Una parodia delle commedie musicali del dopoguerra, allegrissima e piacevole, e riprende la tradizione musicale americana non senza venature yiddish, irriverente e senza inibizioni politically correct.
La storia, ambientata nella Broadway degli anni quaranta, è quella di due scalcinati produttori di musical che scoprono che per fare un mucchio di soldi è meglio un fiasco che un successo. E per essere sicuri di riuscire nello scopo, mettono in scena la peggior commedia con la peggiore compagnia reperibile nella metropoli ebraica di New York. La storia si incentra infatti su un musical spettacolo nello spettacolo che ha come titolo La primavera di Hitler, una gaia commedia neonazista, in cui il dittatore, un Hitler che canta e balla, viene rappresentato al massimo del kitch, e quindi spogliato di quel carisma che ne avrebbe potuto fare una figura ambigua. La messa in scena dello spettacolo è un capolavoro assoluto di bruttezza e di cattivo gusto, il che ne decreterà appunto il successo presso il pubblico mandando a monte le speranze dei due.
Il film, attribuito a Mel Brooks che ne è in realtà solo sceneggiatore e non regista, da noi non ha suscitato quel coro di critiche che ha caratterizzato il pubblico (ebraico) americano scandalizzato da una rappresentazione così giocosa del dittatore nazista. In unintervista recente Mel Brooks spiega come il genere “commedia” può spogliare quel tristo personaggio del suo potere postumo e come riguardi unicamente la figura delluomo e non le sue infami azioni. Secondo Brooks è invece La vita è bella che crea ambiguità cercando la commedia nel campo di concentramento, dove era impossibile trovarla e che ha reso il film di Benigni così gradito al pubblico americano avendogli mostrato un aspetto appena tollerabile della vita nel campo, sì da fargli meritare lOscar.
È sempre il medesimo spirito di parodia che ha permesso al regista americano di prendersi gioco anche dei “negri”, nel film Mezzogiorno e mezzo di fuoco, ma senza toccare gli aspetti tragici del razzismo.
Quanto al personaggio di H., attraverso la commedia viene spogliato del suo potere postumo e dellalone del mito e riportato a dimensione umana: anche se Brooks non gli nega un indubbio talento di attore, quello che gli ha permesso di ingannare un intero popolo e di divenirne il capo.
Non è senza ragione che molte commedie su Hitler riguardano attori che devono impersonarlo, basti pensare al Grande dittatore (1940) di Chaplin, o Essere o non essere (1942) di Ernst Lubitsch, ripreso poi da Brooks, che ne fu anche interprete in Vogliamo vivere (1983). Daltronde”, dice Brooks, “anche lui lavorava come noi nel mondo dello spettacolo: creava illusioni.