di Roberto Zadik
Riassumere un ingegno versatile e brillantissimo come quello del cantautore, pensatore e artista Herbert Pagani è un’impresa. Davvero. Ha vissuto solo 44 anni e scomparso ventisette anni fa, nell’ospedale americano di Palm Springs stroncato dalla leucemia, questo ebreo libico e “cittadino del mondo” utilizzando una definizione di Einstein poi abusata nel tempo, ed è stato tantissime cose nella sua breve e tormentata esistenza.
Un deejay per Radio Montecarlo e un poeta di splendidi versi in italiano e in francese, che difese Israele e la sua identità ebraica in “Arringa per la mia terra” con una forza espressiva unica e un vigore degno di un uomo politico navigato. Un cantautore in grado di importare, diffondere e reinterpretare i classici di Edith Piaf, “Albergo ad ore” ironica e spiazzante è quasi più bella dell’originale “Les amants du jour” e lo stesso dicasi per “Lombardia”, tributo a questa regione e alla mia Milano preso dal brano del grande Jacques Brel “Le pays plat” e di scrivere struggenti melodie come la splendida “La mia generazione” dedicata al suo doloroso passato famigliare.
Per non parlare dei disegni, delle sculture elaborate coi rifiuti e del suo impegno ecologista trent’anni prima delle mode che ci parlano di benessere e cura dell’ambiente. Ebbene tutto questo e molto altro è contenuto nel libro di Rossana Castellani “Herbert Pagani, canzoni, disegni, sculture” (25 euro, 287 pagine, Barbes Editore). Un’antologia preziosa e ben fatta che condensa in maniera precisa e sobria la creatività esplosiva e coinvolgente di Pagani e tutto il suo variopinto e irrequieto mondo interiore, lasciando interamente spazio al suo animo raffinato e vulcanico, senza altre firme o interventi. A parte le due prefazioni iniziali del critico musicale Dario Salvatori e dell’amico inseparabile e collega Marco Ferradini che, dopo aver scritto con lui la bellissima Teorema nel 1980 ha contribuito in maniera fondamentale al rilancio dell’amico totalmente dimenticato qui in Italia, dalla sua tragica e improvvisa scomparsa avvenuta il 16 agosto 1988, attraverso numerose manifestazioni e serate in suo ricordo.
Sensibilissimo ma vivace, focoso ma anche delicato, spiritoso e al tempo stesso dolente e malinconico, Herbert Avraham Haggiag Pagani, nato nel giorno della Liberazione, un anno prima della fine della Seconda Guerra Mondiale, il 25 aprile 1944 aveva una personalità particolarissima, originale, anticonformista e coraggiosa e sentiva un bisogno incredibile di esprimersi senza paura e con fermezza da vero Toro, di liberarsi dai suoi tormenti e dalla sua infanzia infelice attraverso una fantasia che non conosceva limiti. Mi brillano ancora gli occhi per l’emozione mentre ricordo quella bellissima serata che due anni fa ho condotto in suo omaggio, assieme a Marco Ferradini, a sua sorella Caroline e a Anna Jencek.
Sfogliando le pagine del volume, che ho divorato in neanche una settimana, si possono leggere i testi delle canzoni, dalla commerciale e leggera “Cin cin con gli occhiali” un bel motivetto scritto improbabilmente da un altro artista incredibile, come il riservato e bravissimo Edoardo Bennato, fino a versi ben più impegnati e profondi di altre canzoni. Da segnalare “Signori presidenti” accorato appello antimilitarista che ricorda nei toni la suggestiva “Masters of war” di Bob Dylan, per alcuni versi molto simile a Pagani, anche nel look, con quella folta chioma ricciuta e l’aria pensierosa e socialmente impegnata, “L’amicizia” memorabile la sua interpretazione alla Rai introdotta da Renato Rascel dove sale le scale dello studio televisivo fra omaggi, sorrisi e scrosci d’applausi e “La stella d’oro” riflessione sulla sua identità ebraica e le canzoni della sua opera in francese “Megalopolis” che nella sua patria d’adozione, la Francia, nel 1976 ebbe un travolgente successo. Corredata da bellissime immagini di quadri, disegni mirabolanti e astratti che lasciano a bocca aperta, la raccolta è un viaggio a ritroso per comprendere e in molti casi, conoscere un genio come Pagani, artista e paroliere pressoché sconosciuto alle nuove generazioni, abituate a musichette commerciali e talent show. Simbolo di artista ebreo sefardita, laico ma legatissimo alle sue radici, apolide e cosmopolita, come il cantautore George Moustaki, nato in Egitto e di origini corfiote e italiane, o Enrico Macias, ebreo algerino naturalizzato francese, la sua “L’Oriental” è molto famosa, Pagani è più internazionale ma al tempo stesso attaccato alle sue varie patrie.
Istrione sul palco ma anche molto riservato sulla sua vita privata, divenne padre di un bimbo di nome Marcos, nato nel 1978 ma non si sa nulla di lui, Pagani fu molto italiano e milanese, ha conosciuto Luigi Tenco, intervistato pochi mesi prima del suo suicidio nel novembre 1966 e tanti altri artisti, da Patti Pravo a Lucio Dalla. Fra le sue varie identità e nazionalità egli è stato anche molto francese, sia passando lunghi periodi in collegio a Parigi che tornando con grande successo nella capitale francese diversi anni dopo per poi passare diverso tempo anche in Israele, terra alla quale è sempre stato legatissimo e dove ora riposa nel cimitero di Tel Aviv. Come tutte le personalità molto vivaci, Pagani ha lasciato un grande vuoto accentuato da tutto l’oblio che ne ha seguito la scomparsa e questo libro è un modo per sentirlo ancora un po’ vicino a noi, con l’energia travolgente delle sue parole e di quei testi che sembrano scritti ieri, nonostante sia passato quasi mezzo secolo.