schoonejans e Andrea Finzi
Se Ohad Naharin fa parte delle personalità artistiche israeliane più conosciute al mondo, la sua celebrità non dipende soltanto dalla sua opera coreografica di oltre trent’anni anni con la Batsheva Dance Company e dal suo metodo di danza Gaga adottata internazionalmente, ma anche dalle sue prese di posizione sociali e politiche quando si tratta di difendere le libertà democratiche, sempre privilegiando il dialogo. Ognuna delle sue opere, sostenute da danzatori eccezionali, riflette un modo di pensare il mondo in cui viviamo, come lui stesso lo esprime: “La mia storia, il mio passato, le mie origini, la mia erranza fondano il mio approccio alla danza. Vorrei che la mia esperienza incontrasse quella, differente, dello spettatore, che i muri cadessero in un interrogativo comune, il tempo di una rappresentazione”. Lontano da ogni convenzione gestuale, Naharin ha sviluppato una danza potente ed esigente dove l’astrazione non impedisce l’emozione e che coinvolge ognuno dei suoi danzatori nel processo creativo.
La sua ultima creazione, Momo, che arriverà in Italia il prossimo autunno, risulta, ancora una volta, da una collaborazione fruttuosa con i suoi interpreti e più in particolare con uno di essi, Ariel Cohen che firma Momo insieme a lui. Sul palcoscenico completamente aperto, senza quinte e senza scenografia, salvo un gran muro nero in fondo alla scena che sarà più tardi scalato, due partizioni coreografiche indipendenti si sviluppano parallelamente prima di intersecarsi nel corso dello spettacolo. Quest’ultimo inizia poco prima che le luci si spengano, con l’entrata in scena di quattro uomini che avanzano con un passo sicuro, piedi e torso nudi, indossando tutti dei pantaloni identici. Mentre la loro gestualità leggermente marziale e in perfetta sincronia trasmette una forza tranquilla, appaiono successivamente altri sette interpreti che, uno dopo l’altro, come particelle in libertà, vanno ad opporre a questo quatuor mascolino una individualità fantasiosa, passionale, ibrida. Ognuno di loro ha una personalità ed un abbigliamento che lo distingue dagli altri e i loro assolo esprimono una voglia di amore e di riconoscimento molto distante dalla fraternità virile del commando che, invece, resterà coeso in tutti i suoi spostamenti come un corpo solo. Il contrasto fra i due gruppi appare anche nella gestualità energica del quatuor, mentre gli interpreti dell’altro gruppo sono più dolci, più sensibili ed anche più femminei.
Quando si tratta di un artista che vive in Israele, si è subito tentati di interpretare la sua opera in funzione della situazione che si conosce del suo Paese e di immaginare, in questo caso, che i due gruppi rappresentino l’uno l’ordine (l’esercito), l’altro, la libertà (la popolazione in tutta la sua varietà) della quale il primo è garante, ma che si ritrovano uniti e solidali nel momento del pericolo che viene affrontato scalando il muro tutti insieme. Invece, potrebbe trattarsi di una riflessione sugli archetipi del gender, di una mascolinità affermata e antica, affiancata da una identità sessuale meno definita. In questo caso Momo affronterebbe un tema attualmente molto dibattuto. O ancora, potrebbe trattarsi di una specie di tragedia greca nella quale il quatuor svolgerebbe la funzione del coro.
Quale che sia il suo significato, e senza dubbio ve ne sono molti, Momo resta soprattutto una ricerca di verità e di bellezza attraverso la delicatezza e l’energia.Sarà uno spettacolo da non perdere.
(Foto: @Ascaf)