di Roberto Zadik
Un regista famoso, come il provocatorio Amos Gitai, nome di punta del cinema israeliano e autore spesso discusso e discutibile ma senza dubbio stimolante, si “mette in mostra”.
Però diversamente dal solito non lo fa con uno dei suoi film, ricordiamo il polverone incredibile che aveva suscitato il suo “Kadosh” pellicola durissima e francamente un po’ esagerata, diciamolo, sul mondo ortodosso, bensì con l’esposizione dal titolo “Strade-Ways” in corso a Palazzo Reale fino al primo febbraio, costo del biglietto 6 euro, aggiungendo 3 euro si può assistere anche alla bella esposizione sul grande Marc Chagall.
Ma cosa vedremo? Come David Lynch, Bob Dylan o Dario Fo, anche Amos Gitai si è messo a dipingere o ha qualche pallino segreto per la scultura, la filatelia, la numismatica o lo yoga tibetano? Nulla di tutto questo ma una mostra autobiografica che è una sorta di percorso, una “way” (termine strausato anche nella musica, si pensi alla bellissima “Misterious ways” degli U2 o a Frank Sinatra quando cantava “My way”) una via attraverso il suo cinema, i suoi film, la sua vita. Come Sinatra anche Gitai canterà “I did it my may”?
Battute a parte questa è un’ iniziativa davvero unica nel suo genere a metà fra esposizione e autobiografia. Essa comprende una serie di curiosità davvero “appetitose” per gli amanti del cinema ma non solo, anche per chiunque voglia saperne di più su questo personaggio che ha messo in discussione politica, religione e società israeliana come ben pochi altri cineasti israeliani e ebrei avevano fatto prima di lui, utilizzando spesso e volentieri l’accetta e la mazza ferrata, ma comunque in maniera molto efficace e espressiva.
Durante queste lunghe e fredde giornate invernali, il pubblico potrà assistere a una mostra-installazione suddivisa in tre percorsi paralleli e convergenti fra loro che si incrociano e si dividono nella mente e nell’occhio dello spettatore. Di questa iniziativa si è scritto davvero molto, dai siti ai giornali, vista l’importanza del regista e la prestigiosa sede di Palazzo Reale e cercherò un po’ di originalità, qualità rara e profondamente benefica in questi tempi di omologazione e banalità.
Entrando nella sala delle Cariatidi i visitatori potranno assistere a varie sezioni della mostra. Si comincia con qualcosa di estremamente personale per il regista come una “ninna nanna per suo padre” in inglese questo è il nome della prima sezione della mostra che si chiama “Lullaby to my father” ed è dedicata a suo padre famoso architetto fuggito dalla Germania con l’avvento del nazismo. Si tratta di ricordi di famiglia e se vogliamo intimi che approfondiscono “il lato umano”, di Gitai, citazione da un bellissimo libro di Albert Einstein. Ma questo è solo l’inizio.
Infatti passeggiando per la mostra e la Sala delle Cariatidi che la ospita si potrà assistere anche a varie immagini dei suoi film, da “Kippur”, a “Kadosh”, a “Kedma” e altri titoli ci sono proprio tutti. Infine, spazio anche alla fotografia, grande passione di Gitai, come la sezione dedicata alla sua conversazione, non che i due si mettano a chiacchierare davvero, con il grande Gabriele Basilico e sul set del film “Free Zone” che i due concepirono assieme. In tema di nuove iniziative del vulcanico cineasta israeliano anche alcune scene in anteprima di “Carpet” anche se le riprese non sono ancora cominciate.
A quanto pare, secondo voci di cortile, (ma non è “lashonarà”, la maldicenza condannata dalla Torah e dalla tradizione ebraica anzi), pare che il nuovo prodotto sia davvero interessante. Infatti il lungometraggio del quale non si sa ancora la data di uscita (personalmente non vedo l’ora) parlerà della storia di un tappeto ricostruendo paesaggi, luoghi, atmosfere del Medio Oriente e portandole qui a Milano. Insomma Gitai non smette mai di stupire e di spiazzare ma questa volta non lo fa con la provocazione, come in Kadosh o il breve e intensissimo video “The book of Amos” – rilettura personale e suggestiva del testo biblico-, ma con questa esposizione che racconta il suo mondo e forse può aiutarci a capire un po’ meglio e più profondamente il suo cinema e la sua affascinante personalità.