A Milano, ebrei in un meltin’ pot unico in Italia
C’è la Milano di Carlo Borromeo, poi santificato, che propose l’obbligo del marchio giallo per gli ebrei ottenendo, in un secondo tempo, la loro espulsione. C’è la Milano medievale in cui, per la prima volta, gli ebrei furono scacciati dalla città per ordine del patrono Sant’Ambrogio.
C’è la Milano ottocentesca e borghese con la sua grande tradizione filantropica, su cui si innesta il mecenatismo ebraico con la figura di Prospero Moise Loria, imprenditore illuminato che regalò l’Umanitaria al capoluogo meneghino, straordinaria scuola di Arti e Mestieri, che diventerà il fiore all’occhiello della città e con la quale Loria seppe dare un futuro alle giovani generazioni disagiate per dotarle di strumenti di lavoro adeguati a un nuovo mondo tecnologico che nasceva. C’è poi la Milano del 1945, punto di confluenza e d’incontro dove, proprio dietro il Duomo, in via Unione, molti ebrei d’Europa arrivavano distrutti nel corpo e nell’anima, dopo la guerra e i lager, le fughe, i nascondigli, per cercare proprio qui le famiglie smembrate o imbarcarsi per la Palestina: in via Unione, infatti, c’erano non solo gli uffici dell’Agenzia ebraica, ma venivano esposte tutte le liste dei sopravvissuti e dei dispersi in cerca gli uni degli altri, chi di un fratello o di una madre, chi di un coniuge o di un amico.
E c’è la Milano del XX secolo con i grandi architetti e figure geniali come quella di Ernesto Nathan Rogers che, insieme al gruppo BBPR – acronimo di Belgioioso, Banfi, Peressutti, Rogers – immaginò e realizzò la Torre Velasca.
E come non ricordare la Milano ebraica e industriosa del boom economico, anni Cinquanta e Sessanta, che richiamò tanti ebrei del Mediterraneo, libici, egiziani, turchi, siriani, greci, iraniani, un meltin’ pot carico di energia e voglia di fare, arrivati sotto l’ospitale e soleggiato cielo italiano, così somigliante a quello che avevano appena lasciato, in cerca di fortuna; ebrei che questa città seppe accogliere con larghezza, generosità e molte opportunità di lavoro. Oggi, la Comunità di Milano trova la propria ricchezza proprio in questa incomparabile varietà di “edot”, di identità, un melting pot ebraico sfaccettato e plurale assolutamente unico in Italia.
Sono quindi tante le Milano ebraiche da scoprire e raccontare, una storia millenaria piena di luci, ombre e fortune alterne.
Qualche cenno storico. Cominciamo col dire che prima del XIV secolo le informazioni sulla presenza ebraica in questa zona sono assai poche e vaghe; è certo, tuttavia, che gli ebrei, in prevalenza proprietari terrieri e commercianti, si stanziarono da queste parti già in epoca romana. Sopravvissero nel corso dei secoli nonostante le persecuzioni, il razzismo e le espulsioni tristemente note che li hanno duramente colpiti fino al XX secolo. Senza contare poi i periodi storici in cui furono discriminati e costretti a subire tutta una serie di limitazioni nella vita quotidiana. Come durante il dominio degli Sforza e dei Visconti, per esempio, in cui fu loro vietato di risiedere per più di tre giorni consecutivi a Milano, giusto il tempo per sbrigare i loro affari e andarsene via. Senza stabilità e senza la possibilità di radicarsi, non sorprende quindi che l’istituzione di una Comunità vera e propria sia di recente origine: i primi arrivi risalgono infatti agli inizi dell’Ottocento con le libertà concesse da Napoleone. La Comunità milanese nacque inizialmente come sezione di quella di Mantova, nel 1820 contava una trentina di membri che aumentarono via via fino a quando, nel 1866, fu costituito un Consorzio israelitico, basato sul principio della adesione volontaria con tanto di tasse da pagare per il suo mantenimento. Finalmente le cose cominciavano a girare per il verso giusto, conferendo agli ebrei un senso di stabilità con qualche prospettiva in più riguardo al futuro.
La Comunità crebbe rapidamente: nel 1920 contava 4.500 persone che aumentarono a 8 mila intorno agli anni Trenta quando, con l’avvento di Hitler, le cose peggiorarono sempre più, fino alla catastrofe totale. Molti furono gli ebrei tedeschi che si rifugiarono in città, a cui si aggiunse una nuova ondata, nel 1938, di immigrati provenienti dalle comunità minori italiane che cercavano riparo nelle istituzioni dopo l’approvazione delle Leggi razziali.
La vita, intanto, si rivelava sempre più spaventosa per gli ebrei milanesi, che raggiunsero le 12 mila unità. Esasperati dalla situazione drammatica e dall’ansia continua, scandita dal suono lancinante delle sirene, circa 5 mila ebrei decisero di espatriare tra il 1939 e il 1941 per raggiungere la Palestina o le Americhe. La Shoah colpì con violenza la Comunità di Milano, che vide deportati 896 dei suoi appartenenti, di cui soltanto cinquanta sopravvissero: tra di loro gli anziani della Casa di riposo che, nel 1942, erano stati evacuati a Mantova per evitare i bombardamenti. Terminata la guerra, la Comunità rinacque grazie all’arrivo di numerosi ebrei provenienti dal Nord Africa e dal Medio Oriente, una linfa vitale che avrebbe dato una sferzata di energia e nuove speranze per il futuro. Oggi, con i suoi oltre 7 mila iscritti, la Comunità ebraica di Milano è la seconda in Italia dopo quella di Roma (la quale vanta il primato della più antica d’Europa). A Milano oggi ci sono ebrei di svariate origini, sefarditi, askenaziti ed ebrei italiani, stanziali da secoli. Ogni gruppo ha mantenuto una propria identità culturale, e il visitatore potrà così scoprire una Milano ebraica vivace, cosmopolita, poliedrica e sfaccettata, ricca di fascino e tradizioni: dalle numerose sinagoghe con riti e minhagghim diversi – askenazita, sefardita, ben romì e italiano (quest’ultimo, è uno dei riti ebraici più antichi al mondo) – ai ristoranti kasher, ai luoghi storici.