Una scena del film Un té a Samarkand

“Un tè a Samarkand”, storie di esodi a tutto tondo

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di Nathan Greppi
Ancor prima del recente arrivo di numerosi profughi ucraini, quello di coloro che scappano dalle persecuzioni o paesi in guerra è da tempo un tema molto dibattuto, anche nella comunità ebraica dato che molti ebrei italiani sono fuggiti o sono stati espulsi dai paesi islamici. Per mettere a confronto varie esperienze simili da più punti di vista, la Fondazione CDEC ha organizzato lunedì 21 marzo un evento intitolato Un tè a Samarkand. Storie in esilio, tenutosi al Memoriale della Shoah e che prende nome da un omonimo documentario.

Dopo i saluti introduttivi di Roberto Jarach, Presidente del Memoriale, il direttore del CDEC Gadi Luzzatto Voghera ha spiegato che si tratta del primo evento del CDEC da quando si sono insediati nei nuovi uffici all’interno del Memoriale, dopo aver recentemente traslocato dalla storica sede di via Eupili. Il progetto rientra nel loro Progetto Edoth, che consiste nel divulgare le storie di quegli ebrei che, a metà del ‘900, dovettero lasciare i paesi arabi, la Turchia e l’Iran in cerca di una nuova casa. Proprio la coordinatrice di Edoth, Manuela Buaron, ha spiegato che negli anni hanno raccolto molte testimonianze di ebrei discriminati in quei paesi, e in particolare dall’Egitto e dalla città iraniana di Mashhad.

I cortometraggi

Prima della proiezione principale, sono stati presentati due corti documentari: il primo è Ebrei d’Egitto. Racconti, curato dal CDEC, che raccoglie varie interviste a quegli ebrei che, dopo l’ascesa di Nasser, vennero sempre più discriminati nel loro paese fino ad essere costretti ad andarsene, nonostante ci vivessero da generazioni e fossero integrati nel tessuto sociale.

L’altro corto, L’Ospite, è del 2014 ed è diretto da Mohammad Amin Wahidi, regista afghano di etnia hazara (un popolo soggetto a feroci persecuzioni in Afghanistan) che lo ha presentato personalmente durante l’evento. In esso, un giornalista afghano a Venezia interpretato da Basir Ahang (che nella realtà è davvero un giornalista italo-afghano, e ha interpretato un rifugiato hazara anche nel film del 2018 Sembra mio figlio), cerca qualcuno che possa ospitare un profugo clandestino per la notte; tuttavia, né la compagna né gli amici sono disposti ad accogliere uno sconosciuto, finché la situazione non finisce in tragedia.

Il documentario

In occasione della XVIII Settimana di azione contro il razzismo 2022 promossa dall’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR), Patrizia Baldi e Murilo Cambruzzi del CDEC hanno curato come produttori esecutivi il progetto del documentario, intitolato proprio Un tè a Samarkand. Storie in esilio.

Diretto da Marco Lorenzo Masante, esso vede sei persone, tra cui il già citato Wahidi, sedersi attorno ad un tavolo e parlare delle rispettive esperienze di esuli in Italia sorseggiando prendendo il tè tutti assieme. Ci sono Betti Guetta e Nanette Hayon del CDEC, che parlano delle loro esperienze come ebree fuggite da bambine rispettivamente dalla Libia e dall’Egitto; quello nato in Israele di origine bukhari, gli ebrei che in origine vivevano al confine tra l’Afghanistan e l’Uzbekistan, salvo poi doversene andare in cerca di un posto migliore; e c’è anche l’iraniano costretto a scappare a causa della sua omosessualità.