di Roberto Zadik
Il cinema israeliano è in continuo fermento, come il Paese, pieno di giovani autori capaci di trasmettere messaggi forti, contenuti impegnati e di realizzare pellicole insolite e bellissime. Ebbene fra i titoli del programma del prossimo Festival di Locarno, dal 5 al 15 agosto, mi sono imbattuto nel nuovissimo “Tikkun” (parola che in ebraico significa “riparazione”) diretto da un certo Avishai Sivan, 38enne. E sono rimasto subito colpito dalla trama del film che torna a riflettere sul contrasto, spesso netto e molto aspro, fra mondo religioso e laicismo nella società israeliana ma lo fa in maniera decisamente originale, filtrandolo attraverso la reincarnazione del protagonista e la sua completa trasformazione caratteriale.
Dopo il bellissimo “Magic Men” diretto da Guy Nattiv, commovente storia famigliare fra un padre ateo e un figlio diventato chassid, ambientata fra Israele e Grecia, che mi ha molto toccato, viste le mie origini greche, il cinema israeliano si immerge ancora una volta nel mondo degli ebrei ortodossi.
Ma di cosa parla questa pellicola? Pur non arrivando alla vena polemica del tagliente “Kadosh” di Amos Gitai o alla tensione drammatica del bellissimo “La sposa promessa” di Rama Burstein, anche questo “Tikkun” racconta una storia strana che sicuramente farà discutere.
Protagonista è un giovane ebreo religioso, Haim Aaron, molto stimato nel suo ambiente e promettente studioso di Yeshivà che quotidianamente prega e studia con grande fervore e costante pratica religiosa. A un certo punto della storia , egli si sente male e entra in coma. Suo padre, Shmuel disperato cerca di rianimarlo, sebbene gli infermieri lo diano per morto. Così Haim si risveglia completamente diverso da prima. Diventerà un soggetto vivace e assetato di nuove esperienze e avventure e si allontanerà sempre di più dall’ambiente religioso. Un film complesso e amaro che si interroga su temi profondi, sul conflitto fra piacere e etica, fra doveri religiosi e vitalità e sul tema della reincarnazione e della redenzione analizzando lucidamente i protagonisti e i loro sentimenti. Il tema della fede e della sua perdita viene qui analizzato in una storia dai toni secchi e al tempo stesso onirici, che passa attraverso il mondo ebraico ortodosso del quartiere di Mea Shearim.
Interpretato da una squadra di bravi attori per ora sconosciuti fra cui spicca Aharom Traitel, nella parte di Haim, il protagonista, il lungometraggio è stato accolto con grande entusiasmo al Festival di Gerusalemme e ora è pronto a sbarcare in Svizzera e in giro per il mondo.
Sivan, 38 anni non è solo un regista esperto, con tre film all’attivo, ma anche un artista visuale e un disegnatore che ha tenuto mostre nel suo Paese e in Europa. Sia nei suoi schizzi che nei suoi film è volutamente provocatorio e innovativo, in questo ricorda il suo connazionale Etgar Keret, anche lui scrittore e cineasta, e nel 2010 ha attirato l’attenzione dei critici del prestigioso festival di Cannes con il suo “The wanderer” (Il vagabondo).