di Roberto Zadik
Allo Spazio Oberdan questa settimana è protagonista un avvincente Festival del Cinema israeliano. Da dieci anni, più o meno sempre in questo periodo, questa manifestazione contiene una carrellata di bellissimi film che spesso apprezzati ma poi dimenticati, passano sotto gli occhi dei tanti spettatori incuriositi e di chi sa oltrepassare le asfittiche strettoie del pregiudizio per apprezzare un Paese come Israele pieno di ottimi film.
Ma chi sono i principali registi israeliani e gli elementi chiave dei film dello Stato ebraico? In cosa si differenzia il cinema israeliano da quello ebraico della Diaspora? In questo mio piccolo “special” da umile appassionato viscerale del grande schermo e cinefilo da quando avevo 8 anni, provo a spiegare qualche elemento di questo tipo di cinema. Il cinema israeliano è decisamente particolare e come diceva una famosa pubblicità “Per molti ma non per tutti” . Tante sono le sue influenze culturali e il genere sociale e introspettivo è il preferito non solo mio ma di questo cinema spesso audace, originale e coraggioso. La realtà complicata e spesso tesa della stimolante società israeliana viene affiancata alle descrizioni del conflitto col mondo arabo e delle guerre, molto importanti anche le pellicole sul mondo religioso e diversi film trattano del contrasto religiosi-laici molto presente nel Paese.
Vari sono i filoni del cinema israeliano, dai film d’autore alle commedie brillanti ai musical. Parlando in generale si tratta di un cinema eterogeneo, che spesso non si limita al semplice intrattenimento come tanti film americani o italiani di oggi, ma che scava nel profondo dei suoi protagonisti, come diverse pellicole francesi o mediorientali, si pensi a quelle iraniane o libanesi della brava Nadine Labaki, con serietà e profondità ma anche con leggerezza e umorismo e senza le indecifrabilità e i misteri di tanti film cinesi, giapponesi e coreani. Il cinema israeliano è un “unicum” diverso sia dal cinema europeo e americano e anche dei vari esponenti del mondo ebraico diasporico, da Woody Allen, Sidney Pollack, Spielberg e tanti altri. E’ un cinema pieno di giovani, fra registi e attori, con pochi grandi nomi e moltissime opere prime e esordi fulminanti, con ampio spazio all’introspezione e alla satira sociale che non teme di mettere in discussione e di prendere in giro, la mentalità e la società del Paese e di raccontare storie di povertà, immigrazione o disagio sociale o mentale.
Fra i registi israeliani “impegnati” e di spessore in primo piano c’è sicuramente il controverso e corrosivo Amos Gitai, che come Noa per la musica e Oz o Grossman per la letteratura è una delle voci più note assieme all’attrice Nathalie Portman, ormai molto americanizzata, di Israele all’estero. Gitai ha un cinema forte che non lascia indifferenti e con mano sicura e fiuto psicologico ha sfornato film molto polemici come “Kadosh” sui religiosi o pellicole poetiche e forti come “Kippur” sulla Guerra del 1973, il documentario su Rabin “The last day” mai uscito in Italia e davvero molto bello e “Kedma”.
Sulla guerra e nel filone impegnato israeliano si collocano anche altri grandi autori, come un altro grande contestatore e anti-sistema come Eran Riklis che mi ha fatto non poco arrabbiare col suo “Giardino dei limoni” film sulle traversie di una famiglia palestinese. Ma ho apprezzato prodotti solidi come Il responsabile delle risorse umane dal bel romanzo di Yehoshua o La sposa siriana. Impegnato e sempre sulla scia del conflitto con gli arabi e su temi forti anche Shmuel Maoz, col suo bellissimo “Lebanon” girato in buona parte in un carro armato e vincitore nientemeno che di Festival importanti come quello di Venezia nel 2009. Ovviamente non potevo dimenticare il discutibile Valzer con Bashir un film d’animazione interessante ma pungente sull’esercito israeliano nella Guerra col Libano di un certo Ari Folman e Premio Oscar come Miglior Film Straniero nel 2008.
Tante sono le tematiche e le ispirazioni e spesso tanti bravissimi registi e attori cadono nell’oblio sia per la difficoltà di distribuzione che linguistica, che di argomento, essendoci problemi sia culturali, di pregiudizio o di scarsa comprensione, che linguistici e concettuali. Comunque sia dalla fine degli anni Novanta a oggi Israele ha raggiunto una certa popolarità anche grazie alla forza del suo cinema che spesso fa il giro del mondo e che sa stupire, coinvolgere e a volte anche sconvolgere e polemizzare .
Da segnalare autori dal mondo religioso, come gli americani naturalizzati israeliani Rama Burshtein e il suo bellissimo affresco intimista del mondo religioso “la sposa promessa”, in qualche modo una risposta al pungente “Kadosh”o Jospeh Cedar autori dei notevoli “Beaufort” avvincente film bellico e il più profondo “Footnotes” che racconta vita e contrasti di uno studioso di Talmud e di suo figlio. Molto interessanti anche film che esplorano la sfera femminile, da segnalare la regista e attrice di origine marocchina Ronit Elkabez, e il suo “matrimonio tardivo” che torna alla carica con un altro amore infelice come “Viviane” in programma al Festival israeliano di quest’anno. In tema di film intimisti e anticonformisti anche quelli del ribelle e sornione Eytan Fox , newyorchese di nascita come la Burstein, regista di varie commedie sull’omosessualità nella società israeliana, da “Yossi and Jagger”, “Camminando sull’acqua” e anche lui in programma con il suo “Cupcakes”.
Il cinema israeliano non si pone limiti, barriere e strettoie, e esce spesso dagli schemi, cosa che vorrei accadesse anche nel cinema italiano attuale spesso un po’ troppo piatto e buonista per i miei gusti. Non limitandomi a questi pochi nomi, volevo poi, darvi qualche altro riferimento nel mare magmatico di questo cinema che in pochi anni ha prodotto una quantità incredibile di film e di attori giovani e molto espressivi, da Lior Ashkenazi, a Yael Abecassis, protagonista di Kadosh, e una serie di registi di grande qualità ma spariti dopo travolgenti opere prime. Si pensi al bellissimo “Mabul” di un certo Guy Nattiv, che raccontava i drammi di una famiglia, fra bullismo, solitudine e autismo tornato anche con un capolavoro come “Magic Men” su rapporti tesi fra padre laico e figlio religioso, o la rappresentazione realistica e ironica dell’esercito israeliano in “Infiltration” del regista georgiano Dover Kosashvili tratto dal bel romanzo di un autore importante come Yeoshua Kenaz. I film sarebbero moltissimi e in questo breve articolo ho voluto ricordarne solo alcuni. Troppi sono i nomi, i talenti, le solide figure che restano come Gitai, Riklis o Fox e le meteore che fanno un film e svaniscono. Intanto gustiamoci questo Festival e prepariamoci alle tante sorprese di estro, iniziativa e creatività che un piccolo e incredibile Paese come Israele sta sicuramente per riservarci.