di Roberto Zadik
Personaggio affascinante ed estremamente schivo, la popstar americana Prince Rogers Nelson, questo il suo vero nome, nascondeva diversi segreti. Dalla sua misteriosa morte, il 21 aprile 2016 a poche settimane dal suo 58esimo compleanno, al legame con il mondo ebraico, a quanto pare molto stretto. A questo proposito il Times of Israel, riprendendo un “gossip” del Jewish Telegraphic Agency, ha pubblicato la notizia dell’amicizia fra la star anni ’80, famoso per successi come Purple Rain, Sign o’The times e Kiss e il giornalista ebreo americano Neal Karlen. A quanto pare i due si conobbero da bambini, quando Karlen non aveva ancora dieci anni e apparteneva a una delle poche famiglie ebraiche di Minneapolis. Con Prince giocavano a baseball insieme a un gruppo di ragazzi afroamericani.
Poi si persero di vista fino al nuovo incontro fra i due, all’inizio degli anni ’80 quando entrambi erano al massimo della celebrità. Karlen come giornalista dell’autorevole rivista musicale Rolling Stone e Prince al top della fama. In breve i due divennero oltre che amici anche stretti collaboratori. Le storie riguardanti il cantante e le copertine del Rolling Stone a lui dedicate sono dovute al fatto che Prince aveva deciso di non rivolgersi ad altri giornalisti se non al suo amico d’infanzia ritrovato.
I due lavorarono assieme per l’opera rock del 1994 3 Chains o’Gold che purtroppo fu accolta da pessime recensioni. “Eravamo molto simili” come ha dichiarato Karlen al Jewish Telegraphic Agency “solo che egli era una icona internazionale e io uno sprovveduto di St. Louis Park”. I due rimasero grandi amici anche dopo aver smesso di lavorare assieme, fino alla tragica e misteriosa fine del cantautore. Tanto che il giornalista del Rolling Stone ha pubblicato recentemente una biografia sul suo rapporto con l’artista This Thing called Life: Prince’s Odissey, On and Off the Record. Il testo è un resoconto della profonda amicizia fra lui e questa misteriosa star e a questo proposito Karlen ha rivelato una strana coincidenza “non so come mai negli ultimi anni di vita di Prince prendevo appunti tutto il tempo”.
Oltre al loro rapporto amichevole, il libro affronta anche altri argomenti inediti e interessanti. Fra questi il fascino provato da Prince verso l’ebraismo e gli ebrei. Sembra avesse molti amici di religione ebraica, come alcuni membri della sua band dei Revolution e fosse molto interessato a diverse tematiche ebraiche, dalla leggenda del Golem alla vita del gangster Meyer Lansky e sembra che fosse un grande fan della serie tv Seinfeld e del capolavoro dei Fratelli Cohen Il grande Lebowski. “Gli piacevano gli ebrei” ha ribadito Karlen che ora ha 60 anni ed è autore di diversi libri di argomento ebraico. “Metà della band di Prince” ha puntualizzato “era formata da musicisti ebrei, il suo scopritore e talent scout, Owen Husney era ebreo anche se non sono mancati momenti di tensione con alcuni di loro”. A volte “feriva le persone senza accorgersene” ricorda Karlen e “chiese a Wendy Melvoin, uno dei membri principali della sua band di rinunciare al suo ebraismo”.
Ripercorrendo la personalità e la vita di Prince, ha sottolineato che era “un tipo estremamente enigmatico anche per quelli che erano vicini a lui”, contrario a parole alle droghe, ma segretamente dipendente dall’oppio, probabile causa della sua morte così improvvisa. Proprio come Bob Dylan, nato come lui in Minnesota, spesso era sfuggente con i giornalisti, dando risposte vaghe o addirittura inventate, nelle interviste da lui rilasciate nella sua carriera. Le pagine biografiche di Karlen svelano anche dispiaceri privati del cantautore, dal presunto rapporto ostile col padre alla morte del suo unico figlio nel 1996. “Una tragedia che Prince non riuscì mai a superare”. Ne emerge una personalità stimolante ma inquieta, segnata da rapporti tormentati con i suoi collaboratori e i suoi parenti. Come ha concluso Karlen, il grande Prince, autore di brani splendidi come Nothin compares 2 U canzone estremamente sentimentale portata al successo dalla cantante irlandese Sinead O’Connor nel 1990, “morì in solitudine. Avrei voluto fosse una persona più felice”.