di Paolo Castellano
Il grande fratello concepito da George Orwell nel suo romanzo distopico 1984 sembra aver preso realmente vita. Negli ultimi anni il progresso tecnologico ha fatto così tanti passi avanti che ha provocato un serio dibattito sulla privacy al tempo dei sistemi di sorveglianza. Secondo molti informatici e imprenditori, la criptazione permetterà di limitare l’abuso delle nuove tecnologie.
Cavalcando l’onda di una tendenza globale nello stabilire dei nuovi standard di privacy, una piccola azienda israeliana ha messo in piedi un progetto che ha lo scopo di garantire l’anonimato dei nostri tratti somatici in un mondo iper-connesso.
Come è spiegato in un articolo del Jerusalem Post, la start-up, chiamata D-ID, dice di aver sviluppato un “firewall” per bloccare il riconoscimento facciale: onnipresente tecnologia che consente di sbloccare gli smartphone, taggare gli amici su Facebook, o aiutare la polizia a trovare un individuo nascosto tra la folla.
Il riconoscimento facciale ha però causato dei problemi. Gli hacker di oggi hanno un nuovo obiettivo: la creazione di enormi archivi d’immagini collegati a delle informazioni personali. Per questo le aziende di tutto il mondo stanno spendendo molti soldi per proteggere i loro database soprattutto dopo l’approvazione di una legge europea che entrerà in vigore il 25 maggio 2018. La norma è stata chiamata General Data Protection Regulation (GDPR) che darà alle persone più controllo sulle loro informazioni online. Verrà applicata a tutti i gruppi che fanno business in Europa.
I danni del riconoscimento facciale
L’idea della D-ID prende forma dieci anni fa, quando i suoi due fondatori fecero un viaggio nel Sud America dopo aver lavorato nelle forze speciali di Israele. I due amici stavano cercando un lavoro e avrebbero voluto pubblicare le loro foto online, ma a causa del loro precedente lavoro, non potevano farlo. Infatti gli era stato proibito di condividere pubblicamente delle foto per evitare di essere riconosciuti.
I due ragazzi hanno allora incominciato a cercare un modo per consentire alle persone di condividere immagini, proteggendo la loro identità. L’azienda nacque un anno fa da questa intuizione.
La sfida era quella di annullare gli algoritmi di riconoscimento facciale, che estraggono le informazioni su una persona individuando la forma del suo viso da un archivio digitale di immagini. Un sistema simile a quello adottato dalla polizia con le impronte digitali per verificare l’identità di un individuo.
«Molte organizzazioni stanno utilizzando le nostre facce come identificatori. Il nostro viso serve per accedere ai nostri telefoni, per ritirare del denaro o per i controlli di frontiera. Questo spiega il motivo per cui le nostre fotografie devono essere protette. Rispetto alle password, i nostri tratti somatici non possono essere modificati», ha detto Gil Perry, CEO di D-ID.
I designer hanno poi creato degli occhiali che riflettono la luce per confondere le telecamere e i siti-web di moda e make-up. La soluzione di D-ID è un sistema di “alchimia digitale” che altera subdolamente le immagini, in modo sufficiente per sfuggire al riconoscimento facciale degli algoritmi. Accanto alle modifiche che sono evidenti, ma l’immagine appare normale.
Sviluppi per il futuro
D-ID sta pianificando un programma pilota con Cloudinary, un’azienda che gestisce 15 miliardi di immagini e video depositati in cloud per gli sviluppatori del web e del mobile.
La start-up ha inoltre siglato un accordo preliminare con un certo un numero di organizzazioni governative – Perry non vuole svelarle, e nemmeno dire il prodotto che venderà a loro. Il prodotto di lancio è programmato per la fine di maggio, quando la nuova normativa europea sarà pienamente attiva.
Yuval Elovici, che guida il dipartimento di sicurezza digitale presso il centro di ricerca dell’università israeliana Ben Gurion, ha detto che attualmente c’è una “corsa alle armi” tra i gruppi che stanno sviluppando gli algoritmi di riconoscimento facciale e quelli che stanno cercando di confonderli.
Le start-up tecnologiche sono spesso situate nei grattaceli del distretto finanziario di Tel Aviv. L’ufficio della D-ID è invece situato al secondo piano di un edificio che si trova in un quartiere residenziale poco appariscente. La piccola azienda ha raccolto 4 milioni di dollari, parte dei fondi vengono da Pitango Venture Capital e da Y Combinator. Quest’ultimo investitore della Silicon Valley sta inoltre supportando la start-up israeliana con un team di 14 ingegneri.
Lo sviluppo di questa nuova tecnologia comporta però degli svantaggi. Le forze dell’ordine potrebbero far fatica ad utilizzare gli algoritmi di riconoscimento facciale per individuare i criminali. «Considerando tali difetti, la D-ID sta lavorando a una soluzione che consentirà agli investigatori di autenticare le identità senza immagazzinare le informazione biometriche», ha svelato Perry.
(Fonte foto: google)