di Roberto Zadik
In una piovosa giornata di novembre, era un venerdì, è arrivata improvvisa la notizia della scomparsa a 82 anni di Leonard Cohen, una delle voci più profonde, raffinate, a volte cupe della musica pop ebraica d’oltreoceano. Famoso anche in Italia grazie a ballate dolenti come Suzanne, dedicata alla moglie Susanne Elrod e rifatta anche dal nostrano De Andrè, della sua vita privata si sa ben poco. A svelare interessanti retroscena sulla vita di questa autore schivo e ironico, ci pensa un interessante documentario come Words of love (Parole d’amore) diretto da Nick Broomfield che come ha sottolineato l’autorevole sito inglese The Guardian, in un articolo del luglio 2019, racconta la storia d’amore intensa di Cohen con la norvegese Marianne Ihlen nel periodo “greco” del cantautore. Infatti per un periodo il giovane artista in cerca di ispirazione si rifugiò sull’isola di Hydra negli anni ‘60 dove ebbe una relazione con donna divorziata dal marito e i due furono talmente legati che egli scrisse la bellissima So Long Marianne, una delle tracce principali del suo debutto Songs of Leonard Cohen. Figlio di una famiglia osservante di origini polacco-lituane, il cantautore canadese ebbe una vita sentimentale alquanto attiva, a cominciare da quella piacente ragazza norvegese, conosciuta mentre era in vacanza coi genitori, dopo il primo anno di Legge alla Cardiff University.
Il filmato, presentato al prestigioso Sundance Festival e uscito in Italia solo per 2 giorni lo scorso marzo, racconta della loro appassionata storia, della Ihlen iniziata dopo la fine della relazione con un artista che la abbandonò per altre donne dopo averle la nascita del figlio. Ma cosa successe su quella fascinosa isola greca? Cohen, sognatore e poeta da sempre, incontrò uno stimolante ambiente bohemienne di poeti e artisti dove come ha ricordato successivamente “ognuno aveva qualità speciali che in quel posto si sublimavano”. In quella cornice suggestiva Cohen e Marianne si incontrarono, prima come amici e poi diventando sempre più intimi. Egli rivelò anche una “vena paterna” prendendosi cura del bimbo di Marianne, a cui suonava dolci ninna-nanne alla chitarra non pensando certo di diventare quel formidabili cantautore dallo stile ipnotico e introspettivo che si sarebbe rivelato pochi anni dopo.
Una storia estremamente appassionata quella che legò Cohen e la sua “musa” Marianne, ma alla fine entrambi furono costretti a tornare al Paese d’origine con il futuro cantautore che sognava di fare lo scrittore e che usò la poesia e la scrittura come colonna portante della sua musica. Non fu solo il classico “flirt” ma l’inizio di una storia e di una amicizia epistolare che li legò per vari anni, curiosamente la donna morì pochi mesi prima del cantautore. Per dieci anni, si frequentarono sebbene le distanze fossero tremende e come spiegò Cohen all’inizio di un concerto introducendo la canzone So Long Marianne ,vissero assieme per la maggior parte dell’anno in cui si incontrarono, vedendosi poi sempre meno fino a “due volte all’anno”. Una storia a distanza, fra vari luoghi del mondo, da Hydra, a Montreal , a New York. Nel 1966 decise di dedicarsi alla musica e alle canzoni e il sito sottolinea come all’epoca fosse “un tormentato cantautore dalla personalità abbastanza magnetica romantico e al tempo stesso passionale e, privo di senso del denaro “ come lo ricorda la cantautrice Joni Mitchell, quando legato alla Ihlen lei lo seguì al suo ritorno in Inghilterra, mentre era all’Università di Cardiff.
L’articolo rievoca vari periodi della loro relazione, non solo l’idillio greco ma anche la tempestosa “fase newyorchese” quando Cohen viveva nel Chelsey Hotel a Manhattan conoscendo personalità turbolente come le star Janis Joplin, Joni Mitchell e Nico, cantante tedesca del gruppo dei Velvet Underground trascinato dalla carismatica e corrosiva figura di Lou Reed. In quel luogo i due litigarono e Cohen le disse che era “fuori posto” ferendola molto profondamente. Fu una storia davvero profonda che segnò entrambi i protagonisti e il documentario si rivela un interessante resoconto non solo del rapporto che legò Cohen e la Ihlen dal 1960 al 1967, anno del suo esordio ma anche e soprattutto di un’epoca artistica irripetibile, come quel decennio fra la metà degli anni sessanta e il 1975 quando Cohen raggiunse la vetta del suo livello artistico. In quell’epoca egli divenne uno dei principali poeti e cantautori ebrei di tutti i tempi assieme a Bob Dylan, a Lou Reed, a Serge Gainsbourg e a Hebert Pagani.