di Marina Gersony e Ilaria Myr
C’è l’austera bellezza di Milano con la sua Comunità sfaccettata e plurale. C’è la Mantova dei Gonzaga, culla di un fiorente ebraismo. E poi Brescia, Cremona, Soncino con le stamperie e i suoi “ebrei di Gutenberg”. Una Lombardia ebraica tutta da scoprire on the road
C’è la Milano di Carlo Borromeo, poi santificato, che propose l’obbligo del marchio giallo per gli ebrei ottenendo, in un secondo tempo, la loro espulsione. C’è la Milano medievale in cui, per la prima volta, gli ebrei furono scacciati dalla città per ordine del patrono Sant’Ambrogio.
C’è la Milano ottocentesca e borghese con la sua grande tradizione filantropica, su cui si innesta il mecenatismo ebraico con la figura di Prospero Moise Loria, imprenditore illuminato che regalò l’Umanitaria al capoluogo meneghino, straordinaria scuola di Arti e Mestieri, che diventerà il fiore all’occhiello della città e con la quale Loria seppe dare un futuro alle giovani generazioni disagiate per dotarle di strumenti di lavoro adeguati a un nuovo mondo tecnologico che nasceva. C’è poi la Milano del 1945, punto di confluenza e d’incontro dove, proprio dietro il Duomo, in via Unione, molti ebrei d’Europa arrivavano distrutti nel corpo e nell’anima, dopo la guerra e i lager, le fughe, i nascondigli, per cercare proprio qui le famiglie smembrate o imbarcarsi per la Palestina: in via Unione, infatti, c’erano non solo gli uffici dell’Agenzia ebraica, ma venivano esposte tutte le liste dei sopravvissuti e dei dispersi in cerca gli uni degli altri, chi di un fratello o di una madre, chi di un coniuge o di un amico.
E c’è la Milano del XX secolo con i grandi architetti e figure geniali come quella di Ernesto Nathan Rogers che, insieme al gruppo BBPR – acronimo di Belgioioso, Banfi, Peressutti, Rogers – immaginò e realizzò la Torre Velasca.
E come non ricordare la Milano ebraica e industriosa del boom economico, anni Cinquanta e Sessanta, che richiamò tanti ebrei del Mediterraneo, libici, egiziani, turchi, siriani, greci, iraniani, un meltin’ pot carico di energia e voglia di fare, arrivati sotto l’ospitale e soleggiato cielo italiano, così somigliante a quello che avevano appena lasciato, in cerca di fortuna; ebrei che questa città seppe accogliere con larghezza, generosità e molte opportunità di lavoro. Oggi, la Comunità di Milano trova la propria ricchezza proprio in questa incomparabile varietà di “edot”, di identità, un melting pot ebraico sfaccettato e plurale assolutamente unico in Italia.
Sono quindi tante le Milano ebraiche da scoprire e raccontare, una storia millenaria piena di luci, ombre e fortune alterne. Ma quello che qui ci preme tracciare è un itinerario storico-turistico ebraico che faccia parlare i luoghi, gli edifici, le piazze.
Qualche cenno storico. Cominciamo col dire che prima del XIV secolo le informazioni sulla presenza ebraica in questa zona sono assai poche e vaghe; è certo, tuttavia, che gli ebrei, in prevalenza proprietari terrieri e commercianti, si stanziarono da queste parti già in epoca romana. Sopravvissero nel corso dei secoli nonostante le persecuzioni, il razzismo e le espulsioni tristemente note che li hanno duramente colpiti fino al XX secolo. Senza contare poi i periodi storici in cui furono discriminati e costretti a subire tutta una serie di limitazioni nella vita quotidiana. Come durante il dominio degli Sforza e dei Visconti, per esempio, in cui fu loro vietato di risiedere per più di tre giorni consecutivi a Milano, giusto il tempo per sbrigare i loro affari e andarsene via. Senza stabilità e senza la possibilità di radicarsi, non sorprende quindi che l’istituzione di una Comunità vera e propria sia di recente origine: i primi arrivi risalgono infatti agli inizi dell’Ottocento con le libertà concesse da Napoleone. La Comunità milanese nacque inizialmente come sezione di quella di Mantova, nel 1820 contava una trentina di membri che aumentarono via via fino a quando, nel 1866, fu costituito un Consorzio israelitico, basato sul principio della adesione volontaria con tanto di tasse da pagare per il suo mantenimento. Finalmente le cose cominciavano a girare per il verso giusto, conferendo agli ebrei un senso di stabilità con qualche prospettiva in più riguardo al futuro.
La Comunità crebbe rapidamente: nel 1920 contava 4.500 persone che aumentarono a 8 mila intorno agli anni Trenta quando, con l’avvento di Hitler, le cose peggiorarono sempre più, fino alla catastrofe totale. Molti furono gli ebrei tedeschi che si rifugiarono in città, a cui si aggiunse una nuova ondata, nel 1938, di immigrati provenienti dalle comunità minori italiane che cercavano riparo nelle istituzioni dopo l’approvazione delle Leggi razziali.
La vita, intanto, si rivelava sempre più spaventosa per gli ebrei milanesi, che raggiunsero le 12 mila unità. Esasperati dalla situazione drammatica e dall’ansia continua, scandita dal suono lancinante delle sirene, circa 5 mila ebrei decisero di espatriare tra il 1939 e il 1941 per raggiungere la Palestina o le Americhe. La Shoah colpì con violenza la Comunità di Milano, che vide deportati 896 dei suoi appartenenti, di cui soltanto cinquanta sopravvissero: tra di loro gli anziani della Casa di riposo che, nel 1942, erano stati evacuati a Mantova per evitare i bombardamenti. Terminata la guerra, la Comunità rinacque grazie all’arrivo di numerosi ebrei provenienti dal Nord Africa e dal Medio Oriente, una linfa vitale che avrebbe dato una sferzata di energia e nuove speranze per il futuro. Oggi, con i suoi oltre 7 mila iscritti, la Comunità ebraica di Milano è la seconda in Italia dopo quella di Roma (la quale vanta il primato della più antica d’Europa). A Milano oggi ci sono ebrei di svariate origini, sefarditi, askenaziti ed ebrei italiani, stanziali da secoli. Ogni gruppo ha mantenuto una propria identità culturale, e il visitatore potrà così scoprire una Milano ebraica vivace, cosmopolita, poliedrica e sfaccettata, ricca di fascino e tradizioni: dalle numerose sinagoghe con riti e minhagghim diversi – askenazita, sefardita, ben romì e italiano (quest’ultimo, è uno dei riti ebraici più antichi al mondo) – ai ristoranti kasher, ai luoghi storici.
Tempio e Memoriale
Un lusso austero, raffinato e in perfetta armonia con una metropoli sobria e composta come Milano: a pochi minuti a piedi dalla piazza del Duomo si trova la magnifica Sinagoga Centrale di via della Guastalla 19. Lo sviluppo rapidissimo della Comunità, nell’Ottocento – si era allargata fino ad arrivare a 2 mila persone su una popolazione di circa 400 mila abitanti -, richiese la costruzione di un grande Tempio in grado di accogliere tutti i fedeli che fino a quel momento andavano a pregare nel piccolo oratorio di Via Stampa 4: era una stanza di pochi metri che faceva parte dell’appartamento del rabbino Prospero Moisè Ariani, del tutto inadeguata per le esigenze di una Comunità così numerosa.
La nuova Sinagoga, edificata nel 1892, doveva essere qualcosa di diverso rispetto a quel locale modesto e sottotono; doveva rappresentare l’orgoglio di una Comunità consapevole del proprio valore, in linea con lo spirito imprenditoriale del tempo. Serviva un luogo di culto prestigioso, un Tempio che rendesse visibile lo status acquisito dai cittadini ebrei con l’emancipazione seguita all’Unità d’Italia: in breve, un simbolo non soltanto per gli ebrei e la loro religione, bensì anche per la città che avrebbe così rafforzato la sua immagine di centro urbano europeo e cosmopolita. Fu dunque deciso di costruire il Tempio in pieno centro, incastonato fra i palazzi signorili della borghesia meneghina e di fronte a un magnifico giardino. Il progetto fu affidato all’architetto Luca Beltrami, architetto-star dell’epoca nonché notissimo per aver sistemato piazza della Scala e restaurato il Castello Sforzesco. Beltrami disegnò una sinagoga a pianta basilicale, a tre navate, secondo uno schema in voga. Nessun monumento esprime così bene una certa “milanesità ebraica” unica e irripetibile nel suo genere, in cui lo spirito inventivo e operoso ebraico si fonde armoniosamente con quello concreto e pragmatico meneghino: mosaico e oro accostati con creativa audacia al marmo grigio, linee verticali e asciutte, una certa essenzialità. Durante i bombardamenti che colpirono Milano nel 1943, la sinagoga venne distrutta e i sontuosi interni si ridussero a pochi resti fumanti. La facciata rimase l’unica parte integra e conservata nel progetto di ricostruzione affidato agli architetti Manfredo Morpurgo e Eugenio Gentili Tedeschi nel 1953. Seguì, molti anni dopo, la ristrutturazione del 1997: ridisegnato da Piero Pinto e Giancarlo Alhadeff, il Tempio mantenne i volumi dell’edificio anche se l’interno venne cambiato radicalmente.
Sono stati aperti nuovi finestroni sui due lati principali e il soffitto è stato rialzato nella parte centrale del matroneo. Il contrasto tra i materiali e i colori oro, grigio e marrone, conferisce allo spazio un tocco di eleganza e suprema luminosità. Ma l’elemento forse più spettacolare è dato dalle vetrate multicolori delle ventitré finestre, realizzate dall’artista newyorkese Roger Selden: un collage di simboli ebraici ricco di fantasia, tra cui si riconoscono il Maghen David, lo shofar, la menorà, il lulav e le lettere dell’alfabeto ebraico. Il Tempio segue il rito italiano ed è la sede del rabbinato centrale, mentre al piano sotterraneo vi è l’oratorio sefardita.
Un altro luogo storico, aperto da poco, è il Memoriale della Shoah, il più importante luogo della memoria ebraica a Milano. Inaugurato ufficialmente nel 2014, sorge in corrispondenza del Binario 21, in una zona originariamente adibita alla movimentazione dei vagoni postali. Da qui, fra il 1943 e il 1945, centinaia di persone furono caricate su vagoni merci per essere deportate nei campi di Auschwitz-Birkenau e Bergen Belsen, o nei campi italiani di raccolta di Fossoli e Bolzano. Il 30 gennaio 1944, dal Binario 21 partirono i primi convogli verso Auschwitz. Soltanto 22 dei 605 ebrei milanesi deportati quel giorno tornarono a casa. Un luogo simbolo della Shoah in Italia, tutto incentrato sul concetto di indifferenza, l’atteggiamento della cittadinanza milanese – e non solo – che rese possibile la catastrofe.
Legato alla Shoah e a tutti genocidi è anche il Giardino dei Giusti, situato a Monte Stella (zona San Siro), il “primo giardino dei Giusti di tutto il Mondo” italiano. Nasce nel 2003 per volontà del Comune di Milano, l’Ucei e Gariwo, per onorare coloro che si sono opposti con responsabilità individuale ai crimini contro l’umanità e ai totalitarismi.
La casa 770
Procedendo verso nord, in via Carlo Poerio, si può invece trovare un edificio davvero curioso. Al civico 35 sorge un edificio molto particolare, che non ha nulla in comune con lo stile architettonico della città. Con i suoi tre frontoni a punta e un bovindo centrale, non è altro che una delle dodici copie della casa di Eastern Parkway 770 a Brooklyn, detta appunto Casa 770. A New York, dove si trova l’originale, viveva il Rebbe, Menachem Mendel Schneerson, filosofo, mistico e religioso, leader del movimento Chabad-Lubavitch. Dopo la sua morte, la casa di Eastern Parkway divenne un luogo di culto per gli ebrei ortodossi, a tal punto da decidere di riprodurla in diverse parti del mondo. L’edificio di Milano è l’unico in Europa, mentre le altre undici copie si trovano sparse per il mondo, tra cui Argentina, Brasile, Australia e Canada.
CDEC, storia e cultura
Se invece dal centro si va verso ovest, poco distante dall’Arco della Pace, si scopre una villetta sobria ed elegante, situata in via Eupili 8. Nessuno potrebbe mai immaginare che in queste stanze è concentrata buona parte di tutta la storia ebraica del Novecento: qui fu fondata la prima scuola ebraica della città durante le ignobili Leggi razziali. Oggi ospita una sinagoga e il CDEC, il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, punto di riferimento nazionale e internazionale sulla storia e la cultura ebraica a cui si sono rivolti – e tuttora si rivolgono – scrittori, registi, scolaresche e studiosi che desiderano documentarsi. Anche Steven Spielberg e Roberto Benigni si sono rivolti qui per documentare i loro film, Schindler’s List e La vita è bella. Ed è nato qui Il libro della memoria di Liliana Picciotto, un’opera immane e importantissima che raccoglie nomi, date di nascita, numero di trasporto e di matricola e destino di tutti gli ebrei deportati nei campi di sterminio. Fra le altre cose, il CDEC è anche un fondamentale Osservatorio sul pregiudizio e sull’antisemitismo che registra tutte le manifestazioni d’intolleranza del presente e le attività di ricerca e di formazione degli insegnanti e didattica della Shoah.
Per avere un assaggio della vita contemporanea della variegata comunità milanese, ci si deve spostare più a sud, nella zona che va da via Washington a piazza delle Bande Nere (sud-ovest). È infatti in questo quartiere che si trova la maggior parte dei ristoranti e dei negozi kasher, piccoli supermercati con le prelibatezze da tutto il mondo, pasticcerie, fornai, nonché la sede della Comunità Ebraica (www.mosaico-cem.it) con la sua Scuola e alcune delle sinagoghe più frequentate dai numerosi ebrei che abitano in questi quartieri.
Infine, qualche parola sui Cimiteri ebraici. Mentre la maggior parte di quelli esistenti in Italia non siano in funzione o si trovino in condizioni precarie di conservazione, a Milano ne esistono due attualmente in uso: uno presso il Cimitero Maggiore, dove sono sepolti, tra gli altri, personaggi come Eugenio Curiel, partigiano e fisico italiano e Becky Behar, ultima sopravvissuta alla strage nazista di Meina di cui parleremo in seguito. L’altro cimitero si trova presso il Monumentale, considerato a livello europeo un vero e proprio “Museo a Cielo Aperto”, dove sorgono architetture e opere artistiche importanti anche nel settore ebraico, più rare invece in quello Maggiore. Entrambi i cimiteri rappresentano un patrimonio inestimabile per la conoscenza della presenza ebraica in Italia, ieri come oggi, e meritano una visita guidata.
Un mosaico ebraico
Ma vi sono anche tante altre località nel Nord Italia in cui nei secoli sono vissute delle comunità ebraiche, oggi estinte: da Como ad Abbiategrasso, passando per Cremona, Monza, Lodi e Voghera, rimangono alcuni monumenti e luoghi molto interessanti della vita ebraica del passato. Ad esempio, nel centro di Brivio in provincia di Como, si trova la piazzetta della Sinagoga da cui si diramano delle viuzze semicoperte, certamente a testimonianza di un piccolo insediamento ebraico. Continuando poi lungo il fiume Adda, ci si imbatte in altre località in cui si ebbe una presenza ebraica, attirata qui per svolgere attività commerciali attraverso le vie fluviali. Brigano in Ghieradadda, Cassano d’Adda, Caravaggio, Rivolta, Casalpusterlengo, Pizzighettone, sono solo alcune delle località citate come residenza di famiglie ebraiche. A Ghirla, provincia di Varese, c’è ancora la scritta che indica il ghetto. Mentre a Vigevano, piccolo e splendido gioiello vicino a Milano, via Roncalli, a pochi passi dalla piazza Ducale, è tutt’oggi nota come “il Ghetto”. A testimonianza di una presenza ebraica, da cui deriva anche il cognome Vigevani.
Brescia, Soncino e gli stampatori
A poche più di un’ora dal capoluogo lombardo, i visitatori potranno scoprire altri luoghi che raccontano infinite storie sulla presenza ebraica secolare in queste zone. Quando Heinrich Heine passò nei primi dell’Ottocento a Brescia, per esempio, annotò nei suoi Reisebilder (1826-1831) che la città possedeva una sinagoga, senza tuttavia specificare dove. Studi successivi confermarono che una sinagoga ci sarebbe stata nella zona di Sant’Agata o nelle vicinanze di via dei Musei; tuttavia di queste due aree oggi non esiste traccia. Brescia era fin dai tempi antichi un centro di smercio di ferro estratto nelle miniere delle valli, rilevante per chi, come gli ebrei, praticava il prestito. Sono stati riscontrati nuclei di ebrei nell’epoca romana come testimoniano le lapidi oggi conservate al Museo lapidario romano che fa parte del Tempio Capitolino in via dei Musei. Nel ‘400 e nel ‘500 la vita degli ebrei fu precaria per via della diffusa predicazione francescana violentemente antiebraica. Dopo il triste Processo di Trento, in particolare nel 1475, la Comunità ebraica locale fu incolpata di omicidio rituale finalizzato alla raccolta del sangue di un bambino da utilizzare per impastare il pane azzimo per Pesach, la Pasqua ebraica: noto è il caso di Simonino da Trento, una storia terrificante e controversa. Ci furono poi conversioni forzate, l’obbligo di portare un segno distintivo di appartenenza (una «o» gialla sul mantello), anche se, grazie alla straordinaria personalità di Gershom Moses Soncino, importante tipografo che aveva lasciato Soncino per trasferirsi a Brescia, le cose migliorarono.
La storia di questo incredibile personaggio potrebbe essere raccontata in un film: Gershom Moses apparteneva a un’illustre famiglia di ebrei askenaziti provenienti da Spira, in Germania, che si erano trasferiti in Italia. Dopo varie vicissitudini si stabilirono a Soncino, un piccolo borgo agricolo di impronta medievale sulle sponde del fiume Oglio, da cui presero il nome. Ottennero la licenza dagli Sforza di stampare libri in ebraico e in latino prediligendo testi di carattere religioso: fra il 1483 e il 1490 pubblicarono 30 libri fra cui la prima edizione della Bibbia completa in ebraico, una serie di trattati del Talmúd, il Machazòr. E la metà dei libri in italiano e in latino editi in quegli anni in Italia escono dai loro torchi. In seguito la famiglia si divise in più rami e si sparse per il mondo. Il più illustre fra gli stampatori di questa dinastia dalla genealogia un po’ confusa fu Gershom Moses (ancora oggi gli studiosi dibattono sulla sua identità), considerato il più grande stampatore che il mondo abbia mai conosciuto.
La sua fu una vita brillante, movimentata e ricca di stimoli. Viaggiò molto, andò alla ricerca di manoscritti in Savoia, a Ginevra e in Francia e si spostò a Fano, Pesaro, Ortona, Rimini, Salonicco e alla fine anche Constantinopoli. Eclettico e versatile, si specializzò nella pubblicazione di testi talmudici senza tuttavia disdegnare altri generi. Nel 1490, per ragioni sconosciute, si trasferì a Brescia, dove pubblicò opere leggendarie, a tratti rivoluzionarie, e di altissimo livello qualitativo, tra cui, nel 1494, la prima Bibbia tascabile. Morì a Costantinopoli forse nel 1534.
Oggi, la Casa degli Stampatori è trasformata in un piccolo Museo della Stampa, meta di visite turistiche. Come spiega il fondatore, Giuseppe Cangini, «il museo, ristrutturato negli anni Settanta, sorge in un edificio del XII secolo, attiguo alla tipografia dei Soncino, all’epoca nei pressi delle case abitate dagli ebrei. Aveva un cortiletto scoperto, in parte ancora esistente, che consentiva la circolazione dell’aria per accelerare l’asciugatura delle pagine. Oggi, al piano terra del museo, si trova una macchina tipografica dei primi del Novecento, testimonianza di come si stampasse nel secolo scorso. Al piano superiore si può ammirare un torchio smontabile mediceo-laurenziano, copia dell’originale costruito probabilmente da Gershom Moses Soncino, adatto a viaggi e peregrinazioni. Gershom Moses, infatti, peregrino per eccellenza, cercava di divulgare il suo lavoro e di stampare anche a Venezia, la “Silicon Valley” della stampa fine ‘400 e primi ‘500. La copia è stata realizzata nei primi anni Ottanta del secolo scorso, oggi custodito al primo piano».
Cremona, città rifugio
Parlando di ebraismo lombardo non possiamo dimenticare l’insediamento ebraico cremonese nel periodo che va dalla fine del XIV secolo al 1597, anno della definitiva cacciata e che ebbe grande rilevanza all’interno del panorama delle presenze ebraiche nell’Italia settentrionale. In quegli anni, Cremona svolse in Lombardia una funzione peculiare rispetto a Milano, tenacemente fedele alla propria politica di rifiuto di stipulare con gli ebrei condotte d’insediamento nella città, diventando così per gli ebrei la capitale de facto del ducato. Oltre all’importante ruolo economico, la presenza ebraica fece di Cremona e Soncino centri di eccellenza per l’arte tipografica. Nella biblioteca statale e Museo Civico si trovano ancora oggi testimonianze della gloriosa arte tipografica ebraica cremonese, tra cui alcuni esemplari editi dal Conti e dal Draconi, come i Salmi di David commentati da David Kimhi. Di particolare interesse anche la storia delle tensioni fra la Chiesa e gli ebrei, con l’intervento diretto nella vicenda cremonese del cardinale Carlo Borromeo e del vescovo della città, Niccolò Sfondrati, futuro papa Gregorio XIV. Fu il “gran disordine de’ giudei” di Cremona a preoccupare particolarmente il cardinale milanese e a spingerlo a intervenire presso la corte spagnola di Filippo II per affrettarne la cacciata. Oggi di quella che fu una delle più floride e colte comunità ebraiche rimangono alcune testimonianze: da segnalare l’attuale via Verdi, nei secoli chiamata «Contrada altre volte delli hebrei», poi «Strada Giudea» e poi «Giudecca». Qui si trovava la Sinagoga, di cui però non rimane traccia.
La gloria di Mantova
E ora eccoci finalmente a Mantova, fascinosa e splendida città a cavallo fra la Lombardia e l’Emilia Romagna. Mantova fu sede di una delle più antiche e importanti Comunità ebraiche d’Italia. Fondamentale fu il ruolo dei Gonzaga, signori della città che incoraggiarono l’immigrazione ebraica nei propri territori, tanto che alla fine del Cinquecento si contavano in città oltre 3 mila persone, ovvero il 7 per cento della popolazione totale, mentre molte altre famiglie ebraiche esercenti l’attività creditizia si trasferirono nei centri minori governati dai Gonzaga. Agli inizi del Seicento fu istituito il ghetto, e iniziò il declino della comunità, parallelamente a quello della famiglia dominante dei Gonzaga. La fine del ghetto si ebbe nel 1798, con l’arrivo delle truppe napoleoniche.
Oggi nella comunità, decimata durante la Shoah, rimangono solo poche persone, motivate a fare conoscere la storia ebraica della propria città, visibile ancora in alcuni luoghi. La prima tappa di un giro ebraico è la sinagoga Norsa-Torrazzo che sorge all’interno di un edificio civile di proprietà della Comunità ebraica, in via Govi 13. La Sinagoga, che prende il nome da una delle più antiche famiglie ebraiche di Mantova, i Norsa, è la fedele copia di quella originale che sorgeva nell’area del vecchio ghetto adiacente a una casa-torre (torrazzo) medioevale e che è stata demolita nel 1899. Essa è annessa a un edificio moderno e ristrutturato che ospita gli uffici, la sala riunioni e gli archivi della Comunità Ebraica.
Del Ghetto, invece, situato in un’area pressappoco rettangolare (compresa tra via Dottrina Cristiana, via Pomponazzo, via Calvi, via Giustiziati e via Spagnoli), rimangono poche tracce, ripercorribili durante un giro turistico organizzato dalla Comunità e dalla libreria locale Di Pellegrini. Oggi restano solamente la facciata di una casa a quattro piani, in via Bertani, la cosiddetta Casa del rabbino. Solo il nome di una via – via Scuola Grande – ricorda al visitatore il luogo dove sorgeva la più grande sinagoga mantovana. Per chi invece è interessato alla Qabbala, la mistica ebraica, è possibile visitare (su richiesta anticipata) una grande raccolta di libri antichi custodita alla Biblioteca Teresiana della città.
Ma non è solo la città di Mantova a essere interessante per chi è alla ricerca di tracce della storia ebraica: basta infatti andare nei dintorni della città per trovarne di altrettanto importanti. Una tappa immancabile è la sinagoga di Sabbioneta, località dove risiedevano numerosi ebrei – primo nucleo di una piccola Comunità di rito italiano – che svolgevano l’attività di commercio del denaro, vietato dalla Chiesa ai cristiani, praticata attraverso i banchi di prestito concessi agli ebrei dai Gonzaga nel Mantovano. Da qui proveniva anche la famiglia di tipografi Foà, che diede particolare lustro all’arte tipografica ebraica tra le migliori in lingua ebraica nel XVI secolo. A loro è dedicata la via della Stamperia che si trova all’ingresso della città. Alla fine dell’Ottocento, anche in conseguenza della depressione economica che colpì in modo particolare il sabbionetano, molti ebrei iniziarono a trasferirsi a Milano. Fu l’inizio del declino della Comunità di Sabbioneta che si compì nei primi decenni del XX secolo. Oggi a testimoniare la presenza ebraica a Sabbioneta vi è la Sinagoga, edificata nel 1824 che dopo un lungo periodo di abbandono ha subito un lungo restauro, ultimato nel 1994, che ha permesso la riapertura dell’edificio al pubblico, ma solo per le visite. Un altro luogo degno di una visita è la sinagoga di Rivarolo Mantovano, oggi sede occasionale di manifestazioni culturali e visite guidate. Così come interessante è anche quella del comune di Viadana, affidata nel 1839 all’architetto Carlo Visioli e rimasta incompiuta per conflitti fra la popolazione ebraica e le autorità cattoliche locali. Per informazioni vedere il recente libro La sinagoga incompiuta. Storia di un contrastato luogo di culto degli ebrei viadanesi, di Marida Brignani. Non mancano poi i cimiteri ebraici: quello di Bozzolo, di Revere e di Sabbioneta, ristrutturato non molto tempo fa. Per visitare tutti questi luoghi, sia dentro la città che fuori, è possibile concordare con la Comunità di Mantova un giro turistico, guidato dal presidente Emanuele Colorni.
L’infamia di Meina
Concludiamo il nostro itinerario a Meina, sul Lago Maggiore, in provincia di Novara, Piemonte, luogo di villeggiatura e residenza di molte famiglie appartenenti alla nobiltà o all’alta borghesia lombarda e piemontese. Tra il 15 e il 23 settembre 1943, Meina fu teatro della strage di 16 ebrei italiani provenienti dalla Grecia dopo lunghe e tragiche peripezie. Ospiti dell’Hotel Meina, per i volonterosi carnefici di Hitler non fu difficile individuarli, così come non fu difficile trovare molti altri ebrei in transito nella zona. La strage fu compiuta dalle SS naziste nell’Hotel Meina di proprietà di Alberto Behar, cittadino turco di origine ebraica. Tra le vittime ci furono anche dei giovani, Jean, Robert e Blanchette Fernandez Diaz, di 17, 13 e 12 anni. In loro memoria, l’11 gennaio 2015, sono state posate le prime tre «pietre di inciampo» che faranno parte del più grande monumento diffuso europeo dedicato alle vittime del nazi-fascismo. Si tratta di semplici pietre in ottone, delle dimensioni dei quadrati di porfido che pavimentano le strade di tante città europee, con incisi i nomi e le date degli assassinati. La posa delle pietre a Meina è una tappa importante di un lungo percorso che ha portato Becky Behar Ottolenghi, figlia del proprietario dell’Hotel Meina e sopravvissuta alla strage, a testimoniare per tutta la vita quelle efferate vicende, raccontate nel libro Il diario di Becky Behar. Sulla vicenda è stato girato nel 2007 il film Hotel Meina diretto da Carlo Lizzani. Becky Behar Ottolenghi è mancata nel 2009, ma ci ha lasciato la sua preziosissima testimonianza per non dimenticare.
INFO:
Comunità Ebraica di Milano
via Sally Mayer 2 – 20146 Milano,
tel. 02 48311001 – fax 02. 48304660,
www.mosaico-cem.it
info.sede@com-ebraicamilano.it
Sinagoga Centrale,
Via della Guastalla 19 – Tel. +39 02 5412.4043; www.sinagogamilano.it
Per tutte le altre info su Milano vedi Milano Guida, a pagina 60.
Comunità Ebraica di Mantova
Via Govi 11 – Tel e fax: 0376 321490. Presidente: Emanuele Colorni, cell. 347 9694980, emanuele.colorni@gmail.com
Sinagoga Norsa-Torrazzo
Via Govi 13. Per visite chiedere in comunità. Sinagoga Rivarolo Mantovano, Piazza Giuseppe Finzi. Sinagoga di Sabbioneta, Via Bernardino Campi 1. Sinagoga di Viadana, via Bonomi 31.
Per le visite chiedere alla comunità ebraica di Mantova o alla proloco di Sabbioneta.