Copenaghen, una sirena color pastello

Viaggi

di Ilaria Myr

PraiaCon i suoi 6.000 ebrei, la comunità della capitale danese è un bell’esempio di realtà piccola, ma ben integrata nella società e molto organizzata al suo interno. Che si trova però oggi ad affrontare un crescente antisemitismo.
Passeggiando per il quartiere Latino di Copenaghen – a pochi passi dalle casette color pastello affacciate sul canale, scelte da tutte le guide turistiche come immagine simbolo della Danimarca -, ci si imbatte nella grande sinagoga del Paese: un edificio che, come accade per molti luoghi di culto ebraici, si presenta all’esterno molto semplice, per poi rivelare, all’interno, una ricchezza decorativa e architettonica unica. Il primo contatto con l’ebraismo danese è, insomma, una piacevole sorpresa per chi si trovi a visitare questa splendida capitale europea immersa nella luce abbagliante del Nord. E scoprire la storia poco nota della Comunità ebraica locale può essere un’esperienza molto interessante (di solito se ne conosce solo il salvataggio in Svezia, durante la Seconda Guerra Mondiale).

CopenhagenPochi, ma organizzati
La Comunità ebraica danese è un classico esempio di ebraismo vivo, che riesce a mandare avanti la propria vita ebraica nonostante i numeri esigui. «La nostra è una Comunità ortodossa, composta da 2.500 iscritti, a cui se ne affianca una riformata, costituita da circa 120 famiglie – spiega al Bollettino Dan Rosenberg Asmussen, presidente della Comunità Ebraica di Danimarca -. Si contano però almeno altre 2.500 persone che non sono membri associati: in gran parte, si tratta di famiglie nate da matrimoni misti, i cui figli non sono riconosciuti come ebrei. Ma c’è anche un innegabile crescente allontamento dall’identità ebraica». Ai circa 5000 ebrei presenti nella capitale se ne aggiungono altri 150 nella deliziosa cittadina di Århus, la seconda del Paese: a loro sono rivolte numerose iniziative organizzate dalla Comunità di Copenaghen, con l’obiettivo di coinvolgere nella vita ebraica anche i lontani, residenti nello Jutland Centrale (la parte di penisola danese attaccata all’Europa).
È però a Copenaghen che si trovano tutti i servizi necessari per una vita ebraica, sotto la supervisione dell’ente comunitario (Det Mosaiske Troessamfund, www.mosaiske.dk/english): tre sinagoghe – la Grande, in Krystalgade, la Machsike Hadas e la riformata Shir Hatzafon -, un mikve e un cimitero.
«Abbiamo un negozio kasher – continua Rosenberg Asmussen -, ma nessun ristorante, eccetto quello della sede della Comunità. Inoltre, importiamo dall’estero la carne». Del resto la macellazione kasher, così come quella halal, è stata proibita dalla legge danese nel febbraio 2014, creando grande sdegno all’interno della Comunità Ebraica locale, che ha parlato chiaramente di “antisemitismo”.
Per garantire l’educazione ebraica esiste una scuola privata, la Carolinskolen, che conta circa 180 bambini. Vi sono poi anche alcuni movimenti giovanili, come HaKoach (Maccabi) e il Bené Akiva. Non mancano anche le altre organizzazioni ebraiche sionistiche – Wizo, The Zionist Federation, Keren Kayemet -, che contribuiscono a mantenere ricca la vita della comunità locale. Copenaghen, infine, vanta un Museo Ebraico progettato dal famoso architetto Daniel Libeskind e inaugurato nel 2004.

Sinagoga Centrale di CopenhagenUna storia di convivenza
Del resto, tutta la storia dell’ebraismo danese è caratterizzata da un buon livello di relazioni con la cittadinanza e il governo fin dal XVII secolo quando, al termine della guerra dei Trent’anni, per rilanciare l’economia il re Federico III di Danimarca incoraggiò l’immigrazione ebraica. Nel 1782 vi erano circa 1830 ebrei in Danimarca, di cui 1503 a Copenaghen. Pur sottoposti a leggi restrittive e discriminatorie, gli ebrei non erano tenuti a vivere in ghetti e godevano di un notevole grado di autogoverno. Con l’Illuminismo, una serie di riforme fu istituita per favorire l’integrazione degli ebrei nella società danese. Le guerre napoleoniche portarono alla completa emancipazione degli ebrei danesi; nel 1814 essi ricevettero uguaglianza di diritti e nel 1849 piena cittadinanza. Nel 1833 fu costruita la grande sinagoga di Copenaghen. A metà Ottocento vi erano già oltre 4.000 ebrei in Danimarca.
Ai primi del Novecento, poi, le favorevoli condizioni di vita attrassero numerosi immigranti ebrei dall’est europeo. La popolazione ebraica superò le 6.000 unità; gli ebrei furono presenti e attivi in tutti i campi della vita culturale e sociale della Danimarca. Dopo l’occupazione della Danimarca da parte della Germania nel 1940, però, la situazione si fece presto critica per la popolazione danese in generale, e dei suoi cittadini ebrei in particolare. Il Re Christian X cercò in ogni modo di opporsi all’introduzione di leggi discriminatorie e quando nel 1943 le autorità tedesche si predisposero a deportare gli ebrei danesi, fu messa in opera una vasta operazione clandestina di salvataggio, che trasportò in una notte la quasi totalità degli ebrei danesi (7.550 persone) al sicuro nella neutrale Svezia. E quando 450 ebrei danesi furono trasferiti a Theresienstadt, il continuo interessamento sulla loro sorte da parte delle autorità danesi evitò il peggio. In totale circa 120 ebrei danesi morirono nell’Olocausto, meno del 2% della popolazione ebraica del tempo. Nel dopoguerra, gli ebrei danesi poterono rientrare con pieni diritti nella società civile. Tutt’oggi, gli ottimi rapporti di convivenza con la monarchia e la popolazione danese proseguono inalterati.

Four intersecting planes structure the interior landscape (c)BitterBredtIl pericolo antisemitismo
Nonostante ciò, anche nella tollerante Danimarca, negli ultimi anni non sono mancati episodi di antisemitismo: soprattutto dal 2012, la popolazione ebraica soffre di una crescente ostilità antisraeliana, anche alimentata da un’immigrazione musulmana sempre più forte. Quest’anno, in particolare, durante la guerra a Gaza di agosto, sono avvenuti numerosi episodi di intolleranza contro gli ebrei, il più grave dei quali quello contro la scuola ebraica di Copenaghen, che è stata vandalizzata, con finestre rotte e scritte antisemite. «Mediamente in un anno registriamo circa 40-50 episodi antisemiti (minacce fisiche e attacchi verbali sui social media) – spiega il presidente della Comunità -. Ma quest’estate durante il conflitto a Gaza, in sole sei settimane gli episodi sono stati 38! Un numero, questo, molto alto, se messo in relazione a quello esiguo dei membri della Comunità».

L’incognita del futuro
A questo quadro si aggiungono le sfide poste dalla politica alla già esigua comunità ebraica danese che cerca di mantenersi viva con tutte le sue forze. «In febbraio è stata vietata la macellazione rituale – spiega preoccupato Dan Rosenberg Asmussen -, mentre alcune organizzazioni stanno tentando in tutti i modi di spingere il Parlamento a vietare la circoncisione. Se questo accadesse, costituirebbe una gravissima minaccia alla vita ebraica in Danimarca».

 

King_Christian_X_of_DenmarkLa resistenza del Re danese Christian X
La stella gialla, più di una leggenda
La leggenda vuole che il re danese Christian X indossò la stella gialla per solidarietà agli ebrei. Così non fu, perché egli stesso non permise mai che gli ebrei danesi dovessero portarla. Ma se avessero dovuto, allora anche lui l’avrebbe portata. Come scrisse lui stesso nel suo diario: «Ho deciso che non accetterò condizioni discriminatorie contro i cittadini ebrei danesi. Se mai ci venisse chiesto, dovremmo tutti indossare la stella gialla».