“Riefenstahl”, il documentario di Andres Veiel, porta alla luce l’oscuro passato di Leni Riefenstahl e il suo sostegno alla causa nazista

di Pietro Baragiola

Il pluripremiato regista tedesco Andres Veiel ha presentato fuori concorso all’81esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia il suo nuovo documentario Riefenstahl, un’introspettiva sulla vita della cineasta nota per essere una delle figure più controverse del XX secolo.

Regista, attrice e produttrice cinematografica tedesca, Leni Riefenstahl è diventata famosa in tutto il mondo per aver diretto alcuni dei film più importanti della propaganda nazista.

Dopo la sconfitta della Germania nella Seconda Guerra Mondiale, la cineasta si è descritta come un’artista apolitica che si era “limitata ad accettare incarichi da Hitler e dalla sua cerchia”.

Morta nel 2003 all’età di 101 anni, Riefenstahl ha sempre negato di essere stata a conoscenza delle atrocità naziste e la sua immagine è stata ampiamente riabilitata nella Germania del dopoguerra.

Ciononostante, il nuovo documentario di Veiel mette in dubbio tutte le affermazioni della cineasta, portando alla luce prove schiaccianti che dimostrano il suo forte sostegno alla causa nazista.

Prodotto per la Vincent Productions da Sandra Maischberger, una delle più importanti conduttrici televisive tedesche, Riefenstahl è stato mostrato in anteprima mondiale giovedì 29 agosto al festival di Venezia ed ha una durata di 116 minuti.

I film di Leni Riefenstahl

Affacciatasi alla regia in un periodo in cui questa era affidata principalmente agli uomini, Leni Riefenstahl ha girato il suo primo film, La bella maledetta, nel 1932, all’età di 30 anni.

Il progetto ha attirato subito l’attenzione di Adolf Hitler che, in occasione del raduno di Norimberga del 1934, ha deciso di offrirle risorse quasi illimitate per girare Il trionfo della volontà, uno dei film di propaganda più magistrali di tutti i tempi.

Due anni dopo, Riefenstahl ha ricevuto l’incarico di documentare le Olimpiadi di Monaco del 1936 nel film Olympia, in cui fu pioniera della tecnica di collocare la telecamera su una bobina.

Tutti i suoi progetti rappresentano costantemente il culto del corpo perfetto e la celebrazione della superiorità e della vittoria, insieme al disprezzo per l’imperfezione e la debolezza.

“Non si limitava a fare ‘belle immagini’” ha spiegato Veiel durante la presentazione del documentario. “La sua glorificazione del corpo, soprattutto in Olympia, costituiva un’analogia visiva con la propaganda nazista sulla purezza razziale e la superiorità ariana.”

In un’intervista presente nel documentario di Veiel, una giornalista chiede a Riefenstahl se avrebbe mai pensato di fare un film sugli storpi. Nella pellicola si può vedere come la cineasta rimane visibilmente disgustata dalla domanda prima di riprendere il controllo e spiegare che, con Olympia, aveva semplicemente fatto del suo meglio per adempiere ad un compito cinematografico.

Nel dopoguerra Riefenstahl è riuscita a conquistare il plauso del pubblico grazie alla sua apparizione in un talk show nel 1976 accanto ad un ex membro del movimento di resistenza antinazista dei lavoratori. Qui la cineasta ha parlato pubblicamente dello shock provato nel rendersi conto, solo dopo la guerra, delle atrocità commesse dai nazisti e di come le sue ferite “non erano ancora guarite” dalla scoperta dei crimini del Terzo Reich.

“In un certo senso il mio documentario è un giallo, perché mostra come Riefenstahl è intenta a mentire costantemente” ha affermato Veiel durante l’intervista rilasciata a Deadline. “Si è a lungo definita una vittima, lamentando il fatto che dopo la guerra non avrebbe più potuto fare film o di come gli Alleati l’avessero rinchiusa per tre anni in diverse prigioni e campi di concentramento. Nessuno controlla i fatti! In realtà è stata trattenuta per quattro settimane e nemmeno in una prigione ma in un hotel. Andava al casinò e prendeva il tè.”

Secondo Veiel, Riefenstahl è un prototipo dei leader che mentono talmente bene da far sembrare realtà le loro menzogne. “Guardando al mondo di oggi, un film sulla Riefenstahl è diventato per me una necessità urgente” ha spiegato il regista.

 

L’archivio di Riefenstahl

Il documentario di Veiel è il primo progetto basato sulla vita di Riefenstahl ad aver avuto pieno accesso all’archivio personale della cineasta, conservato dalla Prussian Cultural Heritage Foundation di Berlino.

700 scatole ricche di video privati, registrazioni e documenti inediti.

Materiali così compromettenti che, secondo Veiel, Riefenstahl avrebbe persino cercato di eliminare gli elementi che più contraddicevano la sua narrazione pubblica. Tra questi, un articolo del Daily Express in cui affermava che le era bastato leggere la prima pagina del libro di Hitler, il Mein Kampf, per diventare un’entusiasta nazionalsocialista.

Le prove portate alla luce nel documentario includono centinaia di lettere scritte dai fan della Riefenstahl per offrirle sostegno durante gli anni del dopoguerra.

“Non farti abbattere dai porci” le ha scritto un noto negazionista dell’Olocausto, dopo che in un’intervista la cineasta aveva dichiarato di essere stufa di sentirsi accusata “ingiustamente” dei crimini perpetrati nei campi di concentramento.

Tra le 30 ore di conversazioni telefoniche registrate su cassetta, la Riefenstahl piange per “gli ideali assassinati” del nazismo e, quando un interlocutore la conforta dicendo che “la moralità, la decenza e la virtù” del Terzo Reich sarebbero tornate, la cineasta risponde: “si, è nel destino del popolo tedesco che ciò accada.”

Una prova ancora più evidente della sua adesione agli ideali del nazismo è simboleggiata da una piccola scritta trovata su una pagina della sua agenda: “Vota NPD” (il partito neo-nazista).

A sconvolgere molti spettatori è stato però il ritrovamento di una lettera del 1952 che descrive il ruolo della cineasta nel massacro degli ebrei polacchi della città di Końskie, dove lavorava come reporter di guerra.

Firmata da un ufficiale di grado inferiore rispetto al marito della regista, il maggiore della SA Peter Jacob, la lettera racconta come Riefenstahl avrebbe sollecitato le truppe naziste a “rimuovere gli ebrei” da un mercato in cui doveva girare una scena. “Sbarazzatevi di loro” avrebbe intimato ai soldati, che, di conseguenza, hanno risposto sparando alla folla.

“Se questa dichiarazione fosse vera, vorrebbe dire negare tutte le affermazioni fatte da Riefenstahl nel dopoguerra. Inclusa la sua intervista del 1976 e le 50 cause di diffamazione vinte contro coloro che l’avevano accusata di aver partecipato ai crimini nazisti” ha affermato Veiel.

Nonostante le diverse prove trovate nell’archivio, i creatori del documentario si aspettano “un contraccolpo” vista l’alta considerazione che Riefenstahl gode ancora oggi tra i più importanti vertici di Hollywood: Francis Ford Coppola ha persino cenato con lei dopo la premiazione della regista al Telluride Film Festival 1974; Madonna e Jodie Foster le hanno espresso ciascuna il proprio interesse ad interpretarla in un film; George Lucas ha lodato la sua modernità riconoscendo che “non ci sarebbe Guerre Stellari senza Il trionfo della volontà.”

Veiel e Maischberger sperano che, grazie al documentario, l’immagine della Riefenstahl venga rivalutata. “Non ce lo saremmo mai aspettati ma in queste 700 scatole abbiamo trovato prove evidenti di una “attivista” che è rimasta convinta dell’ideologia nazista fino alla fine dei suoi giorni” ha concluso il regista.