di Roberto Zadik
In questo mio blog intendo non solo limitarmi a un elenco di notizie, ormai facilmente rintracciabili dappertutto, ma intendo fornire un tocco personale a quello che scrivo, con approfondimenti, ricorrenze e omaggi a grandi personaggi del mondo ebraico. Fra poco è passato un mese dalla scomparsa del grande Elie Wiesel (Bilancia), morto a 89 anni lo scorso 2 luglio e testimonial di prim’ordine assieme a Imre Kertesz, anche lui deceduto quest’anno, a Primo Levi e a Anna Frank degli orrori della Shoah.
Sempre a luglio ma nell’ormai lontanissimo 1991, il 24, quando avevo 14 anni, lasciava questo mondo, alla stessa età di Wiesel, un’altra icona letteraria come Isaac Bashevis Singer. I due autori, a prima vista molto diversi fra loro, rivelano interessanti comunanze e improbabili affinità biografiche, letterarie e caratteriali. Provenienti da un ambiente famigliare chassidico e ortodosso, parlavano yiddish e conoscevano bene i testi sacri, dalla Torah al Talmud, vissero da profughi e da esuli, come anche il grande Joseph Roth, morto a Parigi nel 1939, Wiesel e Singer sono stati interpreti insostituibili e estremamente efficaci delle angosce, dei tormenti e della tenace ricostruzione personale e caratteriale dopo gli orrori della Seconda Guerra Mondiale.
Collegati fra loro da diversi elementi, Singer si soffermò sul passato, sui villaggi della Polonia, i cosiddetti shtetl, sulle famiglie e sul mondo femminile, splendidi “Shosha”, “La famiglia Moskat” e “Yentl” che divenne un film diretto e interpretato dalla bravissima Barbara Streisandt. Wiesel invece fu tra i primi a raccontare al mondo l’Olocausto, con il suo “La Notte” e l’antisemitismo nel capolavoro “Ebreo errante” che ho letto due anni fa tutto d’un fiato, soffermandosi su tematiche bibliche e chassidiche coi suoi ritratti di personaggi biblici e di grandi maestri del pensiero ebraico.
Soffermandosi prima sullo scrittore ebreo rumeno, nella sua lunga e complessa esistenza, scrisse tantissimi libri, oltre cinquanta volumi, venne insignito del Premio Nobel per la Pace nel 1986 dando un messaggio non banale e importante, specialmente in questi anni cupi, di rispetto, tolleranza, riflessione sul passato e comunicando il valore inestimabile della dignità umana e del dialogo. Saggista, filosofo, professore nato in Romania, raccontò come pochi altri seppero fare, alternando elementi biografici, come “Ebreo errante” a profonde riflessioni filosofiche e esistenziali sulla natura umana e sul Male, sulle sofferenze, lui che ne ha passate tante, dei lager di Auschwitz, Buchenwald e Monowitz descritte nel suo “La Notte”. Separato dalla sua famiglia, che morì nei campi, rimasto solo e col braccio tatuato visse il dolore del distacco e dell’abbandono prima di venire liberato dall’esercito americano e ricominciare na nuova vita, visse diversi anni in Israele e in Francia e imparò alla perfezione il francese che divenne la sua lingua in cui tenne brillanti serate, conferenze e interviste. Emigrò in diversi Paesi, come fece il pittore ebreo russo e apolide anche lui di retaggio chassidico, Marc Chagall e si affermò come letterato, conferenziere e protagonista, testimone dell’Olocausto e intellettuale di punta, tanto che il regista Orson Welles, celebre per il suo “Quarto Potere” voleva dirigere un film sul suo libro “La notte” ma egli rifiutò. Carattere forte, tenace e idealista, divenne cittadino americano e poi francese, sostenendo diverse cause umanitarie, difendendo i diritti degli ebrei russi e etiopi e battendosi contro l’apartheid e i massacri in Bosni e il genocidio armeno. Come nel caso di Albert Einstein, Shimon Peres gli propose di diventare presidente di Israele ma rifiutò. Lucido, critico e sempre sincero nelle sue prese di posizione, Wiesel lottò tutta la vita contro le ingiustizie e il negazionismo.
Passando a Isaac Singer, questo ebreo polacco era figlio di una famiglia di rabbini e conosceva perfettamente testi religiosi che divennero fonte di ispirazione per la sua passione letteraria e culturale. Poliglotta e al tempo stesso molto legato alla sua identità ebraica come Wiesel, fratello di Israel che in questi ultimi anni è stato riscoperto come scrittore di successo, fu direttore di giornali e giornalista, sulla rivista “Globus” e iniziò da giovane a scrivere articoli, approfondimenti, recensioni e racconti. Ebbe una vita avventurosa, si sposò due volte, e le sue opere ispirarono grandi cantautori come Bob Dylan e numerosi film e trasposizioni teatrali. Narratore rivolto al passato, alla sua infanzia, nella scomparsa via Krocalma, a Varsavia, ha descritto con nostalgia e lucidità un mondo ebraico scomparso a causa della Shoah e approfondì anche gli anni successivi in America. Scrisse sempre nella sua lingua madre, lo yiddish che non abbandonò mai, narrando al lettore la Polonia fra fine ottocento e inizi del Novecento, le frustrazioni dello scrittore, come nel caso di “Shosha”, che narra brilllantemente dell’incontro fra il protagonista Aaron con una ragazza problematica conosciuta nella sua infanzia o di “Nemici una storia d’amore”, uno dei suoi libri migliori, dove di Herman sposato con una casalinga analfabeta Yadwiga. La trama divenne un acclamato film del 1989 diretto dal bravo Paul Mazursky che diresse uno dei più bei film del giovane Woody Allen “Il dittatore dello Stato di Bananas”. Suo fratello, Israel, morì di infarto nel 1944 e restò nell’ombra di Isaac per più di mezzo secolo e anche sua sorella Esther aveva vocazioni letterarie spiccate, ma emerse solo lui pubblicando fra gli anni ’40 e gli anni ’50 i suoi libri migliori. Amaro, spiritoso e nostalgico, Singer diede il suo meglio nella descrizione psicologica dei personaggi nella quale tirava fuori spesso le loro contraddizioni e il lato grottesco e fragile come nello spassoso “Gimpel, l’idiota” del 1957. Cerniera fra mondo laico e religioso, come Wiesel, Singer scrisse tantissimi racconti, fu sostenitore del vegetarianesimo e pubblicò diverse recensioni e saggi, diffondendo il nome di autori come Bruno Schulz e Scholem Aleichem. Dopo una lunga carriera Singer muore il 24 luglio 1991 e fra poco sono passati 25 anni dalla sua morte che come nel caso di Wiesel ha lasciato un grande vuoto in cui l’unico rimedio è il ricordo della loro riflessione sul passato e sulla realtà piena di spessore e di dolente ironia.