di Roberto Zadik
In questo mio blog “Zadikshow”, nato un anno e mezzo fa, non voglio limitarmi a dare notizie, che potete trovare ormai dappertutto, ma intendo fornire qualcosa di più. Un tocco personale, emozionale e spero emozionante alle mie passioni per musica, letteratura e cinema in collegamento stretto col mondo ebraico e la mia identità. Ebbene non tutti si ricordano, anzi ormai davvero pochi, di un regista di immenso talento e di complessa personalità come il fotografo, schacchista e esperto di fantascienza, Stanley Kubrick. Sono passati 17 anni da quando, il 7 marzo 1999, a 71 anni, ci ha lasciato improvvisamente. Ironia della sorte, non vide mai il 21esimo secolo, pur avendo diretto “2001 Odissea nello spazio”, capolavoro fantascientifico che ispirò nientemeno che l’appena scomparso David Bowie per la sua “Space Oddity” suo fulminante brano d’esordio nel 1969.
Su Kubrick questo enigmatico ebreo newyorchese di origine polacco-russa e uno dei principali e più dotati cineasti miei correligionari, assieme al suo amico Spielberg con cui realizzò la sceneggiatura di “A.I-Intelligenza Artificiale”, a Woody Allen e a tanti altri, è stato scritto e detto moltissimo. Ma ora egli sembra essere stato davvero molto dimenticato e per questo mi propongo di scrivere questo piccolo omaggio dedicato al suo carattere e alla sua arte. Autore discontinuo, ossessivo e perfezionista, autoritario, brusco e scostante sul set e sfuggente nei rapporti umani, contraddittorio, Leone ascendente Scorpione, parlava a voce bassa, sapeva essere sarcastico e sensibile, non curava l’abbigliamento ed era l’ultimo della classe, interessato più alla fotografia, eccezionali le immagini scattate per la rivista “Life”, agli scacchi e al jazz che ai libri di testo e alle lezioni. Non fece nessuna scuola di cinema, non eccelse mai negli studi ed era un ragazzo sognatore, ironico e pigro lontano anni luce dallo stereotipo dell’americano di successo. Leggendo l’accurata biografia del bravo John Baxter e ricavando diversi particolari caratteriali, Kubrick fu un autore molto interessante sia a livello umano che artistico. Fece solo tredici pellicole in più di trent’anni di carriera, dal 1958 al 1999, con una lunga pausa dal 1987 quando uscì il bellissimo “Full Metal Jacket” sulla follia del servizio militare con la Guerra del Vietnam come sfondo e non come tema principale di film come “Platoon” di Oliver Stone o “Apocalypse Now” di Coppola. Realizzò poche opere, fra pause, malinconie e ripensamenti, e ogni suo lavoro era un evento internazionale e faceva scalpore fra pubblico e critica. Il film “Arancia meccanica” del 1971 suscitò critiche e censure molto aspre e creò a Kubrick non pochi guai anche se passò alla storia. Egli ebbe un rapporto complesso e tormentato con quasi tutti i suoi attori. Da Kirk Douglas che lavorò con lui nel kolossal storico “Spartacus” e che lo definì “uno schifoso di talento” a Jack Nicholson protagonista dello splendido “Shining” fino a Malcolm McDowell al centro del suo capolavoro “Arancia Meccanica”, a Tom Cruise snervato dalle mille manie e ossessioni del regista durante le riprese del suo ultimo film assieme alla sua ex Nicole Kidman “Eyes wide shut”. Durante le riprese, Kubrick morì ed esse vennero terminate con esiti scarsi, dallo sceneggiatore Frederic Raphael.
Quali sono le peculiarità di Kubrick e gli argomenti del suo cinema? Avido lettore, aveva sempre un libro in mano, per le sue sceneggiature si ispirò a famosi libri stravolgendoli e personalizzandoli in mirabili trasposizoni cinematografica. Da “Lolita” di Nabokov, a “Clockwork Orange” di Anthony Burgess che divenne il suo film più problematico sulla violenza e il bullismo che mi ha molto ispirato per il primo racconto del mio libro “Soulcityty 2.1-l’anima delle città”, fino a “Shining” testo di Stephen King, “Doppio sogno” del grande drammaturgo ebreo austriaco Schnitzler, medico e psicologo come Freud che divenne “Eyes wide Shut”. Proprio la varietà di generi, dal film storico-politico come “Orizzonti di gloria” o “Dottor Stranamore” con un memorabile Peter Sellers a “Full metal Jacket”, alla satira sociale di “Arancia meccanica” alla fantascienz esistenziale di “2001-Odissea nello Spazio” all’horror con “Shining”, e una costante attenzione alla caratterizzazione psicologica e alla qualità delle immagini furono peculiarità di questo incredibile regista. Nei suoi lavori, Kubrick si immergeva totalmente con meticolosità maniacale, curando ogni dettaglio, stressando i suoi attori e cambiando spesso idea improvvisamente. Il regista con la sua fronte ampia, i suoi occhiali e quel sorriso sornione era una persona affascinante e difficile e anche la sua vita privata, alla quale teneva moltissimo, rilasciando poche interviste sempre molto ufficiali e fredde, fu molto movimentata. Si sposò tre volte, l’ultimo matrimonio fu molto controverso con Christiane Harlan, nipote del regista Veit Harlan, autore del tremendo film “Suss l’ebreo” usato spietatamente dalla propaganda nazista di Goebbels. Misterioso in ogni aspetto della sua vita sorvolava sulle questioni personali e religiose ma, tracce di identità ebraica si trovano nei suoi film. Ad esempio in “Arancia Meccanica” dove vengono usate parole russe e yiddish, la “spatcka” per la droga, la “debotchka” per le donne vittime delle violenze di Alex e dei suoi Drughi, e la scena che si riferisce “agli Antichi ebrei ai tempi della Bibbia”. Sebbene si definisse ateo, Kubrick aveva un suo attaccamento alle proprie radici, in una sua lettera si definiva “un simpatico ragazzo ebreo di Brooklyn” e una delle sue consorti era sua correligionaria, Toba Metz, così come fu molto legato all’amico Spielberg, Sagittario ascendente Cancro, anche se si vedevano poco e si sentissero telefonicamente. Il regista non era sicuramente “un amicone” e telefonava spesso alle ore più strane a amici e collaboratori, come racconta il bel documentario “A life in pictures” (Una vita per immagini), aveva il terrore degli aerei e viaggiò poco, dedicandosi al lavoro e alla famiglia. Curiosamente vinse pochi Oscar, come tanti grandi talenti, uno per la colonna sonora di un filmone come “Barry Lyndon” splendido per le ambientazioni ma a mio parere noiosetto, e non partecipava alle mondanità e ai party hollywoodiani. Nonostante questa sua indole schiva e un po’ misantropa, secondo varie testimonianze, il regista sapeva essere molto simpatico, arguto e stimolante, era molto attaccato alla moglie e alle figlie e la sua personalità accentua il fascino dei suoi film. Lunghe pause e lavoro estenuante, incostanza e versatilità, una costante vena psicologica, esistenziale e pessimista segnarono la sua strabiliante vena creativa e molto brillanti furono le sue intuizioni quasi profetiche, come i computer in “2001 Odissea nello Spazio” a un mondo dominato dall’angoscia e dalla violenza previsto in “Arancia Meccanica” dove la società e la cosiddetta civiltà assistono impotenti alla bestialità e alla prevaricazione.