di Roberto Zadik
Ci sono notizie che lasciano impietriti, con un profondo senso di perdita e di smarrimento, come accade quando un genio, un personaggio unico nel suo genere, a un certo punto muore. Nonostante l’età avanzata, l’improvvisa scomparsa di Leonard Cohen, arriva come una “doccia fredda” in un anno in cui il mondo dello spettacolo si sta progressivamente svuotando. Da David Bowie, che a gennaio è scomparso a 69 anni, a Umberto Eco, a Ettore Scola, solo per citare alcuni dei nomi che negli ultimi mesi hanno cessato di vivere, nella lunga fila di grandi “estinti” compare questo cantautore che, come Bowie, da poco era uscito col suo nuovo e a questo punto ultimo lavoro Make it darker, che aveva riscosso numerosi elogi di pubblico e critica anche per i suoi arrangiamenti innovativi e la vivacità di idee e contenuti.
La notizia ha subito attraversato il globo, come accade in questi casi e ormai con le nuove tecnologie tutto si sa facilmente e altrettanto rapidamente, spesso viene dimenticato. Ma Cohen è stato una figura letteraria prima ancora che musicale, davvero difficile da dimenticare, come il correligionario e collega Lou Reed morto a 71 anni due anni fa, del quale era amico e che presenta diverse comunanze con lui, anche se Reed fu un simbolo di trasgressione e di ribellione mentre Cohen è stato l’esatto contrario.
Raffinato, composto e malinconico, con quella voce profonda e con il passare degli anni rauca ma sempre ipnotica, Leonard Cohen era uscito il 21 ottobre con il suo album, elogiato dalla critica e dalla stampa musicale come un grande ritorno dopo un lungo periodo di assenza. Stranamente come era già successo diverse volte in passato, dai Doors col loro ultimo acclamato disco “L.A Woman” che si concludeva con la cupissima “Riders on the storm” o Janis Joplin che cantava “Buried alice in the blues” (sepolta viva nel blues”, o Jimi Hendrix che come suo testamento incideva “Angel”, anche Cohen sembrava avere in qualche modo previsto la sua fine cantata nella sua ultima opera molto cupa fin dal titolo “Make it darker” (rendilo più oscuro).
Cantautore molto ispirato, con una forte vena religiosa e mistica, simile a quella di un altro geniale autore del mondo ebraico americano ashkenazita come Bob Dylan, che snobba premiazioni e riconoscimenti e fa sempre parlare di sé per talento e capricci, Cohen ha segnato il Novecento e questi difficili anni duemila; sulla scena da mezzo secolo, da quando, nel 1966, cantava con il suo caratteristico cappotto e il look un po’ dimesso e pensieroso che l’ha sempre caratterizzato, capolavori come Suzanne, rifatta anche dal nostro Fabrizio De Andrè, So long Marianne , o come l’album “Songs of love and Hate” che consacrò la sua lunga carriera nel 1971.
Come Dylan, Neil Diamond, Lou Reed, Cohen non era solo un semplice cantante ma un poeta, un autore che sfornava testi e metafore pregiate e di grande valore stilistico e letterario e non solamente per supportare la melodia con un testo.
Avido lettore, intellettuale, poeta e appassionato di letteratura, l’artista da sempre si è contraddistinto, rispetto a tanti altri musicisti, per una vena esistenziale e spirituale molto forte, inusuale per gli anni ’60 che, almeno fino al 1965 erano caratterizzati da canzoni spensierate e leggere, pensiamo anche ai primi Beatles.
Cohen con Dylan o Jim Morrison fu uno dei promotori della canzone impegnata, seguendo i cantori della beat generation come Allen Ginsberg e la filosofia esistenzialista di Sartre o di Camus e rivoluzionò, pur con i suoi modi schivi e sottilmente ironici, il mondo dello spettacolo americano, portando al grande pubblico tematiche inusuali e estremamente profonde, dove la forza della parola superava il ritmo delle note. Accompagnandosi semplicemente con voce e chitarra, ebbe il suo periodo folk e cantò sempre canzoni melodiche e armoniose, splendida Hallelujah uno dei suoi più grandi successi, rifatta da Jeff Buckley e dalla cantante italiana Elisa, la sognante “Take this Waltz” e la sensuale “I am your man” che, caratterizzata da un ritmo jazz molto particolare, fu uno dei suoi più grandi successi nel 1989.
Il prolifico cantautore, che alternava sparizioni e momenti di isolamento anche in terre lontane, come a Cuba o nelle isole greche, ebbe diverse donne e cominciò a praticare il buddismo, ma rimase sempre molto legato alla sua identità di ebreo canadese, connazionale dello scrittore Mordechai Richler. Si sposò con Suzanne Elrod, anche lei ebrea, da cui ebbe due figli; uno di loro, Adam è diventato negli ultimi anni suo produttore e collaboratore artistico.
Personalità solitaria e misteriosa, modesto e misurato, non suscitò mai polemiche e scandali, diversamente dalle classiche rockstar alla Mick Jagger o alla Iggy Pop, non teneva concerti scatenati ma i suoi live erano sempre molto controllati e Cohen si limitava a cantare le sue canzoni eseguendole con professionalità e espressività. Grande riservatezza e sobrietà caratterizzano anche la sua morte. Infatti la casa discografica Sony Music non specifica se fosse o meno malato limitandosi a dare solamente l’annuncio della sua scomparsa in maniera lapidaria e senza fornire alcun dettaglio ulteriore.
Secondo alcune indiscrezioni trapelate in queste ore, però, dal sito del tabloid inglese Daily Mirror, celebre per i suoi gossip (fu fra i primi a dare la notizia della malattia di Freddie Mercury, nel 1990, quando egli cercava di nasconderlo tenacemente alla stampa e al mondo), Cohen, negli ultimi mesi, aveva scritto una commovente lettera alla sua attuale compagna Marianne Ihlen, dove sembra che avesse previsto la sua morte. Ma superando i pettegolezzi e le “voci di cortile” questo autore è sempre stato molto esistenziale. Il tema della morte, come quello dell’amore, della solitudine e il richiamo alla Torah e a personaggi biblici e religiosi, hanno sempre interessato Cohen, elogiato da Lou Reed come “il cantautore più grande”. Ha vissuto il successo con modestia e lucidità, affrontando periodi di depressione e di scoraggiamento con dignità e classe e costituendo un esempio insostituibile di poeta della contemporaneità, che con le sue parole e i suoi argomenti, ha saputo influenzare e coinvolgere vecchie e nuove generazioni, come pochi altri.